“Bestie ‒ femminile animale” di Valeria Bianchi Mian, Martina Campi, Ksenja Laginja, Teodora Mastrototaro e Silvia Rosa
Le terre di confine della Venezia-Giulia sono un luogo d’ibridazione, un margine geografico complesso, stretto fra l’algida austerità austroungarica del caffè triestino e il suk. Porto e porta verso l’Oriente. Una terra di mezzo. Luoghi liminali. Unione mistica di terra, mare, Bora e cielo. Che sia questa la tua quintessenza? Tergèste…
Sono a Trieste. La città dei miei avi. Io, nipote di esuli istriani, mi sento albero dal tronco fesso e le radici nell’aria. Siedo al “Caffè Tergesteo” con me una copia dell’ottava elegia di R.M. Rilke tratta dalle Elegie di Duino (1922) e la nuova creatura della casa editrice triestina Vita Activa Aps Bestie ‒ femminile animale.
Osservo il palazzo del Tergesteo: sulla facciata statue del dio Mercurio e Nettuno, altrove un fregio che raffigura due cavalli marini con le loro sinuose code pisciformi intrecciate sovrastate da un caduceo; simbologie esoteriche, un rimando al Caos primordiale da cui tutto ha avuto origine. Ma dal Caos è nato l’Ordine Cosmico – il Caduceo “Axis Mundi”.
Penso: “Questa silloge è un bestiario contemporaneo che si fa metafora di qualunque confine politico della nostra Europa, del nostro mondo, del trauma che porta con sé un’identità transfrontaliera. Simbolo della fragilità della comunicazione fra i popoli e della delicatezza del dialogo in generale. Un bestiario liminale, metaforico – in un certo senso esistenziale.”
Poi in me riecheggia lontana la parola rilkiana dell’ottava elegia duinese: “È l’animale, tutto, nello sguardo/ volto all’Aperto:/ fuori dal tempo, nello spazio immenso./ Ma gli occhi abbiamo, noi, come riversi:/ e tesi, al par di reti, a imprigionare/ il suo libero passo./ Lo spazio immenso, che trascende il tempo,/ solo riflesso dal suo volto intento,/ si svela a noi./ […] L’animale ha la morte dietro di sé:/ e a sé davanti, Dio.”
Per parlare dell’uomo necessita un termine di paragone: l’animale, appunto.
Che cos’è una bestia? Riporta il dizionario Treccani: “nome generico di ogni animale, escluso l’uomo, anzi spesso in contrapposizione all’uomo.”
Parlare degli animali significa occuparsi dell’umano, e viceversa, fin da quando, per definire quest’ultimo, Aristotele spiegò che l’umano è quel vivente che ha il linguaggio e che di conseguenza, la bestia è quel vivente che non lo ha. Non importa tanto se questa definizione sia vera o falsa, quanto che la definizione dell’umano sia possibile solo sullo sfondo di quella bestiale e viceversa.
Bestie – femminile animale di Valeria Bianchi Mian, Martina Campi, Ksenja Laginja, Teodora Mastrototaro e Silvia Rosa, prefazione di Alexandra Zambà, postfazione e illustrazioni di Valeria Bianchi Mian e Ksenja Laginja è una raccolta antologica illustrata di poesie delle succitate cinque poetesse italiane contemporanee, nata nel grembo della casa editrice triestina dalla stretta collaborazione tra le diverse autrici e la prefatrice.
Come scrive Alessandra Zambà nell’elegante prefazione al volume: “Questi esseri (le bestie) vengono, ontologicamente e politicamente, contrapposti in un campo di battaglia in cui l’uomo stesso si trova misticamente riunito con la bestia. Ogni battito di ali, ogni grido di bestia risuona in lui, nasconde un mistero che lo colpisce da profondità ignote. “L’allodola piglia la mia anima!” scriveva Federico Tozzi.”[1] La silloge supera la tradizionale antitesi aristotelica fra animali ed esseri umani definendo una nuova prossemica nel rapporto fra umano e non-umano, rifuggendo stereotipi sessisti e indagando con sguardo antispecista il rapporto fra femminile e società.
