“Neptune’s Projects” di Rishi Dastidar: la terra devastata e le cartografie di un Mondo post-umano

“Guarda l’Atlantico che si gonfia e ribolle” canta un’antica ballata irlandese.

Neptune’s Projects di Rishi Dastidar
Neptune’s Projects di Rishi Dastidar

Vi è sempre stata un’intersezione fra poesia e mondo naturale. Di storie e narrazioni di mare è colma la storia della letteratura nordica (L’Edda poetica – Carme di Hymir), inglese e irlandese, si pensi alle poesie di J. Keats, A. Tennyson, La ballata del vecchio marinaio di S.T. Coleridge, Dracula di B. Stoker sino a Beyond the Sea del contemporaneo P. Lynch (recentemente tradotto in italiano da Riccardo Duranti – 2022).

Di mare si occupa anche l’ultima raccolta poetica del giovane e talentuoso poeta britannico Rishi Dastidar intitolata Neptune’s Projects pubblicata in Inghilterra da Nine Arches Press (2023) e ancora inedita in Italia, in cui l’autore ha dato voce a uno stanco Nettuno, al suo spaesamento su come affrontare ciò che hanno fatto gli umani.

In un contesto dove convergono con carattere concordante come onde imponenti poste di colpo dinnanzi ad una piccola insenatura gli eventi che si sono succeduti di recente e ovunque nel mondo come la pandemia, la nuova povertà, le grandi migrazioni, l’instabilità economica, il terrorismo internazionale, la crisi climatica, la fame d’energia in una natura già stremata e profondamente compromessa e la minaccia di una guerra nucleare nel contesto di un conflitto nel cuore del Vecchio Mondo, nella sua terza raccolta di poesia Rishi Dastidar afferma con umorismo la sua lucida visione pessimistica della realtà che, talvolta, nei toni disperati ricorda J. Conrad, ritraendo la drammatica condizione della terra per mezzo di una poetica che registra la frantumazione e la desertificazione dell’umanità, dei mari e dell’ambiente di cui sono una perfetta sintesi le poesie “Monodie per l’Antropocene” e “Al vertice della catena alimentare” e “Sentendosi acquamarina”. Che forse… una satira, un mito ludico/dissacrante, una versione 4.0, umoristica, bizzarra e al vetriolo de “La terra desolata” di T.S. Eliot? Una sorta di enfatico “hypocrite lecteur, mon semblable, mon frèrebaudelairiano cui il poeta londinese vuole mostrare al lettore il mondo corrotto e decadente che lo circonda?

Un mondo moderno lanciato in una forsennata corsa autodistruttiva, simile al treno della Great Western Railway nel celebre dipinto del 1844 di W. Turner, caratterizzato da una società occidentale in crisi ‒ “malata” ‒ soggiogata da uno sterile capitalismo, i cui cittadini sono bloccati in una routine distruttiva, così simile alla terre gaste dei poemi epici medioevali, che necessita di una guarigione che viene affidata in questa silloge a una divinità degli abissi marini: Nettuno.

Una divinità fin troppo umana che grazie allo squallore e all’alienazione della vita nell’età moderna subisce anche lei un inesorabile degrado. Non un profeta, non un messia, al massimo un Virgilio dei nostri tempi a guidare il lettore (un cittadino medio “impotente”, un attivista ambientalista…) nei gironi infernali/nelle cornici del Purgatorio (?) di un mondo allo sfacelo alle soglie del Novacene. Un’Odissea, anzi, una crociera antropocenica, dove c’è molto da vedere ad ogni scalo: Lorelei, boom sonici, Kelpie[1], la Modern Britain post Brexit, CT scan, bar all’aperto, celebrazioni trionfanti del secchiello del ghiaccio, reti di plancton, leoni marini che applaudono, convocazioni di WhatsApp con Gaia, Nettuno che si improvvisa allenatore di calcio e motiva i calciatori con bicchierini di gin…

Neptune’s Projects: un diario di bordo, una carta nautica nuova di zecca.

