“Al Dio sconosciuto” di John Steinbeck: quel che voi adorate senza conoscere (Atti degli Apostoli, 17,23)
John e il figlio Jack Wayne: “i due uomini si rassomigliavano. Avevano entrambi un grande naso e alti zigomi massicci…” – e un che d’ineffabile.
Diceva John a Jack: “… Non sei il maggiore, Joseph, ma ho sempre pensato di darti la mia benedizione. Thomas e Burton sono uomini per bene, buoni figli, pure ho sempre destinato a te questa benedizione, perché tu prendessi il mio posto. Non so perché. C’è in te qualcosa di più forte, Joseph; di più sicuro e più intimo.” – e di terribilmente fatale, mi viene da aggiungere, avendo appena finito di leggere il romanzo Al Dio sconosciuto di John Steinbeck.
Jack lascia la casa del padre, che è nel Vermont, e se ne va da solo verso la California.
“Nella profondità della sua mente c’era la sensazione di essere un traditore…” – tradire deriva da trans-dere, dare andando oltre. Come per tutti gli atti umani, un giorno se ne scopriranno gli effetti.
“Se non stava attento questa terra lo avrebbe posseduto per intero. Per combattere un poco la terra ricordò suo padre, la calma, la serenità, la forza e la perenne giustizia di suo padre.” – come quello che appare sotto il sole, tutto è vanità, destinato com’è a consumarsi nell’adempiere il destino comune, quello che si riferisce al detto arşân: tót à fîn!
Noi siamo simili a quei “cinque altri porcellini”, mentre al sesto, poveretto, un “cinghiale” sta divorando “le lacere terga”. Poveretto. Ma, congiunzione disperatamente avversativa, prima o noi, ognuno di noi sarà il sesto fra cotanti maialini.
Le stesse piante non sono eterne: “Spietati e terribili, gli alberi di madrone. Gridano di dolore quando bruciano.” – il fuoco purifica soltanto chi lo sa rimirare da una certa distanza.
“Stette a lungo lassù. Mentre guardava la valle, Joseph sentí invadersi le vene da un caldo fluido d’amore. ‘È terra mia’ disse semplicemente e i suoi occhi brillavano…”.
La natura è irta di se stessa e non d’altro: “… un’immensa falange nera marciava lentamente su dal mare con uno scalpiccio di tuono. Joseph tremò di delizia alla violenza promessa.”
La religione è il legame che ti scegli per esistere, perché hai bisogno di corde che stringono mentre vai agognando la libertà.
“La sua fame di possesso si fece passione.” – e oramai non c’era da illudersi.
“Per un attimo la terra era stata la sua donna.” – come se ti avesse partorito, ma sei tu che stai soffrendo il suo travaglio.
“Per un attimo un pino nero e acuminato trafisse la luna, poi essa continuò a salire e se ne staccò.” – a quei tempi era troppo lontana per temere noi terricoli.
“… mio padre è in questo albero. Mio padre è questo albero! È sciocco ma voglio crederci.” – il bello di una fede è che la si può scegliere, per poi magari rigettarla; il brutto è quando non puoi più liberarti dalle sue infami e materne catene.
Thomas “spesso sedeva sull’orlo di una mangiatoia mentre i cavalli masticavano il loro fieno.” – come dei consanguinei.
Thomas “non era gentile con le bestie, o per lo meno non più gentile di quanto esse non lo fossero tra loro, ma doveva agire con una coerenza che gli animali erano in grado di comprendere, perché tutti quegli esseri avevano fiducia in lui.” – e lui in loro.
Thomas “li uccideva senza sentire nulla più di quanto sentivano essi stessi nell’uccidersi a vicenda.” – al bando i sentimenti quando rallentano l’azione! Thomas era un uomo giusto e duro.
“Thomas comprendeva gli animali, ma non capiva gli esseri umani e non se ne fidava molto.” – come se fossero degli stranieri che discorrevano in un idioma quasi incomprensibile.
Sua moglie “Rama” – nata per essere casalinga e in grado di gestire, accarezzandoli e punendoli terribilmente, i propri bambini, che la “adoravano” se “erano stati buoni”; diversamente la temevano.
“Burton non stava mai bene.” – e ne era quasi felice: “perché aveva la dimostrazione che Dio lo teneva in sufficiente stima per farlo soffrire.” – una goduria che non riesco a invidiare.
“Aveva braccia e gambe magre, forti come corde intrecciate.” – un fisico e una mente ideali (per sé e basta).
Poi c’era Benjamin, che era ben voluto da tutti, nonostante i suoi difetti: etilista cronico e appassionato procacciatore di donne altrui: “… i messicani gli dettero da bere, gli insegnarono i loro canti, e Benjy si prese anche le loro mogli quando accadde ai mariti di girare gli occhi.” – era come una bottiglietta che, se vuota, diventava un vuoto a perdere, se piena, traboccava di liquidi.
