“Madre d’Ossa” di Ilaria Tuti: la polpa viva della memoria di luoghi

Un paesaggio primordiale. Un carnaio ‒ a mezzacosta ‒ lungo le falde del monte che sovrasta il Lago di Cornino. Volteggiano in ellissi di morte i grifoni ‒ maestosi rapaci saprofagi.

Madre d’Ossa di Ilaria Tuti
Madre d’Ossa di Ilaria Tuti

Un’alba caliginosa sta sorgendo sul lago, simile all’occhio antico di una bestia primordiale, cinto da selve arrossate dall’autunno e aperto nella Terra. Un paesaggio liminale.

Si diradano le brume ed ecco… una visione: una Pietà pagana là dove il bosco più fitto cede il passo all’acqua gelida di lago e le rocce… paiono trasudare sangue nero.

Lei china su di lui. Lui bello come un giovane di Caravaggio giace esanime fra le braccia della donna. Chi è quel giovane? Ratchis è il suo nome; un nome regale, atavico, longobardo, come il Duca di Cividale e signore d’Italia. Uno scramasax, un pugnale rituale longobardo che “li accoglieva alla nascita e li accompagnava nell’oltretomba”, giace accanto a loro nell’acqua di cristallo turchese.

Lei, le guance sporche di sangue, lo sguardo smarrito… rosse le chiome. Lei si chiama Teresa… commissario Teresa Battaglia, ma non lo sa… non lo ricorda.

Perché Teresa è lì? Qualcosa di enigmatico e terribile è accaduto quella notte.

Massimo si è precipitato lì dopo aver ricevuto una chiamata anonima, non ha risposte ma è conscio che la scena di un crimine è l’ultimo posto dove dovrebbe trovarsi il commissario Battaglia. L’ispettore Massimo Marini, giovane disciplinato, ligio alle regole, ora dovrà scegliere fra tutelare Teresa oppure se non rispettare le regole -a rischio di compromettere la propria carriera- rinunciando alla propria etica e integrità morale manipolando le indagini, alterando la scena del crimine. Rimaneggerà i dettagli del ritrovamento, mentendo ai propri superiori e al sostituto procuratore Gardini al fine di evitare ogni coinvolgimento di Teresa, proteggendola così dai suoi nemici giurati in Questura. Inizierà a intavolare un’indagine collaterale con i colleghi più fidati della squadra.

Teresa ha irrimediabilmente alterato il luogo del ritrovamento e inquinato gli indizi? E questa la realtà dei fatti? Forse non è così…

Friuli Venezia Giulia. Forgaria. Riserva naturale del Lago di Cornino e il fiume Tagliamento. É ottobre a ridosso di una data fortemente simbolica, Samhain ‒ la notte di Ognissanti.

Così si apre il sipario su Madre d’Ossa il nuovo giallo-thriller esoterico dell’amata autrice friulana Ilaria Tuti edito da Longanesi nel maggio 2023.

Il romanzo è una detective story in cui si cammina sul bordo delle cose continuamente in bilico fra luce e ombra. Un libro intenso, profondo, dedalico, femmineo, topografico e simbolico la cui radice occulta affonda nell’antropologia e nel folclore.

Il romanzo vede da un lato il commissario Battaglia costretto dagli eventi a rinunciare a ogni certezza, impegnato in una strenua lotta contro veri nemici, falsi amici ‒ avvoltoi non solo metaforici, e dall’altro vede di/battersi Teresa nella sfida con la sua memoria, con il suo corpo e la malattia che le ha annebbiato la mente. Questa volta Teresa si trova a dover risolvere l’enigma più sfidante di tutta la sua carriera: un’indagine su se stessa, sulla propria vita, in cui nulla ‒ ora come mai ‒ è come sembra, confrontandosi così col crollo di castelli di menzogne.

Il commissario Battaglia avanza supportata dai suoi amici e colleghi più fidati lungo una linea bianca, anzi, una spirale di morte, intenta a riannodare “i fili di sangue che congiungono gli avvenimenti odierni a un remoto passato” attraverso “l’inferno che è un luogo (fin troppo) umano”.