Dio Nettuno, dio del mare, delle acque e delle correnti, armato di tridente con il quale poteva dare vita a nuove sorgenti d’acqua, provocare maremoti, terremoti e tempeste marine, addirittura risvegliare mostri marini! “Il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a Nettuno […].” (Marco Tullio Cicerone, De natura deorum, II, 66). Un’incisione su disegno di Giulio Romano di Giulio Bonasone, conservato alla Casanatense di Roma, mostra Nettuno, Plutone e Giove che si dividono l’universo.

Nettuno nella simbologia esoterica apre le porte all’oltre, all’altrove, al trascendente, alla metamorfosi ‒ intesa come capacità di evoluzione e trasformazione verso livelli più elevati di conoscenza. In Nettuno c’è il misticismo e quell’amore incondizionato che esula dal giudizio e dà ogni volontà di ricompensa, un amore che può riguardare non solo una persona ma anche un’idea, un principio, una causa.

Una divinità armata di tridente che richiama la figura di Shiva, una delle principali divinità indù, Dio poliedrico, il Grande Dio, che distrugge l’intero universo, la forza che dissolve e distrugge i mondi, ma anche quella che li rigenera, li preserva e li sostiene ‒ poiché non è possibile una creazione senza una precedente distruzione.

Il triṣūla (tridente) diventa in tal caso il simbolo delle tre tendenze fondamentali che agiscono di continuo nel cosmo: la tendenza aggregante, la disintegrante e quella equilibratrice. I tre volti del divino induista. Una divinità che ingloba le caratteristiche di altre divinità come Indra e il vedico Rudra, il dio selvaggio della fertilità, degli animali selvaggi, della tempesta e del tuono pronto alla collera distruttiva; Rudra è collegato alla radice verbale sanscrita rud (ululare, ruggire, piangere, mugghiare), una figura divina assimilabile al dio Dioniso ‒ un richiamo alla Nascita della tragedia nietzschiana e quindi all’arte poetica/tragica.

Nella silloge di Rishi Dastidar il dio è “nudo”, impotente… incapace di trattenere una delle sue specie preferite dal suo insaziabile desiderio autodistruttivo di morte.

Sul significato psicoanalitico di scrivere del mare, sono illuminanti le parole di Rabindranath Tagore, nella poesia “Sulla spiaggia di mondi senza fine, i bambini giocano” (Londra, 8 ottobre 1966) nonché di Donald Winnicott, in Gioco e realtà:

Nel mio scritto in onore di James Strachey dissi:Freud non aveva una sede nella sua topografia della mente per l’esperienza di ordine culturale. Egli conferì nuovo valore alla realtà psichica interna, e da ciò scaturì un nuovo valore per cose che sono reali e chiaramente esterne: Freud usò la parola sublimazione per indicare la strada verso una sede dove l’esperienza culturale ha senso, ma forse egli non arrivò a dirci dove nella mente ha sede l’esperienza culturale’. Ora io desidererei allargare quest’idea e fare uno sforzo per formulare in maniera positiva qualcosa che possa essere criticamente esaminato. Userò per questo il mio personale linguaggio. La citazione di Tagore mi ha sempre affascinato… Quando cominciai a essere freudiano, io seppi cosa voleva significare. Il mare e la spiaggia rappresentano infiniti rapporti fra uomo e donna… poi come studioso del simbolismo inconscio, seppi che il mare è la madre e sulla riva del mare il bambino nasce. Nel frattempo giocavo con il concetto di ‘rappresentazioni mentali’, e con la descrizione di queste in termini di oggetti e di fenomeni situati nella realtà psichica personale ritenuta interna; inoltre ho seguito l’effetto di come operino i meccanismi mentali di proiezione e dell’introiezione. Ora sono giunto all’argomento di questo capitolo e alla domanda: se il gioco non è né al di dentro né al di fuori, dov’è? Fui vicino all’idea che esprimo qui nel mio lavoro: ‘la capacità di star solo’.”

Mare che è anche liquido amniotico, grembo della vita e liquido primordiale, Acqua Madre. Il mare il mondo oscuro del Creatore dove i contenuti inconsci vivificano e nutrono la coscienza a contatto con l’acqua di vita nella nerezza degli Abissi ‒ via maestra verso i lidi dorati della Sapienza.