L’antologia è un’incursione nel mondo del naturale, soprannaturale e del “magico”, fra misticismo e paganesimo, impreziosito dalle cianotipie realizzate delle poetesse Valeria Bianchi Mian e Ksenja Laginja che, con maestria, hanno dato una propria libera ed efficace interpretazione dei testi poetici, regalandoci delle immagini che si imprimono nella memoria per la loro forza evocativa. Un percorso poetico attraversato da “una sottile tela di fili leggerissimi di colori pregiati tra lo zaffiro e il magenta, una ragnatela di leggere pressioni sulla punta di pennini d’oca” (Alexandra Zambà). Riprodotte all’interno del volume, le tavole aprono i vari capitoli e introducono il lettore in un itinerario che si snoda lineare e coerente.
Le poetesse hanno realizzato un progetto poetico corale, caratterizzato da grande originalità e creatività, immergendosi nelle profondità abissali dell’Anima Mundi, e fissando gli elementi peculiari e caratterizzanti propri di ogni bestia. La via così costituita si struttura come un rito alchemico “che rimanda a un sentire comune originario e trae spunto dalla profonda riconsiderazione delle ragioni della vita stessa, colta nella sua animalità, quindi nei corpi viventi, capaci di sentire e trasmettere l’anima animale di forza e dolore radicali.” (Alexandra Zambà)
Le venticinque bestie descritte dalle poetesse vivono accanto agli umani, accompagnandoli, mutano con loro, creano rapporti fraterni, liberi e paritari. Agiscono immerse nella natura e in armonia con essa senza volontà di dominio o potenza in risonanza col tutto. Sono bestie che non abitano mondi sottoposti alle leggi newtoniane ma piuttosto un mondo quantistico, einsteiniano, ondulatorio e risonante di stringhe, parte organica di una Grande Madre simile a un duttile mollusco.
L’antologia Bestie ‒ femminile animale è “un operare alchemico di leonesse nel calderone del branco significante, […] Uovo alchemico covato dal gruppo” (Valeria Bianchi Mian), è, in certo qual modo, un raro volume riesumato dalle viscere di qualche arcana biblioteca praghese, un dono del shakespeariano Prospero portato sino a noi lettori in volo da Ariel, o, forse, una silloge ecfrastica che descrive un dipinto… un’allegoria dell’opera alchemica simile a quel dipinto caravaggesco ospitato nel Casino di Villa Ludovisi a Roma: “Giove, Nettuno e Plutone”. Un dipinto che è un’allegoria della triade alchemica di Paracelso: Giove, personificazione dello zolfo e dell’aria, Nettuno del mercurio e dell’acqua, e Plutone del sale e della terra. Divinità associate ai tre elementi che compongono i tre strati alchemici della materia (gassoso – solido – liquido). Al centro della scena dipinta, la grande sfera luminosa e trasparente che rappresenta la quintessenza, la meta finale che è lo stato luminoso della pietra filosofale, congiunzione del principio astrale solare e lunare, dodecaedrico elemento cristallino immutabile ed eterno.
Nella prima sezione dell’antologia intitolata “Fuoco” la poetessa Valeria Bianchi Mian ci guida per mano attraverso lingue di fuoco, quel principio alchemico simbolo dell’Unità, primum movens da cui hanno avuto origine gli altri tre elementi per successive condensazioni. Elemento sacrale, creativo o distruttivo, sacro a Zoroastro, profeta del fuoco. I filosofi greci individuarono nel fuoco uno degli archè del cosmo, in particolare Eraclito sosteneva che il mondo aveva avuto origine dal Fuoco, forza primigenia che regola la legge degli opposti e dei contrari e tuttavia anche metafora dell’eterno divenire del Logos. Una delle quattro “radici” teorizzate dai fisici pluralisti e da Empedocle d’Agrigento.
Dalle pagine del volume prendono poi vita creature come api (quelle api dell’invisibile cantate sia da R.M. Rilke che da S. Plath), lumache, lepri, cervi, leonesse, corvi, serpi, farfalle (per citarne alcuni) suddivise fra Acqua, Aria e Terra.
