“Il processo” di Franz Kafka: Possibilità e Necessità
Il 2024 sarà l’anno del centenario dalla morte di Franz Kafka, avvenuta a Kierling nel 1924.
La sua nascita è avvenuta a Praga nel 1883.
Ma è a un’altra città, ovvero Berlino, che è legata una vicenda la quale, plausibilmente, ha rappresentato la spinta propulsiva alla scrittura de Il processo. Un libro di cui egli sembrava essersi pentito e che non voleva pubblicare. Il romanzo infatti è stato pubblicato postumo.
Nel luglio del 1914 Kafka si reca a Berlino per sciogliere il fidanzamento che lo lega a Felice Bauer. L’incontro avrà luogo in una camera d’albergo, alla presenza della sorella e di un’amica di lei. Nei suoi diari, l’autore lo paragona a un «tribunale». Poche settimane dopo, Kafka inizierà la scrittura del Der Proceß – Il Processo.
Una mattina Josef K. viene dichiarato in arresto. Non ha fatto nulla, sa di non aver commesso alcun reato, eppure è proprio lui che cercano. Josef K. pensa subito a un malinteso, un disguido e così sceglierà di agire secondo ragione. Ma la ragione nei romanzi di Kafka serve a poco o nulla. La colpa di Josef K., qualunque essa sia, richiede un castigo, che si dispiega nella sua arbitrarietà non solo nella condanna finale, ma in tutto ciò che avviene in mezzo: deve lottare ogni giorno tra avvocati, interrogatori e udienze per raggiungere la libertà.
E, paradossalmente, spesso sembra dover combattere anche contro se stesso, contro la sua mente, la sua stessa ragione su cui tanto ha fatto affidamento.
Josef K. sembra non comprendere gli eventi ma, solamente, subirli. Con questo schema scelto da Kafka il lettore riesce a entrare nella storia come ne fosse parte attiva, o meglio “passiva”, proprio come il protagonista. E, insieme, sembrano scoprire cosa accade. Ma, ovviamente, non è così. Perché Josef K., inventato ad uopo da Kafka, di riflesso sa per certo cosa accade e cosa accadrà nel libro.
Ma potrebbe Kafka essersi sentito nella stessa identica maniera del suo protagonista durante il suo di processo, quello svoltosi nel tribunale della camera di albergo. Tutto questo intricato intreccio non fa altro che catturare il lettore e stupirlo, meravigliarlo e lasciarlo gioire della grandezza artistica dell’autore.
Come fosse tutta una percezione: il mondo in cui sta vivendo Josef K. è reale ma è anche una beffa. Un complicato intreccio di inganni ordito da menti superiori, nascoste, che controllano Josef K. e controllano il mondo che lui vorrebbe controllare con la ragione.
Rileggendo oggi Il Processo il lettore nuovamente si stupisce di quanto Kafka sia riuscito a creare con le parole. Spesso la mente rimanda alle immagini di Matrix[1], con le sue acrobazie fatte con la mente e al tentativo di dare una ragione a ciò che senso proprio non ne ha.
L’angoscia di Josef K., pagina dopo pagina, assorbe anche il lettore il quale sembra venire risucchiato da questa surreale claustrofobia che sottende all’intera vicenda. E così pare anche a lui ormai impossibile una vita libera dalle circostanze esterne, dalle convenzioni sociali, dal potere dell’Altro su di noi.
Una narrazione che riesce a far guardare al mondo con occhi diversi e, al contempo, “costringe” a indagare se stessi con la stessa crudele e dolorosa e necessaria precisione.
Kafka non è una lettura semplice. Non lo è per quasi nessuno dei suoi scritti. Eppure leggendolo ci si accorge ogni volta di quanto sia necessaria. Utile a comprendere il mondo, di allora come di oggi. Per comprendere anche se stessi. A tratti, leggere Kafka, potrà sembrare una lettura incomprensibile ma non è così. È il racconto della vita reale e complicata che porta la scrittura a essere o diventare complessa. Perché è proprio la vita, spesso, a essere incomprensibile, insopportabile, esattamente come le ingiustizie di cui Kafka racconta. Ingiustizie che neppure l’accettazione, voluta o subita, della Legge può giustificare.
Per certo, nell’analisi di Kafka, non può giustificare l’esistenza del mito sacrificale, del tipo di quello cui è stato sottoposto Josef K.
Il nesso fondamentale che lega l’ingiustizia al diritto è quello della Necessità: la Necessità è il grande altare su cui viene sacrificato il Possibile, là viene spaccato il cuore del Possibile escluso nascondendo il sangue scorso nella spazzatura del pensiero.
E, quando Josef K. rifiuta di lasciarsi sacrificare con la sponte sua, si rifiuta di dare ragione alla «necessità», accade qualcosa di inspiegabile: nel momento in cui Josef K. riconosce la possibilità che può spezzare la necessità, e la riconosce nel suo prossimo apparso fragile e indifeso nel gesto della muta offerta d’aiuto delle braccia levate, proprio in quel momento un guardiano gli affonda il coltello nel cuore e Il processo si chiude.[2]
È triste, certo. Ma non è pessimismo. Piuttosto una visione della vita e della realtà oltre le immagini simboliche e stereotipate. In poche parole: è Kafka.
Written by Irma Loredana Galgano
Note
[1] Film di Fantascienza diretto da Lana e Lilly Wachowski, anno 1999.
[2] Giuseppe Montesano, Lettori selvaggi. Dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges la vita vera è altrove, Giunti Editore, Firenze, 2016.
Bibliografia
Franz Kafka, Il processo, Il Saggiatore, Milano, 2023. Traduzione di Valentina Tortelli.