Edera Film Festival 2023: il miglior cinema giovanile del Triveneto e non solo torna dal 2 al 5 agosto
Da mercoledì 2 a sabato 5 agosto si terrà la quinta edizione di Edera Film Festival, kermesse dedicata ai registi emergenti, organizzata dall’Associazione Culturale Orizzonti e ospitata a Treviso presso il Cinema Edera, uno dei multisala più pregevoli del Triveneto nonché, da qualche tempo, l’ultimo rimasto aperto entro i confini del capoluogo.

In linea con il tradizionale indirizzo del locale, affidato sin dal lontano 1972 alla famiglia Fantoni (oggi composta da Lilli, Sandro e Giuliana, quest’ultima in carica come Presidente della delegazione Tre Venezie della Federazione Italiana Cinema d’Essai), il festival si propone di avvicinare il pubblico a produzioni di lodevole fattura e lungi dal mainstream, incentivando in particolare l’incontro in presenza con gli autori under 35.
Molti fra questi, come si vedrà in dettaglio più avanti, provengono dall’area cittadina o regionale, a motivo dell’istituzione, da parte dei tre direttori artistici Giuseppe Borrone, Gloria Aura Bortolini e il già citato Fantoni, di una categoria espressamente dedicata, Focus Nordest, ampliamento della sezione ideata in seno all’edizione passata e da oggi suddivisa in due selezioni, concorso e fuori concorso: Edera Film Festival intende dunque farsi vetrina sempre più luminosa e attrattiva a favore dei giovani cineasti del territorio.
Come i loro colleghi connazionali e stranieri, essi competeranno per aggiudicarsi i premi delle giurie tecniche (distinti per lungometraggi, documentari, cortometraggi e, per l’appunto, Focus Nordest) e del pubblico, oltre ai tre premi speciali che vengono offerti dallo sponsor Astoria e, ormai da anni, dagli enti patrocinatori Fondazione Benetton Studi Ricerche e Rotary Club Treviso Terraglio.
Volendo trarne lieto auspicio per ciascun concorrente, vale segnalare che nel lustro precedente sono state presentate opere di autori i quali si sono successivamente affermati a livello non meno che globale: numerosi saranno i lettori che ricorderanno i tre film dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (il cui debutto intitolato “La terra dell’abbastanza” ha vinto il Premio del pubblico alla prima edizione), o “Estate 1993” (anch’esso trionfatore nel 2018), la cui regista Carla Simón ha poi ricevuto l’Orso d’oro per il lungometraggio successivo, “Alcarràs – L’ultimo raccolto”.
Limitandosi ai successi più clamorosi, non si può infine dimenticare che lo scorso 12 marzo Tom Berkeley e Ross White sono stati premiati con l’Oscar per il miglior cortometraggio: “An Irish Goodbye” è appena il loro secondo lavoro e segue a un anno di distanza il primo, “Roy”, il quale figurava in concorso alla quarta edizione di Edera Film Festival.
Concluso questo doveroso cappello, si renderà ora conto dell’ampia rosa di titoli che sarà possibile visionare in sala: come è ormai consuetudine, verranno tracciate alcune direttrici tematiche o di altra natura che si ritengono utili a fornire indicazioni e a consigliare gli spettatori, affezionati o “di primo pelo”.
Cinque dei sei lungometraggi costituiscono brillanti debutti nel cinema di finzione e sono frutto di produzioni italiane, in tre casi realizzate in collaborazione con Paesi d’oltralpe. Una rapida operazione di mappatura geografica permette di appurare che le ambientazioni percorrono lo Stivale nella sua intera estensione. Il Nord, per cominciare, è infatti rappresentato da “Rispet” di Cecilia Bozza Wolf: dramma nerissimo e magnetico, trascina il suo pubblico in un borgo di montagna (le riprese sono state effettuate in Val di Cembra) dove gli abitanti, interpretati tutti da attori non professionisti, sono succubi di sotterranee inimicizie.
Modena e il Ferrarese fungono da ottima scenografia nel caso di “Amusia”, in cui Marescotti Ruspoli narra l’improbabile liaison fra Lucio e Livia, ragazza affascinante e spigolosa che non riesce a sopportare la musica per un disturbo congenito (e a motivo di ciò non ha certo vita facile). Raggiugendo la capitale, ci si imbatte quindi in “Non credo in niente”, labirintica parabola notturna firmata da Alessandro Marzullo che filtra attraverso le tinte fosche e ammalianti di Kacper Zięba le depressioni e gli accessi di aggressività dei personaggi, tutti per una ragione o per l’altra insoddisfatti della propria esistenza.