Bestie che migrano mutando dalla Terra all’Acqua che, nel canto delle poetesse, è “mondo liquido, […] liquido amniotico, caldo, nutriente, protettivo e sacrale. Dove godere del silenzio e sentire irrompere le onde a tratti amplificate” (Alexandra Zambà) e da qui un planare d’ali, un frinire d’elitre nell’Aria e poi su verso le stelle e oltre… verso l’Etere/Quintessenza “forza vitale conservatrice del ricordo delle forme”, elemento costitutivo dell’Anima del Mondo (così cara alla poetica di W.B. Yeats), che nel sistema filosofico di Plotino rappresentava l’ipostasi preposta alla generazione della vita, subordinata all’Intelletto il quale era la sede superiore delle Idee e dei modelli e cui sottostavano le forme viventi.
“Così gli antichi filosofi e i poeti dissero l’Etere Anima del Mondo, Spirito, Fuoco purissimo, e Motore di tutte le cose, Giove, Proteo. Perché stimarono che tutti i corpi governi, lo nominarono Anima del Mondo e Spirito per la sottigliezza delle sue parti, che dai sensi conoscer non si possono; Fuoco per l’attività, Motore e Giove per la forza universale con cui muove tutte le cose; Proteo perché prende le figure tutte.” ‒ Giacinto Gimma – Firenze – 1730
Poesia, ribosoma dell’Ineffabile che si fa mutante spirale evolutiva, chimerica elica di DNA, duplice scala elicoidale in ascesa verso la specola celeste.
Attraverso lo strumento poetico la cinque autrici si adoperano in un “delirio di relazione” (P. Celan) a cercare un senso alla composizione del Mondo, a indagare le leggi relative al mistero della Creazione, a separare dalla Materia Grezza attraverso la dissoluzione dei quattro elementi la luce siderale, lo khvarenah zoroastriano imprigionato nella materia, a distillare la quintessenza, il principio più profondo di ogni realtà, costituente universale e motivo specifico delle caratteristiche individue.
“Percorso verso la conoscenza per estrarre dagli oggetti, da ciò che era presente, le informazioni imprigionate nella materia che li compone […] informazioni acustiche derivanti dalle parole pronunciate davanti agli oggetti, informazioni visive ‒ le immagini ‒ impresse dagli avvenimenti accaduti davanti ad essi.” ‒ Alexandra Zambà
Nella silloge animali che ricorrono nella tradizione poetica femminile (come non citare i versi di E. Dickinson, S. Plath, M.I. Cvetaeva, A. Sexton, ecc.) si accompagnano a numerosi e inevitabili riferimenti al mondo classico e ai bestiari medioevali. Evidenti richiami al Bestiario (contenuto nel Codice H) e alle Favole di Leonardo da Vinci, lettore appassionato del grande libro della natura, si susseguono a riferimenti all’Historia Naturale di Plinio o alle Metamorfosi di Ovidio; gli echi lontani delle partiture musicali che costituiscono il commento sonoro all’Atalanta Fugiens di M. Maier (codice alchemico contenete vari riferimenti simbolici al mondo animale), i sussurri orientali dei kigo animali dei saijiki della poetica giapponese si fondono ai versi delle “bestie filosofali” che abitano le pagine miniate, incrostate d’ermetici intrecci barocchi, dello Splendor Solis di S. Trismosin, e al canto degli angeli in ascesa lungo la scala di Giacobbe sul frontespizio del Mutus Liber di Altus.
Il lettore viene introdotto nel mondo affascinante di alcune creature presenti già nella mitologia antica e facenti parte di un ricco patrimonio culturale che ci è giunto attraverso i bestiari, la letteratura e l’arte. Tali figure animali ancora oggi non hanno esaurito la loro carica simbolica e continuano a riaffiorare alla superficie della contemporaneità rappresentando le nostre paure, i lati oscuri, le nostre speranze, afflati, virtù e bestialità dell’animo umano. Per questo costituiscono una fonte inesauribile di ispirazione anche per gli artisti contemporanei e uno stimolo per i lettori di ogni epoca.
I bestiari ‒ opere didattiche nelle quali alle descrizioni degli animali veri e immaginari seguono i relativi significati morali ‒ sono testi che fioriscono nel Medioevo e riuniscono in parole, immagini e musica le conoscenze teologiche del tempo. Attraverso di essi il lettore viene introdotto in un mondo simbolico e allegorico e viene guidato in un itinerario spirituale.