Acqua ‒ “Nun” nelle lingue semitiche è contemporaneamente una lettera dell’alfabeto arabo ed ebraico, dal suono [n]. Nei geroglifici egiziani, questo suono, fra i segni determinativi tipici dell’egiziano, corrisponde al determinativo per “acqua”. Nell’area semantica afferente troviamo numerosi vocaboli dal significato molto interessante: viaggiare, venire, andare, muoversi, nuotare, traversare, dormire, destarsi, fanciullo, acqua primordiale, nuovo nato, ecc. In arabo la lettera Nun rappresenta la caverna iniziatica, il “ventre della balena”. In ebraico ritroviamo in questo grafema il lemma del “morire”, “generare”, “fiorire”, “generare”, “nuovo nato” anche in senso mistico cabalistico. In ebraico la lettera mem dal suono [m] corrisponde all’acqua.

Neptune’s Projects afferma l’autore in alcune interviste ‒ non è nato come un tentativo di scrivere una raccolta di Eco-poetry. Piuttosto è un tentativo di dare al mare una voce e di personificarlo. Le poesie sono nate da questa voce, dal tentativo del poeta di immergersi in essa. La scelta di affidare questa voce a un dio dalle qualità e fragilità molto umane è stata una scelta successiva che si è rivelata folgorante per esplorare argomenti cogenti come quelli dei cambiamenti climatici e della crisi ambientale. La voce di Nettuno è il filo che inanella tutte le poesie, il nucleo di condensazione della parola poetica, e altresì offre uno spazio sufficientemente ampio per gestire “l’Armageddon” e le mosse per non retrocedere. Una poesia che è sia strumento per indagare cosa significa essere umani, essere al mondo, sia per riflettere su quello che abbiamo ereditato e come lo stiamo distruggendo. Poesia che è pure mezzo per espandere le possibilità immaginative su come possiamo vivere senza distruggere la nostra civiltà nel processo: la salvezza passa da un caleidoscopio di punti di vista, approcci, credenze così vari quanto è diversificata l’umanità.

La raccolta poetica di Rishi Dastidar può essere suddivisa in quattro sezioni principali. Si apre con un dio Nettuno cogitabondo e impotente, dalla voce arguta e laconica, che desidera trasportare il lettore in un viaggio virtuale per mari e coste fin negli abissi oceanici in cui mette a nudo i fallimenti del mondo contemporaneo. Nuove cartografie di un mondo post-umano su cui incombono gli “Iperoggetti” (usati metaforicamente a mo’ di una sorta di lente futuristica) teorizzati da Timothy Morton nel suo saggio Being Ecological a cui le poesie del volume, come suggerisce il sottotitolo della raccolta, fungono da ballate.

La prima sezione contiene i migliori componimenti di Dastidar che, pur trattando tematiche drammatiche, spiccano grazie ad un sagace dosaggio di humour nero, nonsense alternati a situazioni esilaranti o giocose.

Nella seconda sezione ‒ “Pretanic” ‒ l’autore esplora tematiche forti quali la storia britannica in un intreccio brillante di metafore e di vedute oceaniche impreziosiscono versi umoristici, caustici o sarcastici: una personale sentenza di condanna alla Vecchia Albione/Modern Britain post Brexittight little island. In un componimento icastico o un kitsch haiku con versi di alta potenza corrosiva come “Nazione impossibile” al prestigioso ed esclusivo Eton College (la più famosa scuola privata britannica ‒ fondata nel 1440 ‒ che ha formato 20 dei 57 primi ministri inglesi) non sono in grado di insegnare al fior fiore della classe dirigente inglese un’unica, banale cosa: non giocare con i fiammiferi. Sciocco masochismo autodistruttivo?

Nella terza sezione, “Viene la crisi o la guerra”, dove il poeta parte dal contenuto della versione inglese di un opuscolo svedese sui preparativi in tempo di guerra, l’intento dell’autore è propedeutico ad ammaestrare il lettore alla possibile sopravvivenza in un mondo post-apocalittico. Versi che rivelano un ottimismo umanistico in un percorso catartico attraverso cui i lettori, rollando bagnati fradici fra angoscia e disperazione, messi di fronte dal poeta a tutto ciò che non va, vengono traghettati in barca e in dau, verso un porto sicuro, una fievole speranza, qualcosa di realizzabile e tangibile. Il tutto viene presentato effuso con ponderato umorismo forcaiolo edificante e talvolta intenzionale.

