“La casa in collina” di Cesare Pavese: il tragico mestiere di vivere

Premetto che ho letto La casa in collina” di Cesare Pavese giovandomi dell’ausilio di un insegnante di sostegno di tutto rispetto quale è John Cheever, autore di “Birra scura e cipolle dolci, il quale, a detta del suo prefatore Christian Raimo, “non è mai stato un gran maestro del plot”, essendo un contemplatore, una specie di teologo della natura umana. Nella stessa ora di religione l’alunno dotato di problematiche (bello, eh?) ha bisogno di chi gli dà un occhio, senza usare la bacchetta però.

La casa in collina di Cesare Pavese
La casa in collina di Cesare Pavese

Ergo, urge prestare attenzione anche a quello che scrive Gina Lagorio nella sua preziosa Prefazione: “Niente è più misterioso del cuore dell’uomo e nessuno può presumere di arrivare a capire sino in fondo le ragioni che muovo un altro essere.” – né quelle che paiono bloccarlo in quell’attimo che non sembra mai del tutto svanito. Inoltre: “Quello che conta di uno scrittore è ciò che egli ha lasciato di sé agli altri, con la sua fatica di studioso, la sua forza morale, la sua fantasia: le sue pagine durano oltre la breve esistenza degli uomini, nella luce ferma della poesia.” – che anch’essa si smorza, ma non prima di tredici o quattordici miliardi di anni.

Della sua esistenza, che capisce l’io narrante Corrado? Che, prima di sera, “ciascuno di noi deve assumere la sua parte di responsabilità.” – e questo è il più gioioso regalo che ci scaraventa addosso la vita. Grazie John Cheever, grazie Gina Lagorio, grazie Corrado, ora sono pronto a recarmi su quella mitica collina.

“Si direbbe che sotto ai rancori e alle incertezze, sotto alla voglia di star solo, mi scoprivo ragazzo per avere un compagno, un collega, un figliolo.”: allora non è vero che uno sta solo nel cuor della terra! O forse tale diverrà tale sul far della sera, a una certa età?

“Rivedevo questo paese dov’ero vissuto…” – questo capita anche a me, quando in solaio riscopro l’umile esistenza di un oggetto antico.

Cate, già amante di Corrado, ora madre di Dino, ha le idee chiare: “Bisogna che finisca la guerra.” – che, quando c’è, come il cancro, deve solo cessare, il più presto possibile. Diversamente, il corpo e l’anima del mondo moriranno.

Corrado, più negativo, le dice: “C’è sempre stata questa guerra…” – e la pensa come quel siculo Salvatore, perché, anche per lui, “Tutti un bel giorno siamo soli…” – ma come saranno le infami albe, allora?

“Finì giugno, le scuole erano chiuse, stavo in collina tutto il tempo.”in serena ri-creazione.

“C’era in quel fresco un odore schiumoso, quasi salmastro…”quasi un sogno per l’opposto che tanto ti manca. Quando penso a Cesare, non so per quale motivo ho in mente quel corposo e occhialuto poeta sdraiato, con gli scuri pantaloncini, la bianca camicetta e il pelo più lungo del consueto, un po’ estraniato dall’ambiente e meditabondo.

“Così vivevano le bisce, le lepri, i ragazzi. La guerra finiva domani…” – quel giorno che non ce la faceva mai a sorgere.

Cate, che miracolo di donna fu ed è: “Non so, la sua dolcezza, la fermezza con cui mi trattava, la tacita promessa di non servarmi rancore – su queste cose contavo da un pezzo.” – che sempre e mai dureranno, forse.

“Per chi ha la pagnotta e può stare in collina, la guerra è un piacere.” – relativamente, è ovvio; mentre per chi vive sotto i bombardamenti è solo un vero inferno.

“Ma non dici perché tocca sempre alla classe operaia difendersi. I padroni mantengono il dominio con le guerre e il terrore.”lucrando sul sangue, che è come se piovesse sul bagnato.

Corrado dice di amare “non l’Italia. Gli italiani.” – che è un concetto difficile da digerire, ma che sento simile al mio. Non mi va di amare tanto una terra, quanto chi ci abita. E non è soltanto una faccenda di passaporti.

Diversi ragionamenti sono questi: Voialtri non posso esser io, – tagliai. – Io sono solo. Cerco d’essere il più solo possibile. Sono tempi che soltanto chi è solo non perde la testa. Guarda la Nanda come stringe.” – tanto presa dalla paura!

“Era chiara che Torino tranquilla in distanza, la solitudine nei boschi, il frutteto, non avevano più senso. Eppure tutto continuava.” – l’uomo che pure ha bisogno di pace, teme la noia, ha bisogno di catene, ma agogna la libertà. È doppio, più in un senso o nel suo opposto, a seconda del momento. Il vero ideale umano è la sopravvivenza. Anche la viltà, allora, diventa un valore da difendere coi denti, eroicamente, e con gli artigli.

