Arte e inclusione sociale: il progetto di Maria Daniela Carta presentato sul Trenino Verde nella tratta Mandas-Laconi
Il mondo non va mai a dormire e se porgi con attenzione il tuo orecchio all’ascolto, sentirai il ticchettio prodotto dalle scarpe degli esseri umani mentre percorrono i passi del proprio migrare.
Le sagome camminano, migrano e, in silenzio le une accanto alle altre, si sfiorano, incrociano i loro sguardi, concepiscono pensieri, odono parole, avvertono respiri e, troppo spesso, si dileguano senza aver pronunciato alcun verbo, senza aver stretto relazioni.
La vita è sempre più frenetica e ci comanda di sveltire il passo, impedendoci di denudarci per indossare i panni di chi cammina al nostro fianco. L’importante è andare, in silenzio, senza voltarsi, senza prestarsi, senza offrire una carezza o una parola di conforto, senza soffermarsi troppo a riflettere. È come se ciascuno di noi fosse ipnotizzato, quasi sospeso in una dimensione parallela e non “vedesse” chi gli passa accanto.
A tutto questo si aggiunge la paura dell’ignoto, alla quale si somma un grande senso di inadeguatezza che frena, blocca, allontana. Quale potrebbe essere allora, la chiave di sblocco di questo arrugginito stazionario meccanismo?
Maria Daniela Carta, autrice, performer teatrale, formatrice ed educatrice AEFT, decide di fermarsi e di interagire con il mondo in maniera diversa. Maria Daniela è una geniale visionaria, ella ci propone una chiave di sblocco veramente interessante: il suo progetto “Arte e inclusione sociale nella scrittura/lettura: accessibilità, inclusione, il mio ‘punto di vista’, in viaggio, per raccontarci meglio!” Ovviamente, essendo una geniale visionaria, Maria Daniela non si accontenta di scrivere il progetto e di lasciarlo lì, sulla sua scrivania.
Lo recapita fiduciosa all’Arst proponendo la presentazione dello stesso sul Trenino Verde durante una delle sue suggestive tratte, attraverso i suoi due racconti “Il Gran Samà” presente nell’antologia “Ricky pesce-viola e altri racconti” e “Pedra Ischidada” presente nell’omonima antologia, entrambe frutto di due Concorsi letterari indetti dalla Casa Editrice sassarese Catartica Edizioni. L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, entusiasta, accetta e offre all’autrice il viaggio nella tratta Mandas-Laconi, il medesimo che lo scrittore inglese David Herbert Lawrence effettuò nel gennaio 1921 assieme a sua moglie Frieda, viaggio che lo stesso Lawrence descrisse successivamente nel suo libro “Sea and Sardinia”.
Il 3 settembre alle 9:00 un gruppo di oltre 70 persone si ritrova presso la stazione di Mandas, prende posto sul treno e parte per un viaggio portentoso che, inaspettatamente, abbatterà ogni invisibile barriera. Prima di salire sul treno, io e Maria Daniela, ci fondiamo in un sincero abbraccio. Ci conosciamo da meno di un anno ma in entrambe, c’è la metà della calamita che attira l’altra.
Approfitto di questo intimo momento per porgerle qualche domanda a riguardo del suo progetto, per cui le chiedo: “Come nasce il tuo progetto e che aspettative hai nel realizzarlo?”
Emozionatissima, con gli occhi scintillanti mi spiega: “Il mio progetto nasce dal desiderio di favorire lo sviluppo culturale e artistico rispetto ai temi di inclusione e integrazione, identità e appartenenza, in una modalità che favorisca l’espansione dei valori attraverso l’arte e i suoi linguaggi. L’idea è quella di attraversare in varie tappe, terrestri e marine, un itinerario che abbraccia atmosfere di cui tutti i sensi potranno godere. Come abitanti e visitatori del tempo, saremmo esploratori emozionali delle storie che racconto.”
E ho continuato con: “Come mai hai deciso di utilizzare arte, scrittura e lettura per far si che le persone ‘normodotate’ incontrassero le persone ‘disabili’?”