“Neptune Clough”, la poesia conclusiva della raccolta, legata al nome di Brian Clough, uno dei più noti allenatori di calcio inglesi, tira le fila della silloge, presentando il dio del mare nelle vesti inconsuete di allenatore di calcio alle prese con un tentativo di riforma di una squadra. Un momento catartico per il dio come per il lettore, suggellato dalla vittoria della squadra della divinità ‒ un riappropriarsi dell’antica gloria e dell’obliato potere. Una mutua vittoria per il dio e per il lettore. La fine della crociera… l’Itaca di Kavafis? Oppure Ibiza e Formentera…

Vengono qui di seguito proposte in esclusiva per Oubliette Magazine le poesie di Rishi Dastidar “Nazione impossibile” (“Impossible Nation”), “Al vertice della catena alimentare” (“Top of the Food Chain”) e “Inalare il mare” (“Inhale the Sea”) tratte dalla silloge poetica Neptune’s Projects, pubblicata in Inghilterra da Nine Arches Press (2023), e qui proposte nella traduzione di Andrea Sirotti per gentile concessione dell’autore e del traduttore.

 

Nazione impossibile”

L’unica cosa che non riescono
a insegnarti a Eton è quella
di non giocare con i fiammiferi.

 

“Impossible Nation”

The one thing they fail
to teach you at Eaton is:
don’t play with matches.

 

“Al vertice della catena alimentare”

Guardate! Sono io la creatura che
vi rimpiazzerà, sostituirà te e te e anche te,
 
perché sono perfettamente adattato
alla biosfera che avete creato, e oh
 
è buffo che non siate riusciti a regolarvi
in tempo, a installare branchie esterne, scudi
 
al posto della pelle, a raccogliere sangue dai mari. Eh, sì,
siete andati avanti, come attestato
 
nei segni dell’Antropocene che affiorano
ogni tanto dal fango termico
 
eppure, non avete fatto niente: se non far squillare
moniti a cambiare tutto. Sono contento: come se
 
aveste il diritto divino a dimorare per sempre
su questo pianeta. Le specie vanno e vengono,
 
uscite dai vostri schemi. Scommetto che nemmeno i dinosauri
avrebbero voluto sparire nella tivù dei ragazzi.

Top of the Food Chain”

Behold! I am the creature that will
replace you and you and you too,
 
because I am perfectly adapted to
the biosphere you’ve created, and oh
 
the irony that you couldn’t adjust
in time, install outboard gills, shields
 
to skin, harvest blood from seas. My
did you go on, as attested to in the
 
Anthropocene record that surfaces
from the heat-slime now and again,
 
and yet you did nothing: sound various
alarms, change damn all. I’m glad: as if
 
you had some divine lease to stay on
the planet forever. Species come, go,
 
get over yourselves. I bet the dinosaurs
didn’t want to disappear into kids’ TV either.

 

“Inalare il mare”

Era l’ennesimo calcolo non calcolato. Far colpo, conquistarla – come se questo giovasse all’uno o all’altra. Si era offerto di scappare al mare con lei, quando si trovarono entrambi ad affondare sotto la stessa boa, grazie agli amori delle loro rispettive vite che invocavano le clausole di libertà su cui avevano sempre insistito a letto o intorno al tavolo di cucina – perché a che serviva un diritto se restava teorico per sempre? Il cuore è il miglior bagnino di se stesso, non era forse questo il messaggio del giorno di San Sebastiano? – e lui non è forse morto perché non riusciva a nuotare per via dei fori delle frecce? Scorreva le schermate sempre più lunghe di WhatsApp, chiedendosi se stesse davvero per dire ciò che voleva dire, ma ‘fanculo, una spiaggia e una camera da letto, in misura diversa, erano ciò di cui entrambi avevano bisogno. Al diavolo le diagnosi future fintanto che le braccia non facevano male per essersi strette l’una all’altra. Tuttavia, lei non poté fare a meno di dargli un altro compito: Sì, farò l’amore con te, ma prima devi calmarti e inalare il mare.