Musica o Armonia delle sfere, detta anche Musica universale è un antico concetto filosofico che considerava l’universo come un sistema di proporzioni numeriche. I movimenti dei corpi celesti (Etere – Quintessenza) avrebbero prodotto una sorta di musica, udibile solo dall’orecchio dei veggenti e consistente in formule armonico matematiche (i numeri 2, 4, 6, 8, 64 con tutte le loro valenze simboliche ricorrono nell’antologia “Bestie – femminile animale” come spiega Ksenjia Laginja). Armonia cosmica espressa da Robert Fludd con l’immagine del monocordo accordato dalla mano divina di Dio, oppure secondo Franchino Gaffurio espressa da una “scala celeste” eseguita dalle nove Muse, accompagnata dalle tre Grazie e diretta dal dio solare Apollo (il “lupo solare”, la “bestia celeste”).
Anche in Bestie – femminile animale la musica è da considerarsi come parte integrante ‒ ma direi anche integrativa ‒ dell’opera delle cinque poetesse. Poesia, parole e la loro geometria musicale, un intreccio metapoetico quanto mai lampante è emerso prepotente nel corso della presentazione e del reading dello scorso 10 giugno 2023 nell’ambito di “Parole Spalancate” 29° Festival Internazionale di Poesia di Genova, la più grande e longeva manifestazione di poesia italiana, presso la Sala del Minor Consiglio del Palazzo Ducale. Poesie, versi, sorrisi, sguardi, una splendida connessione fra alcune delle autrici, Emanuela Risso, Vera Issel e gli Electronics di Stefano Bertoli.
Come scrive Rudolf Steiner ne L’essenza delle musica – 1906: “La musica fisica non è che la copia della realtà spirituale. Come l’ombra sbiadita sta in confronto all’uomo vivo, così la musica-ombra fisica sta alla vera musica-luce spirituale.”
Si riportano qui di seguito alcuni “frammenti” poetici tratti dall’antologia:
“Il silenzio è un inganno del bosco, stasera/ saliremo la collina prima del tramonto/ con il sole inclinato sui nostri sentieri/ segnati dai passi, andremo/ accanto agli altri sentieri, i sentieri degli altri […]” ‒ Martina Campi
“[…] Per parlare a una serpe/ basta la terra delle colline,/ scorciare uno spazio, una muta/ o i capelli come parte/ di me.” ‒ Teodora Mastrototaro
“[…] Il mondo brama/ le cose senza padrone/ ma l’anima resta libera/ durante la caccia.” ‒ Ksenja Laginja
“[…] Al funerale di una volpe/ la pioggia/ cade sopra i teschi e le carcasse./ Sono gli umani/ a fare bare degli armadi/ nella canfora gli inganni allineati […]” ‒ Valeria Bianchi Mian
“[…] sa che gli vorrà bene fino alla morte/ perché la nutre e la protegge e quando tutto/ fila liscio è benedizione di carezze e salti grati,/ non è di lui la colpa se lei a volte sbaglia,/ se non è all’altezza, se non è abbastanza/ se è nata bestia in un mondo di uomini.” ‒ Silvia Rosa
I versi delle cinque poetesse sono parola sapienziale che si fa talvolta prodigium, segno profetico, parola mantica che cristallizza e manifesta la gloria di Colui che ha creato ogni aspetto della natura vista come una sorta di testo cifrato, in cui ogni elemento è signum, cioè simbolo o correlativo oggettivo che allude ad “altro”, a verità spirituali e religiose in cui il prodigio è un segno visibile dell’onnipotenza divina.
Un linguaggio poetico di lemmi sovrapposti, parola che allude, ritmica, indica senza rivelare ‒ sibillino mantra salmodiato. Un tentativo di ricondurre la parola ad uno stato edenico, che tralasci la paura di sempre: la colpa primordiale. Una ricerca di quel linguaggio antidiluviano, quella “lingua verde”, così cara al Fulcanelli e ai filosofi neo-platonici, e a cui alludono in modo allegorico le rovine raffigurate nel dipinto “La Tempesta” dal Giorgione. Un dialogo fra Eva e il serpente edenico teso a superare e ridefinire l’umano in modo non metafisico e l’animale in modo non sub-umano. Una goccia di sangue colata dal cuore del Dragone Uroborico a toccare la lingua di miele delle poetesse.
