“I tre Adolf” di Osamu Tezuka: un fumetto sulla Seconda guerra mondiale
Osamu Tezuka è considerato uno dei mangaka più importanti e influenti di tutti i tempi, non a caso è stato soprannominato “dio dei manga”. Per meritarsi questo appellativo ha disegnato oltre 170.000 tavole dal 1946 al 1989, anno della sua morte (nonostante un tumore allo stomaco continuò a disegnare lasciando due serie incompiute).
I suoi successi più noti sono stati “Astro Boy”, diventato poi un anime di culto, “Kimba, il leone bianco”, antesignano del “Re leone” della Disney, “La principessa Zaffiro”, uno dei primi shojo manga per un pubblico femminile.
Nelle sue opere ci sono dei tratti distintivi come gli occhi grandi dei personaggi, la marcata espressività dei loro volti e la caricatura del loro incedere. In ogni tavola c’è sempre una spiccata dose di ironia e il linguaggio scritto si fonde a quello visivo, ad esempio quando un personaggio deve correre e andare in fretta gli vengono allungate le gambe per far capire che sta correndo e nel baloon pensa a dove è diretto. Gli espedienti che adopera sono tutti di sua invenzione, anche guardando oltreoceano, sarà Walt Disney a congratularsi con lui per il personaggio di Atom in “Astro Boy”.
Inoltre da non dimenticare il suo ruolo come animatore e produttore di anime, in un periodo storico di ricostruzione per il Giappone è stato un innovatore. La sua formazione è stata influenzata dalla Seconda Guerra mondiale che ha vissuto in pieno da studente universitario di medicina, è riuscito a laurearsi, ma non ha mai svolto la professione medica.
Proprio nelle tavole de “I tre Adolf” riesce ad esprimere il suo pensiero politico nel 1983, distante da quell’ideologia che ha portato al duro conflitto mondiale e dal sentimento di orgoglio nazionalista ancora presente in Giappone che ha affrontato il dopoguerra in modo diverso dagli altri Paesi coinvolti nel conflitto e in cui ancora oggi è possibile acquistare memorabilia bellici senza nessun problema.
L’evoluzione della situazione giapponese nei confronti della Germania si intreccia nella trama di pura fantasia con la quale due ragazzini con lo stesso nome, Adolf, uno ebreo e l’altro con padre tedesco, devono fare i conti in età post-adolescenziale e giovanile. Uno dei due viene mandato a studiare in Germania, nella scuola della gioventù nazista e cresce considerando il Fuhrer un mito da seguire e non ci pensa due volte a diventare uno dei suoi più stretti collaboratori grazie alla conoscenza del Giappone, prossimo alleato. L’altro invece rimane in patria e il padre aiuta gli ebrei a fuggire alle retate naziste che li portano nei campi di concentramento.
La loro amicizia mi ricorda il testo “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, successivo al fumetto e in cui la relazione tra un ebreo ed un nazista ha risvolti positivi, diversamente dagli Adolf. Le loro vite sembrano divergere senza alcun punto di contatto, ma un punto in comune c’è: Adolf Hilter.
Tezuka immagina che Hitler sia ebreo, teoria non del tutto inventata secondo alcuni storici, ma un documento lo attesta e sia la Gestapo che il fronte ebreo di liberazione vogliono trovarlo, i primi per eliminare una prova pericolosa per il nazismo, i secondi per darne notizia al mondo e fermare la guerra.
Un personaggio chiave della vicenda è il narratore che ci racconta la storia anni dopo, quando tutto è finito, ma i ricordi tragici restano vivi: Sohei Toge, giornalista sportivo che dal Giappone va in Germania nel 1936 per seguire le Olimpiadi e si troverà a sua insaputa dentro una storia di spionaggio e thriller. I volumi della storia sono due, molto corposi, visto che si intrecciano vicende inventate, vicende storiche e molti personaggi che si incontrano e si scontrano nei dieci anni della trama di questo fumetto.
“I tre Adolf” è considerato uno dei capolavori di Osamu Tezuka sia per il modo di raccontare che riesce ad essere sempre chiaro nonostante le varie linee di trama che seguono i protagonisti, sia per il modo in cui riesce a trasmettere il senso ottuso del razzismo, la pazzia di Hitler, il sentimento di chi per tutta la vita segue l’ideologia nazista e ne scopre l’assurdità quando tutto è perduto, anche la sua anima. Adolf Kauffman, il ragazzo nazista, alla fine del fumetto è logorato dai sensi di colpa e dalle sue azioni ripugnanti e il suo sfogo riesce a catturare il lettore in un vortice emotivo contraddittorio tra volerlo punire per le sue scelte oppure compatirlo perché vittima egli stesso.
Mai come in questo caso ci si appassiona ai protagonisti cercando di interrogarsi anche sulle scelte che si sarebbero prese al loro posto, empatizzando e facendo il tifo affinché il documento su Hitler non cadesse nelle mani sbagliate, pur sapendo l’esito nefasto della guerra e la fine del conflitto solo dopo lo sgancio della bomba atomica.
Nei due volumi c’è un grande equilibrio tra azione e pensiero, momenti drammatici e altri più colloquiali e leggeri come le storie d’amore, le speranze della madre di Kauffman, i giochi olimpici e altri aspetti quotidiani giapponesi.
Come amava ripetere l’autore: “Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti”.
In questo caso c’è riuscito in modo eccellente sebbene alcuni passaggi, soprattutto nel primo volume, possano essere considerati troppo lunghi e macchinosi rispetto ai fumetti odierni, ci si dilunga un po’ su una morte misteriosa e sull’arresto di Toge.
Il fumetto è fortemente di monito a qualsiasi totalitarismo, al razzismo e alle forme di violenza che queste ideologie comportano senza essere pesante ed approssimativo.
Nella pubblicazione J-pop manga ho trovato interessanti le tavole cronologiche a corredo dei capitoli in cui ci sono date e azioni salienti del Giappone negli anni raccontati nel fumetto in modo da poterne fare un parallelo e avere una analisi storica più accurata. Spesso infatti ci dimentichiamo di come la guerra mondiale sia stata vissuta in Paesi non occidentali che rispetto all’Italia o agli Stati Uniti sono stati pesantemente segnati dal conflitto, in termini di perdite umane e di intere città.
Written by Gloria Rubino