“Delimitarono le loro terre con cinte di piccoli pali, come richiedeva la legge, ma non pensarono mai, nemmeno per un momento, che la terra fosse divisa in quattro.”: una famiglia provvisoriamente unita.
“Joseph era l’indiscusso signore della famiglia.” – quasi il padre di tutti, anche di sé. – “Uno che sterminava senza pietà le creature sterili” – ma amava quelle gravide. Uno che non temeva di dire che le avrebbe pure montate lui, quelle bestie, se fosse servito. Al che prende coscienza di un fatto: “Sono il solo essere sterile. Ho bisogno di una moglie.”
Thomas non sopporta Burton, e così dice di lui: “Mangia Dio come gli orsi mangiano carme, per prepararsi all’inverno.”
Pare difficile immaginare due persone diverse come Joseph ed Elisabeth, giovane, carina, colta: i due si sposano, strambamente innamorati. Lei, con la sua cultura, compie talvolta dei lievi svolazzi. Lui la riporta ogni volta al suolo e le sa dire queste belle parole: “L’amarezza di essere donna può essere un’estasi.”
I loro dialoghi sono molto belli, e ognuno dei due li intende a modo suo: insieme, sono felici.
Benjy fa di tutto per farsi togliere dai piedi, facendosi un bel dì ammazzare. Il suo killer è Juanito, una specie di figlioccio mezzo messicano e mezzo indiano di Joseph. Ha i suoi motivi per compiere quel delitto. Chiede poi a Joseph di ucciderlo, per ristabilire una sorta di giustizia. Poiché il suo padrino non ci pensa proprio, se ne scappa via. Ma promette di tornare, “quando le ossa saranno monde.” – il concetto è ripetuto tre volte.
Un tenero pensiero per il povero Benjy da parte di Rama: “Fra un anno avremo dimenticato la sua esistenza.” – e poi gliene dedica un altro: “Beveva per impossessarsi di una particella della morte: e ora l’ha tutta.” – Prosit! …finalmente in pace, per Dio!
Rama dice a Elisabeth, parlando di Joseph: “… ha forza al di là di ogni possibilità di disfatta, ha la calma delle montagne, e il suo sentimento è selvaggio, crudele e acuto come la folgore, e altrettanto irragionevole, per quanto io lo possa vedere o sapere.” – Amen!
E ancora: “Non lo amo. Non c’è possibilità di contraccambio. Lo venero, e in ciò non ho bisogno di essere ricambiata. E anche voi farete così, senza alcun ricambio. Ora sapete tutto, e non occorre che siate spaventata.” – l ē bróta ma s-cèta, brutta ma schietta, così si dice dalle mie bande. Questi contadini, tutti quanti, sono villanamente tragici. La catarsi, poi, è sempre dietro l’angolo, in attesa.
“Joseph dimenticò quasi il suo scopo, perché le colline gli tendevano tenere braccia e le montagne erano dolci e insistenti come donne amorose e semiaddormentate.” – in una silvestre, infinita tenerezza.
Dice Joseph all’albero-padre: “Ci sarà un bambino, padre. Prometto che te lo deporrò tra le braccia quando nascerà.” – e ogni promessa, mi diceva all’asilo Suor Bice, è un debito.
Burton è scandalizzato, non vuole che suo fratello parli a un albero, come se fosse un Dio. Dio è Unico, ed è solo il suo. Punto. Egli minaccia il fratello: “Tu hai abbandonato Iddio e la sua collera ti abbatterà.” – a ognuno la sua mansione, per Dio!
“… suppongo che lo chiameremo John. C’è sempre stato un Joseph o un John. John è sempre stato il figlio di Joseph, e Joseph il figlio di John. È sempre andata così.” – come vi fu sempre un Cristoforo detto Stefano figlio di un Andrea, e un Andrea figlio di un Cristoforo detto Stefano, ma prima o poi la tradizione si spense. Io sono semplicemente Stefano.
“Burton guardò indietro mentre entrava in casa, e vide Joseph mettere il bambino in un incrocio di rami e i rami nodosi curvarsi in segno di protezione.” – e in quel momento l’iconoclasta Burton meditò la soppressione di quel satanico essere frondoso.
Il fedele Joseph se ne accorge quasi subito, e dice: “Non c’è vita nel mio albero” – e così perdona l’assassino, dicendo: “Si punirà da se stesso. Io non ho punizioni.”
Joseph porta la sua bella in una vacanza che si rileverà letale: “Le mani di lei afferrarono il muschio e lo strapparono. Joseph vede la sua testa descrivere un piccolo arco e battere al suolo.” – era un umano tentativo di uscire da una magia. Chissà se, crepando, c’è riuscita.
