“La lanterna magica di Leibniz, Kant e Schopenhauer” di Anna Maddalena Belcaro: intriganti avventure filosofiche
Dell’Introduzione di Venanzio Paciocco, così chiara e illuminante, voglio cogliere l’umanistica considerazione per cui “quello che può vedere un singolo uomo è quello che possono vedere tutti gli uomini, ciò che conosciamo è allo stesso tempo individuale e universale”, e che “gli occhiali che indossiamo sono della stessa gradazione, diversi nel modello, uguali nella progettazione” – anche se questo non concorda col fatto che raramente si pensa e si comunica con l’Altro senza difficoltà.
Non so quanto io possa essere d’accordo, se mi collego a quanto leggo alla fine di pagina 108 e all’inizio della successiva, nell’Epilogo di La lanterna magica di Leibniz, Kant e Schopenhauer di Anna Maddalena Belcaro forse meno essoterico che mi è capitato di leggere: un certo Ermanno (ma chi era costui?): “si ricordò di alcuni libri di filosofia che molti anni prima aveva comprato e poi assolutamente dimenticato in qualche ripiano della libreria.” – allora, alla fine, forse sono io quel tipo lì.
Non è che non li voglia leggere, quei saggi tomi, ma stoltamente li accantono senza malizia, rimando la loro lettura a tempo debito, ma quando? Non lo so. Forse non appena avrò finito di sorbirmi tutta la letteratura mondiale, che pure ho allocato in svariate librerie, sia nello studio, che nella camera da letto, che nel corridoio, che in solaio, che in garage, mentre solo pochissimi li ho momentaneamente piazzati in cantina, ma proprio perché non so più dove metterli. La proporzione fra libri da leggere e libri letti è di circa 3 a 2. Non so se ne uscirò vivo, malmesso oppure mezzo morto. Altri problemi sono però più cogenti.
Sicuramente (ci giocherei fino a mille e trecento euro) l’autrice li ha letti tutti i libri di Kant, di Leibniz, di Schopenhauer, per non dire quelli di Spinoza e di Giordano Bruno. Di Arthur lessi, svariate decine d’anni fa, un Saggio sulla visione degli spettri (che giunse a ispirarmi un racconto che chissà dov’è l’ho rintanato) e un libro di Pensieri e frammenti, nonché un polveroso ma non ponderoso saggio che un certo Friedric W. gli dedicò. Di Immanuel e di Gottfried ho tutte le opere maggiori, come pure di Arthur stesso. Sono là e, passando, talvolta ammicco verso di loro, un po’ imbarazzato.
Del Saggio spettrale di cui sopra ricordo appena che i fantasmi non vedono noi ma noi vediamo loro. Non vorrei confondermi però, con quegli antichi ricordi.
Per fortuna che quest’opera di Anna Maddalena Belcaro, è una fiction basata, come tutte le opere analoga, su una sordida verità: il mondo è immondo e nessuno riesce a togliergli quella patina di cricca, che altro non è che l’opinione altrui.
Vorrei balzare ora a pagina 99 dove Arthur (non meno mordace del mio più amato suo omonimo) dice, semplicemente: “Io sono Arthur e rido di quello che dice Immanuel.”
C’è da dire che tutti e tre i filosofi e pure la loro umanissima accompagnatrice, dicono, ognuno a modo suo, la propria, iniziando nel medesimo modo.
“Io sono Gottfried. Ho frequentato case ricche e nobili e conosciuto molte persone.” – una specie di uomo di mondo?
“Io sono Immanuel. La mia vita è stata tutta dedicata allo studio, perseguito con senso del dovere e disciplina.” – una specie di mistico?
“Io sono Arthur. Ho vissuto la mia vita in solitudine, anzi no. Un cane mi ha fatto compagnia, con il suo affetto disinteressato.” – ma sarà poi vero, che lo era?, intendo Arthur, non il cane. Egli era, a quanto ho capito (non intuito: c’è scritto espressamente a pagina 81, ma la fonte è poeticamente dubbia) cugino di Peg, e quando la conobbe lei “forse aveva quattro o cinque anni”.
Nessuno dei tre titanici omuncoli (il finto ossimoro è ancora più deprecabile in quanto è fortemente voluto) non mi pare siano il massimo dell’allegria e dell’empatia umana.
“Io sono Peg. Sono una donna. Una filosofa, anzi sono la filosofa.” – come se fosse, e forse lo è davvero, l’unica esistente a quell’epoca.
Dice anche: “Ho affrontato l’amore con il mio cuore intrepido, perché ho preferito il rischio di sbagliare e anche soffrire alla mancanza di relazione.” – e ora faccio, ahimè, lo spoiler: in taluni momenti della sua vita, anche a lungo, non parlava se non aveva nulla da dire, se doveva prima ascoltare e poi pensarci su. Molti la ritenevano un’afasica.