Dino, figlio di Cate, forse anche di Corrado, oppure orfano di padre, non si sa, “giurò ch’era passato anche un inglese, un prigioniero di guerra, che sapeva soltanto dire ciao.”s-ciavo vostro? Quello, ovviamente ignorava l’etimo. Che tenerezza mi fa, lui e la sua famiglia lontana…

“C’era una pace, in quella casa, un rifugio, un calore come d’infanzia.” – l’infanzia finisce sempre all’improvviso, ed è subito notte fonda.

“La vecchia ci gettava occhiatacce, acciotolando nei suoi piatti.”clac clac clac. Rumori che un bel giorno si rimpiangeranno.

“Quella guerra in cui vivevo rifugiato, convinto di averla accetta, di essermene fatta una pace scontrosa, s’inferociva, mordeva più a fondo, giungeva ai nervi e nel cervello.” – e in fondo all’anima.

“Nei boschi s’incontravano giacigli scricchiolanti di foglie. Pensavo sovente che all’occasione avrei potuto rifugiarmici.” – si metteva così avanti nei preparativi di un non improbabile imboscamento.

“Era un giorno brullo, dorato, quest’anno la neve non s’era ancora vista.”brullo, immerso in un rado ma salvifico giuncheto.

“L’indomani nel sereno stillante si respirava un odore di terra.” – e la stilla, pur gelata, era tiepida.

“A un certo mi scrollai, mi feci schifo.” la parte opposta che alla fine questiona con quella che senti più tua.

“Cercai di sorridere ma la faccia non mi disse.” – alcunché, silenzio!

“… non la vita importa a Dio, ma la morte.”l’infame riciclaggio delle anime.

“Per commuovere Dio, per averlo con sé – ragionavo come fossi credente – bisogna aver già rinunciato, bisogna essere pronti a spargere sangue.” – cominciando da quello più vicino, il proprio, ma io un nume simile per me non esiste e, se invece esiste, lo schivo, lo schifo.

“… chiedevo un letargo, una anestetico, una certezza di essere ben nascosto.” – anch’io miro a quell’arguto svanire nel nulla.

“Me ne andai col fagotto, com’ero venuto.”Dino rimaneva. Ma Dino era Dino, e Corrado era Corrado. Ormai a Dino Corrado ci poteva solo talvolta pensare.

“… trascorrere i giorni in quell’inutile attesa mi sembrava ogni giorno più futile. Adesso che il passato era soltanto una piccola nube.” – ritorna l’urgenza di esistere, come esistono gli altri.

“Guardare certi morti è umiliante.”la loro carcassa è un lusso che non ci siamo potuti permettere.

“… ogni guerra è una guerra civile.” – fra gemelli separati alla nascita, figli della stessa disumana patria.

Ciò che è vero, ciò che è giusto “forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.” Amen e così sia.

Questo tenue romanzo ‒ “La casa in collina” ‒ fu pubblicato nel 1948 insieme a Il carcere, in un unico volume intitolato Prima che il gallo canti. In questa edizione del 1977 (Letture per la scuola media) è abbinato a 11 racconti varia lunghezza, in cui mutano i personaggi, a non gli attori. Anche l’io narrante pare, ma non è, sempre lo stesso, essendo volta quel Cesare che sta esercitando, con zelo e scrupolo, il suo assurdo Mestiere di vivere.

“Col dolore sempre presente, sempre incolmabile, della sua perdita, rifermentava in me l’antico rancore, l’astio inconfessabile che è il rovescio di ogni attaccamento troppo forte.” – sempre una penosa passione rimane.

Il figlio dell’io narrante, orfano, si chiama Nino, e pare un consanguineo di quel Dino, più riottoso. Una sua terribile esclamazione fa scrivere al padre:Sua madre avrebbe detto lo stesso.”

“Quella notte del ritorno l’ho nel cuore come l’ultima dell’infanzia di Nino. I canti, la stanchezza, l’eccitazione sotto la luna me ne hanno fatto qualcosa d’irreale e di triste.” – come se la realtà vera fosse allegra: ma che illusione!

C’è qui un Pietro, e fa l’eremita. Nino lo ama come se fosse lui il suo vero padre. Oppure no, chissà… C’è un “signor Pietro” – del tutto diverso, anche nel racconto seguente: “Diceva che dovevamo aver pazienza ma era solo, e che noi gli facevamo da famiglia.” – e lui da familiare.

“… lo invidiavo specialmente perché viveva all’albergo.” – da cui usciva e in cui rientrava quando gli pareva, senz’obbligo alcuno.