Un fruscio di fronde d’alloro o un frullo d’ali nella contemplazione dei cieli tersi fra le rovine del Foro Romano alle pendici del colle Palatino a Roma.
“Rivelare il custodito fa parte del richiamo della mantica, guida essenziale di questo operare di anime animali alla ricerca di continue e nuove connessioni.” ‒ Ksenja Laginja
Come sentenzia l’aforisma dell’oscuro Eraclito: “Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica.” Come sintetizza bene A. Zambà nella prefazione del volume: “Andare indietro a un mondo che pensavamo perduto e ora ritrovato in un viaggio parallelo, a fornirci spiegazioni su di noi dal lontano passato. Finalmente, abbiamo ritrovato il filo della contemporaneità del tempo e dello spazio.”
Sussiste un filo rosso che lega fra loro specismo, femminismo e lotta per la liberazione animale:
“Ci sono diversi aspetti per cui la violenza materiale e culturale sulle donne si intreccia con lo sfruttamento degli animali non-umani. È noto come tutte le forme di discriminazione tra esseri umani venga preferibilmente formulata in termini di “animalizzazione” dell’altro: cioè, sulla base della distinzione gerarchica fra umano e non-umano, tutti i soggetti che socialmente occupano una posizione inferiore rispetto ai soggetti dominanti, subiscono una degradazione simbolica e vengono considerati quasi-umani, sub-umani o esplicitamente animali.
Ciò è evidente nel caso della xenofobia che, fin dal tempo degli antichi greci, faceva considerare le altre etnie incapaci di parlare in modo proprio (è il significato originario del termine “barbaro”) o di controllarsi in modo razionale (vedi i comportamenti “bestiali” che ancora oggi i media attribuiscono ai migranti). Ma anche nel caso del sessismo e della discriminazione di genere è accaduto qualcosa di simile: sempre i greci consideravano la donna un essere non pienamente razionale (una forma di maschio “mancato”), più legata all’istinto e alla natura animale rispetto al maschio. Anche in questo caso, alcune differenze reali tra i sessi venivano (e vengono) usate per marchiare il corpo della donna con il sigillo della “inferiorità”: così le mestruazioni dovrebbero mostrare questo maggior “legame” della donna alla natura (mentre il maschio si auto-rappresenta come essere “spirituale”, sganciato dalla fisicità); oppure la sensibilità femminile, la capacità empatica, la cura, ecc. vengono considerate dei “difetti” invece che delle qualità, un eccesso di emotività che impedisce alla donna di essere pienamente razionale e, dunque, pienamente umana, poiché la tradizione patriarcale identifica l’umano con i tratti caratteristici del maschio (la contrapposizione mente-corpo, la maggiore importanza attribuita alla razionalità sganciata dall’emotività, l’aggressività competitiva contrapposta alla capacità d’ascolto e di immedesimazione con l’altro, ecc.). Non è un caso che la prima formulazione dei “diritti animali” fu elaborata in modo sarcastico dal filosofo inglese Thomas Tylor nel 1792 come risposta alla richiesta di diritti per le donne da parte di Mary Wollstonecraft: se concediamo diritti alle donne, sosteneva Tylor, perché non farlo anche con gli animali?
Questo legame simbolico tra sfruttamento animale e discriminazione femminile viene poi evidenziato oggi dal modo in cui il linguaggio patriarcale pensa la donna. La femminista americana Carol J. Adams ha mostrato quanto spesso il linguaggio (non solo pubblicitario) tenda a rappresentare la donna in forma di pezzi di “carne”: la donna è spesso desiderata dal maschio non come una persona ma come un insieme di particolari che possono soddisfarne il piacere. Inversamente, la cultura patriarcale si è spesso accompagnata ad una cultura della carne intesa come trofeo ideale per il maschio dominante: simbolo che ne rinforza il potere. Già nella società di cacciatori-raccoglitori in cui la divisione fra i generi si è sviluppata più nettamente, questo predominio del maschio si costruisce proprio sulla re-distribuzione della carne che viene fatta dopo la caccia, redistribuzione in cui al maschio spetta ovviamente la parte maggiore della preda.