 

“Inhale the Sea”

It was yet another uncalculated calculation, to impress her, win her over – like that’d do either of them any good. He’d offered to run away to the seaside with her, when they both found themselves sinking under the same buoy, thanks to the loves of their respective lives invoking the freedom clauses they’d always insisted upon in bed, around the kitchen table – because what use was a right if it forever remained theoretical? The heart is its own best lifeguard, wasn’t that was the message of St Sebastian’s Day – and didn’t he die because he couldn’t swim on account of the arrow-holes? She scrolled through the ever-lengthening WhatsApp, wondering whether she really was going to say what she wanted to, but fuck it, a beach and a bedroom in unequal measures was what both of them needed. Damn future diagnoses until their arms ached from holding each other. Still, she couldn’t resist one more task for him: Yes I’ll make love to you, but first you have to calm down, inhale the sea.

 

Tratto distintivo di questa raccolta poetica è il moltiplicarsi dell’io poetico in un caleidoscopio di voci di diversi personaggi/maschere (persona lat.) indossate dal poeta e dal suo alter ego (Nettuno) in una sorta di “he do the police in different voices” (C. Dickens – Our Mutual Friend). Dinnanzi ad un’umanità sorda il dio Nettuno di Dastidar ‒ eroe eponimico ‒ reinventa se stesso trovatore di storie d’amore sofferte, barista, allenatore di calcio, confessore, computer o Cassandra che cerca, nonostante il nostro rifiuto di guardare noi stessi, di salvarci dalla fine verso cui stiamo pericolosamente sbandando.

L’opera di Rishi contiene molteplici richiami ad altri testi, con inserti di citazioni nascoste o evidenti (sino alle citazioni tratte dalla cinematografia: 2001 Odissea nello Spazio, L’Inferno di Cristallo), con contaminazioni di diversi miti occidentali e orientali (ad esempio il mito celtico e scandinavo del kelpie) e richiami ecologici e storici (Alexander von Humbolt, Salammbô, William Hesketh Lever, C.G. Jung, ecc.) e alla contemporaneità (crammer, robot, IA, compagnie petrolifere, reti di notizie) con una continua mescolanza di riferimenti culturali.

Le figure profetiche che si incontrano nell’opera di Rishi non hanno nulla a che fare con Tiresia o con le sibille della mitologia classica dipinte da Michelangelo o con la chiromante Madame Sosostris di T.S. Eliot, ma sono figure contemporanee intente a leggere un libro sulla morte di tutti noi (Il libro tibetano dei morti? Forse Il libro dei morti tratto dei testi delle piramidi, il Liber Novus di C.G. Jung, Il Ramo d’oro di Frazer? O cosa…). Nuovi profeti per cui “[…] la fine è in effetti il miglior inizio, / la cosa per cui abbiamo una vera dipendenza‒/ comincia da capo, nuove pagine, luci verdi, segnali di via./ […] il primo ballo dopo l’eternità.” come nella poesia “La profeta Kean ai tempi della Fine” (traduzione di A. Sirotti – LINK) ‒ una morte per acqua senza resurrezione o una morte sacrificale che precede la rinascita descritta nel Ramo d’oro di cui sopra oppure nulla di tutto ciò?

Recita un haiku del celebre maestro hijin giapponese Kobayashi Issa:“sia come un pesce/ che ignora l’oceano/ l’uomo nel tempo”

Per quanto riguarda la concezione del mare di Rishi Dastidar possiamo notare delle somiglianze con l’idea del mare purificatore dello shintoismo giapponese ripresa poi da T.S. Eliot in The Waste Land, un richiamo alla cultura nipponica già evidente nella copertina del volume in cui viene rappresentata una reinterpretazione della celebre xilografia intitolata “La grande onda di Kanagawa” di Hokusai. Acqua che in Eliot purifica dai peccati, una morte per acqua che è metafora di annientamento, distruzione eppure poesia di speranza e di fiducia confidando che l’uomo possa apprendere l’uno dall’altro e migliorarsi. In The Waste Land nel poemetto intitolato Death by Water il poeta T.S. Eliot ci offre una rappresentazione dei fertility gods la cui effigie veniva gettata in mare come rito di rigenerazione. Culti misterici di fertilità completamente perduti nel mondo contemporaneo e in cui non hanno più alcun risultato. Le correnti marine che lo travolgono non hanno una funzione transustanziale, come accadeva in The Tempest nel canto di Ariel, ma diventano un apocaliptic vortex che lo distrugge. La morte diventa un atto definitivo che ci ricorda che la rigenerazione è impossibile. Il poeta Rishi Dastidar tramite l’alter ego del dio Nettuno si rivolge all’umanità intera con un avvertimento ovvero di prendere coscienza del destino che li attende, una “morte per affogamento” che minaccia non solo la loro esistenza individuale, ma la loro stessa civiltà.