“Gli dissi che io chiedevo soltanto di lasciare la riva, di respirare con un altro fiato e raccontai del vecchio sogno di mio padre.”tutte storie che lui ascoltava “con un sorriso tra incredulo e macchinale”.

Fuggire è spesso un predisporre il piano di rientro:Non fu facile calmare mia madre, ma il pensiero che tra poco avrebbe dovuto abituarsi a un’assenza ben diversa mi rese buon figlio.” – che fortuna ebbi io che avevo una madre che non vedeva l’ora che andassi per la mia strada!

“Un giorno Gosto si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito così in alto che di lassù si vedeva il mare.”verità o leggenda? O entrambe?

“Laggiù pareva che il vento attizzasse le stelle.” – e Gina Lagorio spiega: “Desse nuova fiamma alle stelle, come si ravviva un fuoco.”

Rocco non è stupido e sa che, anche se “viaggiare di notte era più fresco”, “non era da furbi perché, non vedendo dove si mettono i piedi, si bucano le scarpe.” – e allora non si andava nei centri commerciali ad accattarne delle nuove, le si usavano rotte, in attesa di poterle fare aggiustare. Una vera seccatura.

“Ieri il nome te l’abbiamo consumato” – a forza di cercare l’io narrante, che è poco più di un ragazzo.

“… volevo aspettare il mattino. Candido mi diede ragione e un momento dopo mi portarono a letto perché cascavo dal sonno.” – sogni d’oro, picciotto!

“I vecchi conducenti dicono…” – e “i vecchi dicono che tutto piace di quegli anni perché allora si è giovani…” – invece “adesso sono grigio” – una mistura di bianco e nero.

“… il ronzio del silenzio fa pensare a volte a un urlo.” – che nella migliore delle ipotesi si chiama acufene.

“Una lampada assente moriva nella baracca.”e Gina Lagorio di nuovo illumina il lettore: “così fioca da non essere avvertibile…”.

Le illuminazioni accadono quando voglio loro, quando solo il poeta le sa cogliere, come sa bene Arthur Rimbaud, “specialmente al mutare delle stagioni, quando l’aria è tutta corsa da brividi di passato che, freschi e inattesi, ci riportano antiche certezze.” – e sparute illusioni.

“Neanche sulla vigna il tempo passa; la sua stagione è settembre e torna sempre, e appare eterna. Solamente un ragazzo la conosce davvero.” – confidando nei propri spettri.

“È accaduto un istante fa, è l’istante stesso: l’uomo e il ragazzo s’incontrano e sanno e si dicono che il tempo è sfumato.” sta sfumando in un angolino e ci fa l’occhietto.

“… la scomparsa del tempo. Questo non accade, è; anzi, è la vigna stessa.” – ed è perciò che fui così felice quando portai due consanguinee a visitare la Grotta Gigante di Sgonico, che avevo visitato non so quanti decenni prima. Ogni tanto, a ripensarci mi sento ancora sorridere.

“Tra noi non occorrono parole. Le parole sono state fatte molti anni fa.” – domanda innocente: chi le creò?

“C’era in quel crepitio un silenzio mortale, di luogo chiuso e deserto, che schiudeva nel cielo lontano una promessa di vita ignota, impervia e seducente come le colline.” – in cui dovrò un giorno scarrozzare quelle mie due consanguinee. E tutto accadrà per puro caso e per mera necessità.

“Un bel giorno tornai invece a casa e rivisitai le mie colline.” – finché c’è un invece, c’è la speranza.

“… soltanto il profilo lontano della collina non aveva scapitato.” – luminosa, come sempre è la nota di Gina Lagorio, a pagina 260: ma che goduria!

Cesare Pavese
Cesare Pavese

“Mio padre non dormiva di notte perché era vecchio. Diceva che il tempo non passato sui beni è tutto sprecato.” – ancora non aveva fatta l’ovvia scoperta che, con gli occhi serrati, si vive in un magico Altrove. E chissà se quei beni reali sono anche eterni! Secondo Gina Lagorio si tratta della “terra”, secondo quel vecchio era anche un pezzetto di cielo. Questo ho capito.

Speravo di commentare anche l’ultimo racconto, il cui nome è Il nome. Avrei voluto non calpestare anche quel terreno. Non ce l’ho poi fatta a trattenermi.

“L’amico non rispose, e continuò a sussurrare, come un filo d’acqua a un rubinetto.” – che te ne sembra, John Cheever, di ‘sta zica similitudine?

“Pale non rispose. A forza di scappare di casa era diventato taciturno come un uomo.” – ma tu, Cesare Pavese, che sei scappato Colà per sempre, grazie a quel tragico mestiere di vivere ancora mi stai parlando.

Non è un miracolo assurdo?

Non è un fatto meraviglioso?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Cesare Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi Editore, 1977

 

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