“Nascondino” conduce all’amara scoperta della delinquenza giovanile diffusa nelle strade di Napoli: il reportage di Victoria Fiore si distingue per possedere una sconvolgente capacità di penetrazione del tessuto sociale, che nulla ha da invidiare ai ritmi e le dinamiche di un’opera di fantasia. Esplorando la provincia campana nei suoi tre episodi, “Quanno chiove” di Mino Capuano testimonia invece con piglio malinconico la difficoltà a confrontarsi col proprio passato e a distaccarsi dai luoghi che l’hanno segnato, nel bene e nel male.
Quella di “Primadonna”, sesto e ultimo lungometraggio girato sui monti Nebrodi della Sicilia settentrionale, è una vicenda immaginaria ma al tempo stesso ispirata a quella vissuta realmente da Franca Viola, mai preceduta da alcuna nel rifiutare il matrimonio riparatore e autrice così del passo fondamentale verso l’abolizione di una legge che di fatto autorizzava lo stupratore a sposare la propria vittima. Marta Savina ne trae un’appassionante cronaca cui non sfugge il minimo mutare dei sentimenti provati dalla protagonista, impersonata dalla memorabile Claudia Gusmano.
Anche gli otto documentari sono stati realizzati da cineasti italiani, eppure uno dei più interessanti è autenticamente portoghese: “Water in the Gills” di Marco Schiavon segue infatti le immersioni in apnea di Franz, da piccolo trasferitosi con la famiglia nelle Azzorre. Sul pelo dell’acqua si muove anche “Dream of Glass” di Andrea Bancone, filmato a Ventotene e incentrato sui percorsi di scoperta sensoriale che coinvolgono Manuele, cieco dall’età di sei anni, e i bimbi della scuola elementare dell’isola.
Narrate con tono a volte critico e a volte fiero delle proprie scelte sono poi le riflessioni sulla conduzione di una vita, sia professionale che privata, estranea alle convenzioni della società di massa che si possono ritrovare in “Guardiano del faro” di Lorenzo Ferrò, il quale segue le peripezie notturne di un impiegato comunale alla ricerca di lampioni guasti, in “Lettera da Borgo Nuovo” di Matteo Di Fiore, il cui sguardo disincantato si posa su un quartiere di periferia che l’autore non ha forse mai percepito davvero come casa sua, e in “Sorta nostra” di Michele Sammarco, gradito ospite del festival per la terza volta il quale, alla campagna veneta cui appartiene un ramo della sua famiglia, preferisce in questo caso quella salentina dei nonni paterni.
Un profondo desiderio di riscatto si percepisce in “Molise tropico felice”, allegro tour condotto da Luigi Grispello e la sua troupe nella regione che r-esiste contro i pregiudizi e i luoghi comuni. Indagini di impianto necessariamente differente sono, in chiusura di sezione, quelle firmate da Arianna Massimi (“Stati d’infanzia”), stando alle sue stesse dichiarazioni configuratasi come un “viaggio nel Paese che cresce”, e da Davide Como, il quale alternando interviste e inserti di docufiction ricostruisce in “Terra bassa” la singolare storia della frazione marchigiana di Metaurilia, dalla fondazione in epoca fascista alla contemporaneità.
Quale presupposto narrativo, l’elemento acquatico torna anche fra i cortometraggi, i quali ammontano a un totale di quindici: ne “La mia terra di nessuno”, Francesca Belli fa nascere l’incarnazione del Levante dalle onde mediterranee, mentre in “Quando si ritira il mare” di Francesco Lorusso, interamente recitato in lingua bambara, la battigia diviene palcoscenico di un toccante incontro transgenerazionale.
Con “Tria” di Giulia Grandinetti si spalanca un intrigante panorama distopico: in breve, in una Roma irriconoscibile la legge impone alle famiglie immigrate di non crescere più di tre figli ciascuna; qualora ne nascesse un quarto, la prole dovrebbe essere ridotta, dando alle femmine la precedenza. Chi avesse apprezzato “Il sacrificio del cervo sacro” di Yorgos Lanthimos, non potrà lasciarsi scappare questo originale confronto.
Non mancano riflessioni sul cinema inteso come linguaggio espressivo (è il caso del dinamicissimo “Editing Romance” di Stefano Etter e Giovanni Jannoni, carosello di citazioni colte e popolari che farà gongolare i cinefili), ma anche come spettacolo glamour (si veda a tal proposito “Sognando Venezia”, in cui Elisabetta Giannini, figlia di Antonietta De Lillo, immagina l’euforia di una 13enne prossima a calcare il red carpet del Lido).