Neptune’s Projects come The Waste Land si avvia verso la conclusione con versi di buon auspicio e speranza: “Se miriamo all’infinito, forse conquisteremo il cielo./ Se miriamo all’universo, forse non moriremo.” (“Monodie per l’Antropocene” ‒ Traduzione di Emilia Mirazchiyska)

Prosa poetica e verso libero sono la forma espressiva prevalente in questa raccolta poetica di Dastidar. Alcuni componimenti, grazie all’uso del metro pentametro e tetrametro, colpiscono abbastanza velocemente, altri sono più elusivi e oscuri. Ciò che spicca nella scrittura poetica di Dastidar è il verso scattante, gemente sotto il carico di una profusione di informazioni e contenuti, si direbbe quasi sul punto di esplodere.

Neptune’s Projects è un volume profondo ‒ direi abissale ‒ audace, risonante, bizzarro, arguto, vario per contenuti, brillante e brioso, caratterizzato da un linguaggio fresco capace, tuttavia, di tracciare un nuovo territorio linguistico in cui vengono trattati i temi cogenti della contemporaneità. La professione di copywriter per la pubblicità e i brands ha indubbiamente influenzato il pervasivo umorismo della silloge. Humor, rabbia e sarcasmo sempre perfettamente bilanciati emergono dai versi di poesie irresistibili, che suscitano ammirazione.

Un’opera coinvolgente per varietà stilistica che è impreziosita da luminose gemme: “rocce di zucchero di canna” (“Le Plongeoir”), “segugi che inseguono la volpe delle complessità” (“Il libro dei morti della Brexit”). In Neptune’s Projects la fine dell’umanità è resa contorta, distorta, paradossalmente entusiasmante e viva. Dastidar crea un’esperienza di lettura alienante, destabilizzante e tuttavia incredibilmente gratificante grazie alla sapiente mescolanza d’arguzia post-moderna e ironia mitologica.

È un tuffo profondo, straordinario e affascinante nel mondo “sottomarino” che ci circonda e in come il nostro atteggiamento verso di esso rifletta l’angoscia della nostra epoca.

Una “caduta libera” descritta dettagliatamente da Dastidar nei versi della poesia “Pianeta nuovo, chi sei?” (“New planet who dis?”) che quasi pare evocare le parole di C.G. Jung “[…] La mia visuale comprendeva tutta la Terra; la sua forma sferica era chiaramente visibile e i suoi contorni splendevano di un bagliore argenteo, in quella meravigliosa luce azzurrina […].” (Jung, 1962, pp. 344 e 350). Con queste parole l’esimio psicoanalista descriveva le sue percezioni al risveglio dal coma conseguente a un infarto miocardico post-embolia polmonare nel 1944.

Tuttavia applicando un criterio analitico collaterale alcune poesie di Nectune’s Projects potrebbero incarnarsi o meglio transustanziarsi in ekphrasis di opere fotografiche digitali barocche, stravaganti quanto geniali quali le creazioni di David LaChapelle. “Landscape” del 2014, “Gas Station” del 2013 e “Deluge” del 2007 (di D. LaChapelle). In quest’ultima ‒ ispirata al Michelangelo della Cappella Sistina ‒ descrive la distruzione del Mondo, sul punto di essere spazzato via da un nuovo Diluvio. Sullo sfondo di personaggi neoclassici David ci mostra la decadenza di un mondo che ha provocato gravi danni ambientali, come il cambiamento climatico ha prodotto l’onda che travolgerà il mondo intero. Quando tutti sanno che dovranno soccombere, gli esseri umani ritrovano la loro umanità cercando di aiutarsi reciprocamente.