Le vicende narrate si dipanano nell’arco di due mesi fra ottobre e dicembre 2022 fra il Lago di Cornino, Gemona, Venzone, Udine, il Cividalese e le Valli del Natisone. Cividale del Friuli, Forum Iulii, la città fondata dall’imperatore romano Giulio Cesare e patrimonio UNESCO, è il cuore del romanzo. Ci sono connessioni così profonde che emergono sempre, sirene o luci nelle tenebre, che fanno sì che lo sciame dei pensieri e delle indagini portino alla Città Ducale, finché, una ferale epifania davanti al contenuto della teca della tomba numero 59 della necropoli longobarda di S. Mauro nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale, segnerà un punto di svolta nelle indagini del commissario Battaglia e della sua squadra.

Il titolo del romanzo si riallaccia alla trama narrativa del suo precedente thriller Ninfa dormiente ove le vicende ora narrate erano già presenti in nuce, quando un male maggiore, incombente, si stava manifestando.

Madre d’Ossa... perché questo titolo?

“Madre ‒ grembo, antro, buio primordiale, cova accogliente della vita. Ossa ‒ morte, devastazione del corpo e un richiamo al primo romanzo Fiori sopra l’inferno. Le ossa, ancestralmente, nella società matriarcaledice Ilaria Tuti ‒ erano considerate sacre, un portale aperto verso la rigenerazione. Ossa che nel corpo femminile votato al cambiamento ciclico, alla trasformazione e alla resilienza, ruotano e si spostano nella gravidanza e nel parto. Il tempo per le culture ancestrali non aveva un andamento lineare bensì ciclico, continuum vitale, ciclicità d’esistenze. Le donne accompagnavano i membri della comunità: si prendevano cura dei corpi alla nascita come al momento del trapasso. L’archeologia e l’antropologia attestano riti di esumazione in cui le donne, e solo loro, disseppellivano i resti dei defunti, lavavano le ossa e le conservavano con valenza sacrale. Nel Neolitico si compivano riti di scarificazione delle ossa dei defunti. In queste culture si credeva che l’anima non potesse raggiungere l’aldilà se gravato dal peso dello sfacelo della carne corrotta. Anche tutt’oggi, in varie culture, le ossa sono sacre, basti pensare alle divinità femminili del Buddismo tantrico tibetano, le Vajrayogini e le Dakini alate dell’Induismo. La compassione, la cura dei malati e quella dei morti appartengono antropologicamente alla donna”.

Il poeta friulano Pierluigi Cappello scrisse che il sisma che aveva colpito il Friuli nel 1976 oltre alla devastazione materiale determinò una frattura anche nell’intimo delle genti del Friuli. “Dalla polvere e dalle maceriecome scrive l’autricesi era edificato un nuovo futuro, impastandolo con il ricordo dei fratelli e di un mondo rurale che era rimasto sepolto e mai più sarebbe tornato” ovvero, con un apparente ossimoro la morte non avrebbe più fatto parte della vita. “Una cesura nel rapporto con la morte, la malattia e il decadimento fisico (percepiti come qualcosa di “sconcio” dall’attuale società dei consumi) destinati ora a essere relegati e quasi nascosti alla vista negli ospizi e negli RSA” afferma l’autrice. “Nella cultura dell’accudimento degli anziani di un tempo non si terminava la vita “rinchiusi in un ospizio, immemori […], non su una sedia a rotelle, incapaci di discernere […] ma utili alla vita in qualche modo. La compassione e la cura infinita verso chi si accompagna alla morte sono un valore. L’abisso può essere apertura verso il sacro.” ribadisce Ilaria Tuti.

Marini, De Carli, Parisi, Crespi, Lona, Elena, Alice e il cane Smoky specializzato in Human Remains Detection: personaggi già tratteggiati nei precedenti romanzi vengono, in questo thriller, sottoposti dall’autrice a un ulteriore fine lavoro di cesello della loro psicologia. I personaggi di Ilaria Tuti non sono mai totalmente buoni o cattivi.