Del mondo dell’intrattenimento trattano anche “Beyond the Sea” di Hippolyte Leibovici, ambientato nel cabaret gestito da un’istrionica drag queen, “Don’t Be Cruel” di Andrej Chinappi, incentrato sull’indegno trattamento che riceve alle feste private cui è invitato un sosia di Elvis Presley, e “Reginetta” di Federico Russotto, sconvolgente spaccato della Ciociaria degli anni ’50 dove il mito di Miss Italia viene recepito come occasione imperdibile di ascesa sociale.

Fra i corti che affrontano tematiche delicate spiccano senza dubbio “Betty brûle” di Camille Vigny e “Il pettirosso” di Francesco Eramo: in entrambi vi è una giovane donna che subisce violenza domestica, trauma nel primo rimembrato su di un letto d’ospedale in attesa che vengano curate diverse ustioni, nel secondo avversato con l’arma della fantasia durante uno spettacolo circense.
Sui generis l’accostamento di “Corpo e aria” di Cristian Patanè e “Our Males and Females” del regista giordano Ahmad Alyaseer: da un lato una disinvolta tanatoestetista si trova suo malgrado alle prese con una salma appartenente a una persona ben nota, dall’altro una madre e un padre vengono respinti da chiunque sia invitato a curare per la sepoltura le spoglie della loro figlia transessuale.
Altri Paesi esteri sono rappresentati dal brevissimo ed esilarante “Old Tricks”, nel quale Edoardo Pasquini e il bulgaro Viktor Ivanov ritraggono un’anziana coppia che ammazza il tempo in maniera insolita e pericolosa, e da “The Silent Whistle”, debutto formalmente ineccepibile della cinese Li Yingtong che narra di due giovani solitari disposti a farsi compagnia per il capodanno dietro compenso.
L’ultimo corto della sezione, “Macerie” di Federico Mazzarisi, si configura come un viaggio alla scoperta di rapporti familiari manifesti e sottaciuti ed è interamente ambientato in una regione montuosa al pari di alcuni titoli inseriti in Focus Nordest, categoria che di per sé riunisce lavori assai eterogenei.
“Il pastore di nuvole” di Lorenzo Cassol è incentrato sulla passione per l’allevamento che lega nonno e nipote ed è invece osteggiata dalla madre, preoccupata che al figlio sia garantito un avvenire più agiato; “Mel” di Lucrezia Dal Toso segue le verosimili disavventure di una runner turca trapiantata a Bolzano; “New Heights” di Niccolò Poiana è un conciso, muto e folgorante duello ad alta quota fra un contadino e… un drone.
Le risorse proprie del mezzo cinematografico conducono a esiti narrativi non scontati anche nel caso de “I sei valori della nostra società”, opera prima del videomaker, pianista classico e ingegnere informatico Lorenzo Visentin, e soprattutto di “My Choice” di Nicolò Grasso, abilmente montato perseguendo una continua alternanza di avanzamenti e riavvolgimenti al preciso scopo di svelare il senso compiuto di un videomessaggio registrato su nastro solo al termine dell’opera stessa.
Un altro documentario che assume la forma di un’accorata confessione è “Oltreoceano”, nel quale Virginia Paganelli ha permesso a una talentuosa ricercatrice universitaria di inveire contro il sistema accademico italiano. Vite che non si vorrebbero vivere divengono oggetto di alcuni corti di finzione, come “Rebus” di Nicolò Bressan Degli Antoni (sul legame sofferente tra una madre e una figlia, entrambe appartenenti al mondo della danza) o “Il tempo del Capo” di Giuseppe Santocono (dove un’astronauta monitora la “personalità blu” di una terrestre), e della cronaca dell’incontro fatalmente mancato esposta ne “Le parole in tasca” di Agnese Cappellazzo, Camilla De Rossi (la più giovane concorrente dell’intero festival, classe 2004) ed Edoardo Prata.
Anche il Nordest vanta oscure distopie: Andrea Viggiano propone a tal proposito il suo “Europa ‘52”, amarissima proiezione delle conseguenze di un razzismo istituzionalizzato. Alberto De Grandis invece si diletta nel creare un curioso esperimento di fantastoria: in “Variazioni, Opera Ultima” pone infatti nella stessa stanza Schubert, Schumann e Brahms, appartenenti a tre generazioni diverse, ma ciascuno intento a completare l’estrema pagina pianistica del compositore mediano.