In conclusione si citano le parole dello psicoanalista e psichiatra Paulo Barone (Il bisogno di introversione – La vocazione segreta del mondo contemporaneoRaffaello Cortina Editore – 2023) a definire il ruolo del poeta nel mondo contemporaneo -una definizione che ben si adatta a Rishi Dastidar: “Nei momenti di emergenza, nei frangenti più precari e delicati, ci sono sempre delle figure chiamate per prime a fronteggiarli. Come un tempo si convocavano senza indugi ora il mago della pioggia, ora l’acchiappa-nuvole o un rabdomante di sicura fama per scongiurare l’approssimarsi di una tempesta, per risollevarsi dopo una stagione di intensa siccità o per individuare una sorgente d’acqua nascosta nelle vicinanze, così dinnanzi all’odierna crescente esposizione del nucleo inconscio delle cose, la figura chiamata in causa è quella dell’artista. Il vantaggio degli individui creativi, secondo Jung, consiste, infatti, nella permeabilità del loro diaframma fra coscienza e inconscio. Per via della loro relativa incapacità di adattamento essi si collocano ai margini dei modi di vivere consueti e nei punti più fragili e sottili del tempo cui appartengono. È questa posizione laterale che permette loro di percepire l’insoddisfazione del presente e di seguire, alle spalle di quest’ultimo la via della nostalgia: la via più indicata per entrare in contatto con l’inconscio e ricavarne, in anticipo sui tempi, quel messaggio, quella visione che l’epoca storica presagisce e di cui sente, senza saperlo, la mancanza.

L’artista, il poeta, sembra essere così l’ultima figura ‒ dopo quelle ormai tramontate dello sciamano, del sacerdote, del profeta ‒ a cui è riconosciuto il diritto di arretrare dal fronte della realtà verso l’inconscio; la sola figura rimasta, in ambito moderno, che sia legittimata a esserne la voce e, proprio per questo, anche la principale figura preposta, come dimostra l’arte moderna, a rimettere in discussione l’assetto ordinario e la conformazione canonica degli “oggetti”.

Questa sua posizione e le relative vicissitudini possono essere d’aiuto per mettere meglio a fuoco la condizione degli individui contemporanei?

Per Jung l’artista moderno rappresentava il prototipo dell’atteggiamento introverso – il solo da cui era lecito aspettarsi una nuova immagine del mondo – e, insieme, per il fatto di far parte di una cultura invece estroversa e soprattutto per il fatto di identificarsi con la sua mentalità, anche l’emblema del suo tradimento. Poiché, infatti, partecipa dello stile dell’epoca, che è estroverso, l’artista moderno tende a svalutare il proprio principio introverso, il fattore soggettivo, e ad assumere – dice Jung – “la mentalità dell’oppresso”, che deve difendersi dagli altri, più aderenti allo stile dominante.”

L’esergo di C.P. Baudelaire tratto da “L’uomo e il mare a ricongiungere in un cerchio perfetto questo mio narrare: “[…] Discreti e tenebrosi ambedue siete:/ uomo, nessuno ha mai sondato il fondo/ dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,/ mare, le tue più intime ricchezze,/ tanto gelosi siete d’ogni vostro segreto […]”

 

“Shanti Shanti Shanti” ‒ The Waste Land di T.S. Eliot e Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad versetti da 5.2.1 a 5.2.3

 