Infine, si può ricordare come l’allevamento sorga proprio controllando la funzione riproduttiva degli animali non-umani e come la “cultura del latte” costituisca uno sfruttamento feroce delle caratteristiche “materne” della specie bovina.”[2]
Va aggiunto, inoltre, un interessante rapporto tra sessismo e specismo: due forme di discriminazione interconnesse fra loro.
“La storia della civiltà ‒ afferma Marzia Mauriello, docente di Antropologia Medica presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro ‒ ci mostra come lo specismo non sia solo una forma di discriminazione “analoga” al sessismo, ma è il presupposto storico dei rapporti di dominio intraspecifici. Senza lo sfruttamento materiale della natura, infatti, non sarebbe stato possibile giungere all’attuale disuguaglianza sociale ed economica che è alla base delle società classiste, sessiste e belliciste.
Lo specismo (termine coniato dal filosofo Peter Singer) è una forma di pregiudizio, legato ad un presupposto di superiorità, che induce a salvaguardarne gli interessi dei membri della propria specie contro quelle dei membri di altre specie. In altri termini, il presupposto, l’assunto su cui lo specismo si fonda, è l’intrinseca superiorità degli umani sulla natura e, quindi, il loro diritto a dominarla.
Il sessismo è, invece, un processo discriminatorio sulla base dell’appartenenza di genere, ma anche qui, si presuppone una forma di sfruttamento di un sesso (genere) sull’altro, sulla scia di un’idea di superiorità di un sesso (genere) sull’altro. Nella storia di quel che si usa definire Occidente, questa dominanza – con relativa discriminazione che nel tempo ha assunto varie forme e che, purtroppo, ancora ci riguarda – è avvenuta sempre a spese del femminile. Anche oggi, ci troviamo di fronte a comportamenti e pratiche che possiamo definire, più che post-patriarcali, neo-patriarcali, meno evidenti ma pur sempre presenti.”
Da un punto di vista alternativo il sessismo si manifesta in una sorta di essenzialismo secondo cui gli individui vengono compresi e giudicati semplicisticamente in base ad alcune caratteristiche fisiche o del gruppo di appartenenza (maschi o femmine). Anche le persone che in vari luoghi e periodi storici non rientravano “fenotipicamente” in un genere definito (intersessuali, ermafroditi o pseudoermafroditi) o che si rifiutavano di aderire al ruolo loro assegnato in base al sesso (transessuali MF e FM, crossdresser, gay e lesbiche) sono state e sono ancora oggi oggetto di discriminazioni sessiste derivate dalla necessità implicita, nella semplificazione sessista, di dividere nelle due categorie suddette. In sostanza il sessismo ha un carattere sociale e politico che giustifica sistemi di discriminazione, subordinazione e devalorizzazione se non addirittura di persecuzione.
In quest’ottica, come sostiene il poeta Olmo Losca: “La poesia affronta le questioni di genere da millenni, e in particolare quella animale da sempre. La poesia non ha confini di genere; e non ne ha mai avuti nella storia. Mi auguro di tutto cuore che la poesia, in questo caso riferita alla liberazione animale, possa finalmente scardinare quella ‒ Metrofobia ‒ che alberga profondamente in moltitudini di persone; anche negli ambienti politici radicali.”
In fondo il valore della cultura sta proprio nel tendere continuamente i fili fra presente e passato per tessere una tela che tenga insieme popoli e culture differenti annodando credenze, valori condivisi, comuni immaginari e come scrive Mariapia Giuseppina Barraco nella sua sottile recensione dell’antologia: “Questi animali poetici invitano a una riflessione sia etica che morale e umana, in un mondo in cui rischiamo l’estinzione e la fine dell’Antropocene.”
“Riconoscendo nella violenza con la quale una specie dominante da un centimetro di spazio della spirale delle ere geologiche ‒ scrive Valeria Bianchi Mian nella postfazione al volume ‒ si rivolge alle altre specie, alle donne, ai bambini. Recuperando il legame tra corpo e anima animale, la fiera che nella carta della Forza dei Tarocchi è in delicata tensione con la donna, ruggisce in noi, consapevole e vitalizzante.”