Evento peculiarmente estivo, nel corso di questa quinta edizione Edera Film Festival abbonda di climi freddi: dal canto suo, Giulio Golfieri contribuisce con “Lische”, graffiante ritratto di un gruppo di amici che trascorrono assieme la vigilia di Natale, mentre Michele Pastrello – per iniziare a riferire della sezione fuori concorso – presenta il suo primo mediometraggio, “Inmusclâ (Ugni mal nol a scrupol da tornà)”, recitato interamente in dialetto friulano e ispirato a leggende popolari su sfuggenti esseri celati in boschi nevosi.

L’alternanza delle stagioni è al contrario garantita da Marco Rossitti nel suo “Custodi”, coinvolgente inchiesta a 360° su coloro che nelle regioni del nord, ciascuno operando nel proprio ambito, salvaguarda la Natura e i suoi equilibri. Pure Maria Conte indaga direttamente sul territorio, raccontando in “Dove nuotano i caprioli” la vicenda ingiustamente negletta (in parte adombrata dalla tragedia del Vajont) della frazione di Vallesella, scomparsa a seguito del crollo progressivo delle abitazioni a causa della progettazione sconsiderata di un lago artificiale.
Autore di una rilettura poetica di lande desolate è Marco Zuin, che nel suo “Corrispondenze” sceglie il cimitero industriale di Intermodale Marghera (nei pressi di Venezia) quale teatro ideale per far dialogare la poesia di Baudelaire e la musica di un clarinetto e una tuba. Di tutt’altra ambientazione è poi il nuovo corto di Francesco Gozzo, “Evocator”, ispirato al Dialogus magnus visionum et miraculorum dell’abate Cesario di Heisterbach.
Unico contributo animato, tecnica cinematografica non nuova all’evento, si distingue “Canadà” di Paola Luciani che, soffermandosi sulle vicissitudini di due trevigiani sopravvissuti al primo, tragico bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944, adatta alcune pagine di Margrando, racconto del viaggio compiuto dalla fisarmonicista Francesca Gallo sulle tracce delle comunità italiane emigrate in America.
A far toccare quota 48 (la più alta mai raggiunta) ai titoli presentati è infine “Paura fuori”, realizzato dagli studenti del progetto “Finestre sul mondo: laboratorio, cinema, territorio” che ha coinvolto diverse scuole superiori della città. La trama è la seguente: un gruppo di ragazzi in attesa di frequentare un corso di recupero pomeridiano ode degli spari rimbombare lungo i corridoi. Sarà più prudente attendere che qualcuno ordini l’evacuazione o fuggire a passi felpati?
In chiusura, si dà conto della foltissima delegazione degli ospiti di Edera Film Festival 2023: saranno presenti i registi Francesca Belli, Cecilia Bozza Wolf, Nicolò Bressan Degli Antoni, Agnese Cappellazzo, Camilla De Rossi ed Edoardo Prata, Mino Capuano, Maria Conte, Lucrezia Dal Toso, Alberto De Grandis, Matteo Di Fiore, Francesco Eramo, Stefano Etter e Giovanni Jannone, Elisabetta Giannini, Giulio Golfieri, Francesco Gozzo, Nicolò Grasso, Luigi Grispello, Hippolyte Leibovici, Paola Luciani, Arianna Massimi, Federico Mazzarisi, Virginia Paganelli, Michele Pastrello, Niccolò Poiana, Marco Rossitti, Marescotti Ruspoli, Michele Sammarco, Giuseppe Santocono, Marco Schiavon, Andrea Viggiano, Lorenzo Visentin e Marco Zuin; gli attori Maddalena Accomazzo, Anna Bernardi e Stefania Degli Antoni (“Rebus”), Demetra Bellina e Lorenzo Lazzarini (“Non credo in niente”), Alessandra Conte (“My Choice”), Emma Gobbo (“Il tempo del Capo”), Lorena Trevisan (“Inmusclâ”), Alex Zancanella (“Rispet”) e i membri del cast di “Paura fuori”; i produttori Alvise Bressan Degli Antoni e Marco Caberlotto (“Rebus”), Sonia Campanelli assieme alla coautrice del soggetto Pia Maria Alfonsina Miccoli (“Terra bassa”), Antonietta De Lillo (“Sognando Venezia”), Walter Marcer e Francesca Pallotta (“Il pastore di nuvole”); la montatrice Catarina Carvalho (“Water in the Gills”).
Written by Raffaele Lazzaroni
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