Jan Vercruysse: la ricerca del significato dell’essere artista

A Torino, durante le mie visite alla galleria Tucci Russo, che attualmente ospita le opere dell’inglese Conrad Shawcross, artista che sa creare affascinanti giochi di luce statici o in movimento, vengo spesso invitato a recarmi nella loro altra sede a Torre Pellice; finalmente questa estate mi ha offerto l’opportunità per andarci.

Jan Vercruysse
Jan Vercruysse

La cittadina di Torre Pellice, situata alla confluenza tra i torrenti Pellice e Angrogna, è profondamente legata alla storia e alle persecuzioni subite in passato dal popolo valdese, di cui è il centro principale, attivo e pulsante.

La galleria Tucci Russo occupa un’area di 1.200 metri quadri, in passato sede di una manifattura tessile e successivamente ottimamente riadattata; i locali ampi e luminosi la rendono idonea a ospitare installazioni di grandi dimensioni. Dal 21 maggio fino al 24 settembre 2023, presenta le opere dell’artista belga Jan Vercruysse, morto a sessantanove anni nel 2018.

Per esprimere la propria vena creativa, sceglie all’inizio la poesia; nel 1974 posa la penna e passa all’arte visuale, conservando però quell’amore della parola e quella sensibilità unica, che solo i veri poeti possiedono.

Molto noto anche in Italia, ha esposto in una personale al Castello di Rivoli nel 1992, nel 1993 ha partecipato alla Biennale di Venezia e nel 2002 è stato tra i prescelti per il progetto pubblico torinese “Luci d’Artista”; Jan è stato uno studioso, un ricercatore, un filosofo, e si è posto continuamente domande sulla sua missione di artista e su che cosa sia l’arte.

Alla Tucci Russo, un video documenta cronologicamente la produzione e il pensiero di Jan Vercruysse. Per lui l’arte è qualcosa che supera il limite artigianale dell’artista e va colta nella comunicazione di emozioni allo spettatore, ricordando che il primo spettatore è e deve essere l’artista stesso; Jan cerca quindi di intuire la scintilla, impossibile da riprodurre e da descrivere esaurientemente, che rende arte un’opera e non-arte un’altra, la ricerca del suo posizionamento nello spazio reale o immaginario, nel tempo eterno o nell’attimo, nella realtà o nel ricordo o nella fantasia.

Questa impostazione ha come necessaria conseguenza che l’opera d’arte non sia qualcosa di stabilito e isolato, ma un divenire continuo, un percorso, una narrazione che si concretizza in momenti diversi, sempre apparenti e provvisori.

La galleria Tucci Russo ha cercato, riuscendoci in modo convincente, di presentare in modo coerente e consequenziale un nutrito estratto della produzione di Jan Vercruysse tra gli anni 1981 e 2013.

Seguendo il mio gusto e interesse personale, tralascio le opere legate alla fotografia per soffermarmi su quelle che sfruttano maggiormente lo spazio.

La Sfera - opera di Jan Vercruysse - Photo by Marco Salvario
La Sfera – opera di Jan Vercruysse – Photo by Marco Salvario

Una delle installazioni che rappresenta il senso di incompletezza, di mancanza, di attesa, è Petite Suite. Una poltrona elegante, allineata al muro però leggermente decentrata, crea la sensazione di un ambiente signorile e nobile, ma le cornici dei quadri, geometricamente disposte, sono vuote e mancano della parte superiore. L’opera da un lato è mutilata, incompleta, dall’altro non ha più limite nello spazio e nel tempo, catturando dentro di sé sia l’artista che lo spettatore.

La Sfera, esposta nel padiglione del Belgio alla Biennale di Venezia del 1993, rappresenta invece la distanza incolmabile che separa gli esseri viventi, la loro solitudine. Due tartarughe spingono ognuna una sfera bianca, l’una verso l’altra. La sfera simboleggia il condividere il primo ed elementare dei bisogni umani, il gioco. Se volete fare divertire i bambini o anche i grandi, date loro una palla.

Tuttavia le due tartarughe sono ferme, lente, lontane, prive di ogni colore. Pur essendo il simbolo della pazienza e dell’immortalità, non si raggiungeranno mai, non realizzeranno se non all’infinito il loro desiderio di incontrarsi. La loro fatica è inutile e ostinata come quella di Sisifo.

Atopies (XVII) crea con tre elementi, due porte e un focolare, un’illusione di ambiente. Il focolare ci porta a pensare alla serenità della famiglia, al suo calore, alla sicurezza. Le due porte sono aperture verso l’esterno, verso altre stanze, eppure, qualcosa ci destabilizza.

Le porte riflettono il visitatore in modo inatteso, a sottolineare che non è possibile attraversarle senza rinunciare a parte di noi stessi. In una il visitatore vede riflesse solo le proprie gambe, nell’altra la parte superiore del corpo e, se è alto come me, senza testa. Che nell’immagine a me manchi sempre la testa, può avere un significato su cui devo meditare.

Sembrano lapidi, le iscrizioni presenti nelle opere contraddistinte come Places (III-8), composte con caratteri che riproducono i semi delle carte da gioco francesi, creando un’armonia esotica, quasi araba.

Non sono in grado di confermarlo, devo fidarmi della documentazione fornita dalla galleria Tucci Russo: i caratteri non sono disposti a caso, ma traducono nel loro linguaggio inventato la frase “Mist oscured” e il nome di una città. Quindi, per esempio: “La nebbia oscurava Palermo”.

Les Paroles - Opera di Jan Vercruysse - Photo by Marco Salvario
Les Paroles – Opera di Jan Vercruysse – Photo by Marco Salvario

Come ultima opera, mi piace ricordare Les Paroles XXIII. Un’alta sedia di legno è circondata, difesa, da duecento bottiglie di vetro e da migliaia di rotonde pietre colorate.

La sedia è simbolo del potere, dell’autorità, ma è rimasta vuota, abbandonata; i grandi discorsi che potevano essere declamati per guidare un popolo non hanno nessuno che li proferisca.

Nonostante i colori vivaci delle pietre, la pedana e i colori del legno sono neri e bui. Le parole, di nuovo, non sono altro che attesa e silenzio.

Il re non c’è. Il re è muto.

 

Written by Marco Salvario

 

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