Duino. Sentiero Rilke. È ormai crepuscolo. Il cielo bacia l’orizzonte in un baluginio di porpora e oro. Un mare di squame argentee e mercurio. In lontananza il profilo del castello di Duino a picco sulle alte falesie infiammate da lingue di fuoco. Sinfonie di canti di merli e un planare equoreo di gabbiani. Affido alla risacca e alla salsedine della brezza di mare i versi dell’ottava Elegia Duinese di R.M. Rilke: “Oh la tremenda angoscia dell’alato,/ costretto al volo, anche se proviene/ dall’angustia di un grembo!
Il suo terrore si se stesso solca/ sinistramente l’etere, guizzando:/ e par l’incrinatura,/ che fende la purezza d’una coppa./ Non il volo, così, del pipistrello/ strappa la porcellana della sera?/ Spettatori in eterno e in ogni dove,/ rivolti verso il Tutto, e incatenati/ entro le sue prigioni,/ l’universo ci colma: e in noi trabocca.”
Valeria Bianchi Mian, psicoterapeuta, psicodrammista junghiana, ha creato il Metodo Tarotdramma®, intreccio di Psicodramma e scrittura terapeutica con le carte dei Tarocchi (www.tarotdramma.com). Conduce corsi di scrittura creativa con Golem Edizioni e Psicologia.io. Co-conduce il progetto “Medicamenta, lingua di donna e altre scritture”, con percorsi di poesia, terapia e produzione di antologie (Maternità marina, Terra d’Ulivi Ed., 2020; illustrazioni per Confine donna. Poesie e storie di emigrazione, (Vita Activa Nuova, 2022). È redattrice per Psiconline.it, Oubliette Magazine, Versante Ripido. Saggi e partecipazioni: Utero in anima (Bianchi Mian V., Ceresa S.G., Putti S., Lithos, 2016); Psicosociologia della genitorialità (AAVV, Golem Ed., 2017); Amori 4.0 (AAVV, Alpes Italia), 2018; Voci di donna. Il complesso intreccio fra Psicologia e Femminismo (AAVV, Underground, 2019). Narrativa e poesia: ha scritto e illustrato Favolesvelte (Golem Ed., 2016); il romanzo noir Non è colpa mia (Golem Ed., 2018), la silloge Vit(amor)te. Poesie per arcani maggiori con ventidue carte disegnate da lei (Miraggi Ed., 2020), Psicoporno (Buendia Books, 2023). Ha partecipato a diverse antologie poetiche. È fra gli autori di “Piemonte in Noir” con il romanzo Il corpo crudo (Edizioni del Capricorno per La Stampa, 2023).
Martina Campi, laureata in Scienze della Comunicazione e diplomata in Counseling Relazionale, è autrice e performer. Ha pubblicato: Se le avventure fossero giorni (Howphelia 2021), testo nato con la serie in otto episodi game: start, progetto artistico audiovisivo realizzato insieme al compositore Mario Sboarina, per la piattaforma Howphelia. Partitura su riga bianca (Arcipelago Itaca, 2020; Premio Arcipelago Itaca), Quasi radiante (Tempo al libro, 2019), La saggezza dei corpi (L’arcolaio, 2016), Cotone (Buonesiepi Libri, 2014), Estensioni del tempo (Le Voci della Luna Poesia, 2012 – Vincitore Premio Giorgi); è presente nella plaquette È così l’addio di ogni giorno (Corraino Ed., 2015, a cura di Niva Lorenzini). Curatrice con A. Brusa e V. Grutt, di Centrale di Transito (Perrone Ed., 2016). La sua poesia è tradotta in varie lingue e presente su litblog, riviste e antologie e progetti corali. Ha partecipato a diversi festival letterari e musicali e collaborato con alcune realtà poetiche bolognesi tra cui la rivista Le Voci della Luna. Fa parte, della prima edizione, del Comitato Bologna in Lettere. Co-fondatrice, insieme al compositore polistrumentista Mario Sboarina, del progetto “Memorie dal SottoSuono ‒ The poetry music experience” e co-ideatrice, assieme a Giusi Montali, del format di poesia italiana contemporanea formula true poetry.