Maria Daniela mi ha risposto: “Spesso quando incontriamo persone disabili la nostra attenzione ricade, a volte anche in modo inconsapevole, sul negare totalmente la disabilità o sull’estenderla all’intera persona mettendo in primo piano sempre e comunque le sue manifestazioni fisiche, psichiche o emotive. Dovremmo coesistere sullo stesso canale sensoriale, principale mezzo di conoscenza e relazione con il mondo e non si può e non si deve prescindere da una cultura della diversità, intesa come risorsa e fonte di ricchezza, per sentirsi partecipi della vita culturale della propria comunità.”
Maria Daniela si ferma un secondo, sospira e poi decisa prosegue: “Che relazione abbiamo con la disabilità? Facciamo fatica a pensare all’handicap come a qualcosa che ci riguarda, soprattutto quando le nostre vite si incrociano, quando entriamo in contatto con quello che per noi non è normale, quando il nostro essere avvia una interazione con chi vediamo essere diverso da ciò che siamo noi, incasellati nella categoria dei normali di cui facciamo parte, la massa. Qual é la normalità? Se ne parla tanto, ma occorrono azioni e cambiamento della radice del pensiero, che ribalti la cultura dell’immagine, perché tutto ciò che è diverso dalla massa, infastidisce, destabilizza e mette paura. Infastidisce perché non sappiamo come gestirla, destabilizza perché distrugge la routine a cui siamo abituati, e mette paura perché ci pone davanti qualcosa che non conosciamo.”
L’emozione è tanta, il cuore batte veloce e lo si sente scalpitare in tutto il corpo. La guida turistica inizia a fare l’appello per cui ci mettiamo in fila per prendere posto sul vagone.
Sul Trenino Verde, oltre i turisti ignari della sorpresa che li attendeva, assieme a Maria Daniela Carta salgono a bordo l’editore di Catartica Edizioni Giovanni Fara, il relatore Salvatore Cocco (non vedente), alcuni amici dell’autrice e un gruppo di non vedenti proveniente da Cagliari.
Tutti a bordo, si chiudono le porte, il capostazione fischia, il treno inizia la sua portentosa corsa! Sedute le une accanto alle altre, persone di varie nazionalità, si ritrovano costrette a mettere in campo lo spirito di adattamento e, grazie a questo prezioso dono, iniziano a dialogare e a individuare probabili affinità con chi gli sta vicino. Intanto la guida turistica presenta Maria Daniela e le fa esporre il suo progetto.
Dopo circa 20 minuti di viaggio, la compagnia fa la sua prima sosta a Isili dinnanzi al nuraghe “Is Paras”, ad attenderla le autorità Comunali, la responsabile del Museo Maratè, il parroco, una lettrice e diversi isilesi incuriositi dal progetto pubblicizzato nei giorni precedenti.
Quando il sole inizia ad accarezzare la pelle e i passeggeri spontaneamente si sono disposti in silenzio e in modo rispettoso accanto al muretto a secco che chiude il perimetro del nuraghe, facendosi rapire dall’incanto della natura, dai suoi profumi e dalla musicalità della nostra storia millenaria, la lettrice apre le danze con la lettura di un estratto del racconto “Pedra Ischidada”. È proprio in questo momento che accade qualcosa di eccezionale. Si innescano connessioni sublimi, vigorose, forti, eterne tra gli esseri umani presenti che volutamente si fanno vezzeggiare dalla natura. Un testo intenso, una limpida voce narrante, menti aperte e inclini, cuori palpitanti, gli interventi di Maria Daniela e Salvatore, un brivido lungo la schiena.
Con uno spirito e una predisposizione diversa, tutti i viaggiatori salgono nuovamente a bordo del treno per proseguire il loro viaggio che fa una brevissima sosta a Nurallao per poi proseguire verso Laconi dove, ad attendere la carovana, c’è il Sindaco.
A Laconi, la meta è il Parco Aymerich. Qui camminando in suggestivi sentieri, ci si immerge in un’oasi naturalistica di 22 ettari, tra innumerevoli specie vegetali, cascate, laghetti, ruscelli, cavità naturali e le rovine medievali del castello costruito nel XIII secolo e appartenuto alla famiglia feudataria che dà il nome al parco. In questa incantevole cornice, prosegue piacevolmente la giornata tra letture, giochi, scambi di opinioni, condivisione del cibo, confidenze, sorrisi e abbracci.