Madre d’Ossa è sia un romanzo di storie di donne (i personaggi di Alice ed Elena sono degli assi portanti) sia un romanzo di rapporti, sui rapporti ‒ in un certo senso di prossemica ‒ in cui sono fondanti le relazioni interpersonali nell’evolvere delle malattia del commissario Battaglia e nelle loro reciproche iterazioni: l’importanza della sfera degli affetti.

Una malattia, la demenza di Teresa, che “si nasconde per bene fra le pieghe di una apparente normalità per riapparire inattesa e prendersi platealmente la scena” in una vicenda tragica come quella narrata che, se non fosse stata tale, assumerebbe nelle pagine del romanzo i contorni della commedia.

Madre d’Ossa è sia un continuum di fascino ancestrale, sia un canto, anzi, una nenia antica d’amore (quasi di sapore ecfrastico) dell’autrice per la sua terra: il Friuli.

Cividale del Friluli, un luogo antico e che come “tutte le culle dell’umanità porta con sé un lascito solenne di dolore,” in cui si cammina sulla storia, nella storia, su strati di morti; il Ponte del Diavolo e la gola smeraldina del fiume Natisone; la catacomba dell’ipogeo celtico; il convento benedettino di Santa Maria in Valle; la solennità mistica del Tempietto longobardo ‒ scrigno di marmi e stucchi; la grotta-chiesa di San Giovanni d’Antro arroccata alla sua falesia affacciata sulla valle del fiume Natisone; il santuario mariano della Beata Vergine di Castelmonte, fortezza di pietra sulla cima di un rilievo boscoso delle Prealpi; il castello di Ahrensperg e il borgo di Biacis, le Valli del Natisone (Triangolo delle Bermude, un crogiolo sincretico, surrettizio e liminale di misteri ancestrali, folclore, genti, storia che tutto concentra in pochi chilometri di monti, foreste e acque); Venzone e Gemona fra mummie, ossari e cattedrali riedificate in anastilosi. Ma che forse… anche un gesto d’amore, una carezza (forse un bacio d’addio?) al commissario Battaglia?

Che sia la chiusura di un ciclo? O un nuovo inizio… l’inizio di una nuova “Battaglia”?

L’ambientazione, i paesaggi, le genti, la storia antica non sono mai scelte casuali per la scrittrice friulana. L’autrice entra in risonanza coi luoghi, percependone i flebili sussurri del genius loci, ne subisce la suggestione, e sente la necessità di raccontare di queste energie sottili, di questa fascinazione di storie e Storia nelle vicende dei suoi romanzi. “Quando viaggio e visito una città adoro visitare i musei, grandi o piccoli che siano, e trovarne in essi motivi d’ispirazione in quanto sono luoghi in cui trovare noi stessi, in cui ci sono le nostre radici e quindi in un certo senso anche il nostro futuro” afferma Ilaria Tuti.

“In questa terra dove credenze religiose e folclore sono la stessa cosa” il passato pagano dei Longobardi e quello Cristiano, il culto della Grande Madre e delle Vergini Nere si intrecciano fra le righe del thriller alle tradizioni ancestrali norrene e del Centro Europa travalicando sino alla Siberia con incursioni anche nei miti e nelle tradizioni esoteriche e misteriche dell’Antico Egitto e dell’antica Roma. Oscuri riti ancestrali, flebili echi riverberanti di personaggi mitici (benandanti, anguane, krivapete, torke) persistenti nelle tradizioni del folklore del Friuli e delle Valli del Natisone rivivono nelle pagine del romanzo.

“Ciò che ci circonda è fatto più di mistero che di materia conosciuta”sostiene l’autrice.

L’acrostico alchemico VITRIOL (Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem) sembra coagulare la quintessenza di Madre d’ossa.

Scendere è l’anima di questo thriller, in se stessi come nel grembo della terra ‒ dimora delle divinità ctonie e della Grande Madre. Le grotte, le cavità ipogee sono luoghi liminali, soglie sacre, passaggi sull’aldilà, passaggi di forze vive e morte che da sempre l’uomo tenta di dominare attraverso rituali. In Friuli si sono compiuti riti pagani attestati fino agli inizi del Settecento (unico territorio nell’Europa Occidentale). Un tempo in prossimità delle grotte si compivano rituali sinistri per conseguire la benevolenza di forze sovrannaturali nei confronti dei villaggi (sono attestati anche in recenti tesi di laurea dell’Università di Lubiana inerenti le cavità carsiche della Slovenia, del Cividalese e del Collio). Ancora oggi in Slovenia poco oltre il confine italiano, continuano a praticarsi riti pagani e sciamanici in grotte, foreste e nei pressi di megaliti.