Ksenja Laginja è nata a Genova nel 1981, vive e lavora tra la sua città e Roma dove alterna alla sua attività letteraria e pubblicitaria una ricerca sull’illustrazione sci-Fi e Weird. Tra le pubblicazioni: Smokers die younger (Annexia edizioni, 2005), Praticare la notte (Landolfi Ed., 2015), Ventitrè modi per sopravvivere (Kipple Officina Libraria, 2021), Cielo Cadmio, un omaggio corale in versi e immagini al Cielo sopra Berlino insieme a Stefano Bertoli (Kipple Officina Libraria, 2022). Nel 2020 ha vinto i premi Europa in Versi e Arcipelago Itaca e nel 2021 il Premio Renato Giorgi, nella sezione inediti. Suoi testi sono presenti sulle antologie poetiche, blog e riviste letterarie. Co-organizza la rassegna di poesia e musica elettronica “Poème Èlectronique”.
Teodora Mastrototaro, drammaturga e poetessa, classe 1979, vive a Roma. Ha esordito con la raccolta Afona del tuo nome (La Vallisa, 2009), tradotta dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo, 2010). La sua ultima pubblicazione è Legati i maiali (Marco Saya, 2020), finalista al premio Arcipelago Itaca per la sezione Raccolte Inedite, vince il Premio Speciale del Presidente di Giuria al concorso Bologna in Lettere 2021 e una segnalazione al premio di poesia e prosa Lorenzo Montano 2021. Il suo racconto Il Mattatoio è stato pubblicato sul Magazine radicale internazionale Menelique. È stata direttore artistico per sette anni del festival “Notte di poesia al Dolmen”.
Silvia Rosa, nasce a Torino dove vive e insegna. È direttrice della rivista digitale “Poesia del nostro tempo”, collabora con il quotidiano “il manifesto” ed è cofondatrice del progetto di poesia terapia “Medicamenta, lingua di donna e altre scritture”. Suoi testi poetici e in prosa sono stati tradotti in spagnolo, serbo, romeno, portoghese e turco. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte poetiche Tutta la terra che ci resta (Vydia Ed., 2022), Tempo di riserva (Giuliano Landolfi Ed., 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice, 2014), SoloMinuscolaScrittura (La Vita Felice, 2012), Di sole voci (LietoColle Ed., 2010 – II ediz. 2012); il volume antologico Confine donna. Poesie e storie di emigrazione (Vita Activa Nuova Aps, 2022) di cui è ideatrice e curatrice; l’antologia foto-poetica Maternità marina (Terra d’ulivi, 2020), di cui è curatrice e autrice delle foto; il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storie e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Ed., 2013). Si è occupata del progetto di traduzione poetica e interviste di alcuni autori argentini, dal titolo Italia Argentina ida y vuelta: incontri poetici, pubblicato nel 2017 in e-book (edizioni Versante Ripido e La Recherche).
Written by Federico Ielusich
Bibliografia e sitologia:
Valeria Bianchi Mian, Martina Campi, Ksenja Laginja, Teodora Mastrototaro e Silvia Rosa, Bestie – femminile animale di , prefazione di Alexandra Zambà, postfazione e illustrazioni di Valeria Bianchi Mian e Ksenja Laginja, Vita Activa Nuova APS, 2023 -ISBN 9791280771131
Primož Sturman, Bestiario di confine, Bottega Errante Ed., 2022
Elisabetta Motta, Mostri e prodigi – mito, arte e letteratura dall’antichità ai giorni nostri, Pendragon Ed., 2022
Sinapsi – Intervista Marzia Muriello
Poesie Aeree – Recensione di Mariapia Giuseppina Barraco
Note
[1] Bestie – femminile animale di Valeria Bianchi Mian, Martina Campi, Ksenja Laginja, Teodora Mastrototaro e Silvia Rosa, prefazione di Alexandra Zambà, postfazione e illustrazioni di Valeria Bianchi Mian e Ksenja Laginja – Vita Activa Nuova APS – 2023 -ISBN 9791280771131
[2] Asinus Novus – Rivista di antispecismo e filosofia ISSN 2240-7367