“Noi uccidiamo una vacca ed essa è morta non appena ne abbiamo mangiato la carne, ma la vita di un uomo è come il commuoversi di uno stagno tranquillo, a piccole onde, che si allargano prima di placarsi nell’ultimo riposo.” – e questo discorso vale per tutti noi.
“Tutto pare che agisca con un ritmo ricorrente, eccettuata la vita. C’è solo una nascita e solo una morte. Non c’è nient’altro di simile.” – ognuno nasce e muore in maniera originale, è la norma.
Rama dice, tra l’altro, a Joseph: “Non puoi vedere i singoli, vedi solo il complesso.” – come dire: non vedi che il complesso e il singolo sono due eventi omogenei.
Dopo di cui Rama invade il giardino del dio, uscendone, come dire, realizzata: “‘Era per te una necessità’ ella bisbigliò. ‘Per me era fame, ma per te bisogno. Il lungo fiume del dolore è stato sviato e assorbito da me, il dolore che è soltanto un pallido piacere è estirpato per un attimo.” – Joseph concorda che si è trattato di una “necessità”. Ma poi chiede: “Rama, che vuoi da me?” – non sempre i sacerdoti comprendono l’anima delle loro fedeli.
A pagina 175 il negoziante Romas chiede a Joseph se si ricorda di suo figlio, che, dice: “Si è impiccato.” – chissà perché. Lo scopriremo leggendo.
Joseph e Thomas fanno conoscenza di un vecchio pazzo, che ha dei riti tutti i suoi, che prevedono il sacrificio di un’anima scalpitante, allorché tramonta il sole. Dice che l’astro dorato: “È già sparito per tutti fuorché per me.”: il Sole val bene un animale agonizzante.
“… Smisi di giustificarmi. Faccio questo perché mi rende felice. Lo faccio perché mi piace.” – così a Joseph piaceva conversare con quell’alberetto, che fu poi ammazzato da quel cristiano.
Il vecchietto ha un buon rapporto coi viventi: “Andò alla porta, fischiò stridulo, e in un attimo la campanella d’argento cominciò a tintinnare. Gli asini si avvicinarono al trotto, e dietro a loro i due cavalli”: e i due fratelli poterono rincasare.
Il vecchietto, la povera Elisabeth,e fors’anche i disgraziati Benjy e Burton, erano tutte alla mercé dei propri riti. Rito deriva dalla radice ri-andare, scorrere (come del resto rivo). Simbolo deriva da symballo, che è un gettare insieme, unire. Ogni rito frantuma un simbolo, il che accade durante ogni messa, quando il sacerdote spezza il pane. Gravitazione ed entropia hanno due genitori comuni, ma non vantano sorelle.
“… il rivo strozzato che gorgoglia..”. – canta il poeta Eugenio Montale, che è il traduttore di questo greve e melodioso romanzo Al Dio sconosciuto di John Steinbeck. Dice ancora Rama a Joseph: “… quasi quasi ti odio.”
Un passo, a pagina 196, anche per Mircea Eliade sarebbe stato un mezzo mistero: “Si volse infine alle case morte, alla stalla morta e al grande albero morto, tutto era più silenzioso del verosimile. Le porte delle stalle erano spalancate sui cardini…” – e Sic transit gloria mundi, oppure: Panta Rhei.
“Rama era una donna ordinata.” – gravitazionale. Che se ne va via col marito, per salvare dalla siccità quel che può della mandria. Joseph rimane a pregare non si sa chi, cominciando da se stesso.
“Il corso del tempo era rallentato e tutti i pensieri gli zoppicavano nel cervello come il rospo cornuto quand’era uscito dalla polvere.” – dove anch’egli sarebbe tornato.
“Aspetteremo qui, barricati contro la siccità.” – dopo di cui appare dal nulla una risorsa: Juanito, che si è ricongiunto con l’amata sua sposa.
“Juanito amava Joseph fino allo spasimo” – con affetto filiale!
Dice Joseph: “C’è un proverbio in questo paese, l’ho imparato tanto tempo fa; ‘In annata di siccità tutti i segni mentono.” – per cui basta leggere tutto all’incontrario e il futuro diviene ineluttabile.
Basta un sacrificio di un dio, il primo che passa, che è anche l’ultimo ch’è rimasto, tanto minuscolo quanto immane, e accade il miracolo, accidentale come sempre: finalmente piove!
“La pioggia rumoreggiava sul terreno, e in distanza il fiume correva fragoroso sulle pietre, le chitarre pulsavano febbrili e il canto era diventato un grugnito bestiale.” – a ogni Giocondo Carnevale succederà una Tetra Quaresima, e poi si festeggerà, ogni volta come se fosse una novità esistenziale, la Santa Pasqua. Onde per cui, come per tutto quel che esiste: Amen e Così sia!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
John Steinbeck, Al Dio sconosciuto, Bompiani, 2007