L’atmosfera che si respira è quella prettamente familiare, nonostante siano passate solo poche ore dall’avvio del progetto, per cui colgo l’occasione per porgere ancora qualche domanda a Maria Daniela e ai presenti. Ed infatti chiedo: “Per gli autori scrivere è una necessità impellente. Tu, Maria Daniela, quale necessità personale dovevi soddisfare quando hai deciso di scrivere e presentare questo progetto?”
Maria Daniela mi risponde: “Questo progetto è per me una forma di riscatto. Gli autori con i loro scritti lasciano su questa Terra una traccia, un segno del loro passaggio. È un po’ come avere figli, avere una continuità vivendo nei loro ricordi e nei loro racconti. Io non ho figli, per questo ho deciso di mettere nero su bianco le mie idee, di proporle e di far sì che divenissero realtà. Vorrei lasciare una traccia del mio esistere, del mio pensiero. Vorrei che la gente apprezzasse la magnificenza dell’arte in tutte le sue forme. Sono una performer teatrale, il teatro è arte, così come lo sono la scrittura e la lettura espressiva. L’arte avvicina le persone, da ad esse motivo di incontrarsi e crea occasioni affinché non si lascino più.”
Il mio scambio di battute con Maria Daniela si trasforma in un dialogo aperto che coinvolge tutte le persone presenti e diventa momento di crescita personale e culturale.
Prendo coraggio e decido di porre un’altra domanda, questa volta a Salvatore Cocco: “Anche se personalmente non amo la parola ‘disabilità’, in questa occasione sono costretta ad usarla per esprime al meglio il concetto. La disabilità e le patologie incutono paura e allontanano le persone, puoi dirci cosa pensi a riguardo di questa mia affermazione e raccontarci, se ti va’, la tua esperienza?”
Salvatore Cocco sorride, quasi a dire: “Anche se mi conosci da poco puoi leggere la risposta nell’espressione del mio viso.” per cui lancia la patata bollente ai suoi amici.
A rispondere è Giancarlo, diventato non vedente in seguito ad un incidente stradale: “Io ho avuto la possibilità di vivere anche da vedente e noto sostanziali differenze tra la mia vita di prima e quella attuale. Quando sei normodotato, hai attorno a te innumerevoli persone. Quando sei “cieco” troppi si allontanano perché diventi quasi un peso. In casa riesci a districarti bene. Il problema sono gli spostamenti. È difficile trovare sempre qualcuno disposto a farti compagnia, nella maggior parte dei casi devi pagare per trovare un accompagnatore. La società non è educata sufficientemente all’inclusione ed è distratta. Il ‘bastone bianco’ è un segno identificativo eclatante della mia condizione, eppure quando le persone per strada sbadatamente mi urtano, esclamano: ‘Ma sei cieco!’. Meno male che esiste lo sport e meno male che esistono persone sensibili come Maria Daniela Carta che ha avuto la brillante idea di scrivere questo progetto, meno male che ci sono persone come voi, qui presenti, che ci avete creduto e avete partecipato!”
Per qualche secondo nessuno ha osato proferire parola. Nella risposta di Giancarlo è racchiuso tutto il senso e il valore del progetto fortemente voluto da Maria Daniela.
Alle 16.30 si sente nuovamente il treno fischiare. Richiamava i suoi passeggeri per indicare che era arrivata l’ora di salire a bordo per fare rientro a casa. Alle 18.30, come previsto, l’arrivo a Mandas e qui, nella chiesetta di Sant’Antonio Abate situata nel centro storico del paese accuratamente restaurato dal Comune, un’altra Comunità capeggiata dal suo Sindaco, ha ascoltato e applaudito Maria Daniela per la sua genialità ma, soprattutto, per il suo grande cuore.
Mi sono dilungata, lo so, ve ne chiedo scusa. L’ho fatto di proposito perché il mio desiderio è quello di trasmettervi la magnificenza di questo progetto e la necessita che hanno le sagome di fermarsi per ritrovarsi.
Abbiamo bisogno gli uni degli altri, e nessuno può prescindere da questo concetto.
Rientro a casa trionfante poiché ora “riesco a vedere”. La ricchezza che ho acquisito ha un valore incommensurabile ed è risoluta mentre spazza via ogni barriera.
Cara Maria Daniela grazie per aver rallentato la corsa, questo è solo il principio del tuo riscatto. Esso è reale ed io ti ringrazio per il prezioso dono che hai elargito a tutti noi!
Written by Manuela Orrù
Photo by Pietro Atzori Gessa