Rishi Dastidar
Rishi Dastidar

Rishi Dastidar è nato nel 1977 a Londra, città in cui vive e lavora. Le sue poesie sono state pubblicate, tra gli altri, dal Financial Times, dalla BBC e in traduzione italiana dalla rivista online bilingue “Inkroci”. Una poesia tratta dalla sua prima opera intitolata Ticker-tape, è stata inclusa in The Forward Book of Poetry 2018 e un’altra, tradotta in italiano da Andrea Sirotti, è stata presentata nel blog di “Interno poesia”. È membro del Malika’s Poetry Kitchen ed è presidente dell’organizzazione Spread The Word per l’aumento degli scrittori. Dastidar ha curato il libro The Craft: A Guide to Making Poetry Happen in the 21st Century (Nine Arches Press) ed è uno dei curatori dell’antologia Too Young, Too Loud, Too Different: Poems from Malika’s Poetry Kitchen (Corsair, 2021). La sua seconda raccolta, Saffron Jack, è stata pubblicata nel Regno Unito da Nine Arches Press nel 2020, seguita nel 2023 dalla terza raccolta Neptune’s Projects, inclusa nella lista preliminare in Agosto per il Laurel Prize 2023, istituito dal Poeta Laureato Simon Armitage come premio annuale per la miglior raccolta di poesia ecologica o sulla natura per mettere in evidenza la crisi climatica e sensibilizzare in merito alle potenziali soluzioni e sfide in questo momento cruciale nella vita del nostro pianeta.

 

Andrea Sirotti è nato a Firenze, dove insegna lingua e letteratura inglese. Si occupa soprattutto di poesia contemporanea femminile e post-coloniale, e fa parte delle redazioni di “Semicerchio”, rivista di poesia comparata e di “Interno Poesia”, blog e casa editrice per la promozione della poesia. Ha collaborato come critico e traduttore a svariate altre riviste tra cui “Pagine”, “Le voci della Luna”, “Sagarana”, “La Rivista dei Libri”, “Smerilliana”, “Testo a Fronte”, “Soglie”, “451”, ecc. Dal 1999 svolge l’attività di traduttore letterario, soprattutto di poesia e narrativa postcoloniale. Tra gli autori tradotti Carol Ann Duffy, Sujata Bhatt, Margaret Atwood, Karen Alkalay-Gut, Eavan Boland, Sally Read, Hisham Matar, Hari Kunzru, Lloyd Jones, Alexis Wright, Aatish Taseer, Ian McGuire, Brian Dillon e Chimamanda Ngozi Adichie. Per Giunti ha curato le introduzioni al Gitanjali di Tagore e alle opere poetiche di Oscar Wilde. Curatore e co-curatore di antologie poetiche “a tema”, ha al suo attivo: L’India dell’anima, antologia di poesia femminile indiana contemporanea in lingua inglese (Le Lettere, Firenze 2000 [seconda edizione, 2006]); Men/Uomini, ritratti maschili nella poesia femminile contemporanea, con Giorgio Sensi (Le Lettere, Firenze 2004) e Gatti come Angeli, antologia di poesia erotica femminile in lingua inglese, con Loredana Magazzini (Medusa, Milano 2006). Ha insegnato per diversi anni traduzione poetica in master universitari (a Pisa e Firenze) e in altre agenzie formative. Opera come promotore di eventi letterari, collaborando all’organizzazione di festival di poesia internazionale. Dal 2000 al 2008, insieme a Vittorio Biagini, ha curato per il Comune di Firenze le iniziative sulla poesia giovanile “Nodo sottile”. Insieme e Shaul Bassi ha pubblicato nel 2010 Gli studi postcoloniali. Un’introduzione, per i tipi de Le Lettere, Firenze.

 

Written by Federico Ielusich

 

Note

[1] Il kelpie è uno spirito maligno in grado di assumere la forma di un cavallo bianco e proviene dal folclore celtico, e si crede infesti i laghi ed i fiumi della Scozia e dell’Irlanda. È presente anche nel folclore scandinavo. Esso viene spesso descritto come un magnifico cavallo bianco che appare in prossimità dei fiumi, soprattutto nelle giornate nebbiose; si riconosce subito dalla coda e dalla criniera bagnata. Chiunque vi monti in groppa non è più in grado di scendere. Il cavallo salta allora nel fiume gettando in acqua il suo passeggero.

 

Bibliografia

Rishi Dastidar, Nepune’s Projects, Nine Arches Press, 2023

Paulo Barone, Il bisogno di introversione: la vocazione segreta del mondo contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Collana Minima, 2023, Milano

Giovanna Belli, Il Physiologus: L’ermetismo attraverso i simboli degli animali, Editrice Kemi, 1991, Milano

Info

Nine Arches Press

LaurelPrize

 

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