A prescindere dal sesso, lei è ovviamente la persona, fra quei quattro almeno, con cui più vorrei convivere. E, nella mia mente, ora m’immagino immerso in quello specifico spazio-tempo in cui questi maestri del pensiero stanno conducendo la loro dialettica esistenza: al che io mi proporrei forse come operatore scolastico o, nel caso, come inserviente.
Domandina facile facile a pagina 13: “… che cosa era l’‘io’ che spingeva gli uomini ad agire?”
Nella pagina precedente conto fino a 4 volte il termine “scelta”. Anche religio ha un etimo che porta a eligo, che poi diventa anche ligo, una scelta che alla fine ti avvinghia e ti stordisce.
A pagina 14, Anna Maddalena Belcaro, parlando di Immanuel, lo chiama “il piccolo uomo” (essendo alto circa un metro e mezzo) e chissà, se è per questo che egli non riesca a contemplare l’esistenza di un dio smisurato. È una mia ipotesi. Ma gigantesche sono le tre domande che egli si pone a pagina 22, tanto immani che non riesco a inserirle nell’articolo.
“Gottfried insisteva sulla forza immanente che aveva prodotta la generazione del mondo.” – l’energia che crea la massa, come Albert scoprirà pochi secoli dopo.
“Immanuel cercava e vedeva l’universale, l’eterno, quello che si ripeteva uguale a sé stesso.” – l’algoritmo che si adegua a ogni dimensione e che perciò al momento svolge (da dio?) la sua funzione.
Dal canto suo, “Peg non prevedeva piogge.” – la sua è una condizione che sa ergersi a filosofa ma al contempo riesce a badare alle minuzie che, una volta sommate, assurgono al ruolo di fondamenta su cui sarà affidato il proprio equilibrio, nonché quello degli altri personaggi.
Da quel che ho capito, Peg preferisce la compagnia di Gottfried a quella di Immanuel, e magari lei sarà pronta a dire di no, che non è vero, che lei ha bisogno di tutti i filosofi del mondo.
“Peg fece tintinnare il braccialetto di conchiglie che le circonda il polso sinistro.” – e, magia! – “Immanuel sfiorò Peg con lo sguardo ed ebbe un attimo di esitazione.” – dopo di cui quell’immane nanetto ricomincia a discettare.
“Peg attirò l’attenzione di Immanuel. L’altipiano non era lontano e si poteva tirare il fiato.” – è mia convinzione, ma ignoro da dove tragga questa mia vile doxa, che il più lucido dei filosofi, quando ha il cuore che frigge dalla fatica, possa mettere in dubbio quel che di solito ritiene assodato.
Peg forse sapeva, ma questo è solo un’ipotesi, “riconoscere la realtà oltre il visibile, oltre il fenomenico.” – era forse una poetessa, più che una filosofa.
“Il dolce veleno dello studio si sarebbe sparso nelle vene e nelle arterie di Gottfried, Immanuel e Peg…” – in entrambi i sensi, ergo qualcosa, dentro di loro, nella loro immaginazione, riusciva a detergere quel liquido vitale.
Dice la mia amata: “… la mia ricchezza è diventata la religione dei piccoli gesti.” – Peg li sceglie minuti perché non solo sono più facile da gestire, ma permettono di cogliere quelli più grandi, mentre l’inverso non accade quasi mai.
Ancora: “Io sono la natura”, e “appositamente genero e faccio scomparire forme di vita.” – senza massa non ci sarebbe energia, e viceversa.
Ma è nato prima il bosone o il fermione? Esiste una domanda più assurda? Eppure c’è chi crede di avere la risposta.
“È solo dalla morte che può nascere la vita.” – solo se il seme muore potremo farci un bel panino. E lo stesso vale per la birra, per il vino, per l’acquavite. E dopo averli tutti ingurgitati, prima di emetterli di nuovo all’esterno, essi ci doneranno tanta energia da farci ballare per tutta la notte.
Sic transit gloria mundi, e per questo, il più saggio (e con questo non dico che fosse il più veritiero e sagace) “Immanuel era un viaggiatore…” – cioé colui che sa andare più in là di chiunque.
All’intera schiera di dotti, vorrei porre la domanda che un giorno mi rivolse Hilary Putnam: che prova mi sai dare tu, Stefano, che altro non sei che un penoso e pensoso cervello in una vasca?
Ho assistito a tutto il ciclo di Matrix, ma non ricordo com’è andato a finire.
Che mi tocchi ora ricaricarlo? Should I reload it?
La tua scrittura, Anna Maddalena Belcaro, mi ha conferito tanta di quella energia che alla fine mi ha quasi sfinito: bravissima!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Anna Maddalena Belcaro, La lanterna magica di Leibniz, Kant e Schopenhauer, A & B Editrice, 2023