L’autrice delinea delle topografie che hanno un grande impatto realistico ma che sono anche proiezioni dei contenuti inconsci dei personaggi e, nel contempo, proiezioni dello sguardo del lettore in un tutto indistinguibile ‒ una sorta di “correlativo oggettivo” montaliano.

Paesaggi in dissolvenza avvolti nella nebbia (quasi un farsi metafora del mondo contemporaneo), caliginosi come i reami dell’Ade, aspri e zuccherini di “sentori d’uva lasciata marcire sui tralci e di brace rimestata nelle stufe”, le Valli del Natisone avvolte dalla notte “simili a un mare oscuro in cui si intravedono le onde blu cobalto delle colline boscose” oppure inondate dalla luce d’ottobre ‒ una deriva di colli “dorati dal sole e di montagne di un verde primordiale”: pura sinestesia.  L’autrice carezza tutti i sensi del lettore, solletica il sentire tramite suggestioni estetiche che trasmutano le pagine del romanzo in una sorta d’organo sensoriale sussidiario che quasi travalica le pagine stesse. Una prosa, quella della Tuti, che a tratti sfiora il lirismo “Sentiva il cuore battere sotto le dita. Le venne da muoverle come sui tasti di un pianoforte, suonava la vita che continuava a riverberarsi, incandescente, nelle vene” e che dal chimismo poetico passa disinvolta a lemmi icastici o apoftegmatici su quanto dolore una vita possa sopportare prima di soccombere l’esperienza le diceva: finché il cuore regge, finchè il sangue è abbastanza caldo”; tutto ciò concorre a spinge il lettore in quella fascinazione, quella peculiare alchimia che lo seduce e lo avvince sino all’ultima pagina del thriller.

Il romanzo di Ilaria Tuti contiene altresì pagine profondamente oniriche:Se i sogni mescolano i nostri appetiti con le nostre paure, i sogni di Teresa Battaglia sono ossessionati da una lotta fra luce e ombra, fra angeli e demoni, fra un Michele Arcangelo e un Satana-vampiro dalle ali di pipistrello simile al Satana di Milton” afferma Ilaria Tuti.

“I personaggi “diversi”, “difettati” o in difetto di qualcosa esercitano da sempre un fascino su di me ‒ sostiene l’autrice ‒ e sono sempre stata una grande “ascoltatrice”.” L’imperfezione racchiude dentro di sé una storia meritevole di essere narrata. “Alla bellezza non viene mai chiesto il sacrificio” (Figlia della cenere) ma da questa immobilità non vi può essere evoluzione.

Il diverso, l’anomalos (ai tempi in cui, prima della pietas cristiana, era un attimo  diventare l’anomos, il senza legge, l’estraneo) e “un’umanità ormai disumana” sono tematiche cardinali del thriller così come l’empatia, la compassione, la corrispondenza simpatetica con la malattia e il sofferente, il contatto “umano”, la gentilezza sono i Leitmotiven anzi, il filo rosso, che riconnettono a questo capitolo della saga l’interezza della parabola esistenziale di Teresa Battaglia ‒ caratterizzata da numerose cadute.

Madre d’Ossa è nella sua polpa pulsante e vitale un romanzo della Memoria, intorno alla memoria e di memorie. La scrittrice entra nelle piccole e grandi anomie della Storia e delle storie da lei narrate.

“La memoria che si sfolla” (E. Montale) è motivo per Teresa Battaglia di fare nome la propria storia, di scriversi. “Vi ricorderete di me? Cosa può restare di me agli altri?” Sono i quesiti esistenziali che ci pone l’autrice di cui si fa medium il personaggio di Teresa Battaglia. Domande che non restano inevase.Ciò che seminai con amore/ germinò lentamente/ maturò tardi/ ma in benedetta abbondanza” (Peter Rosegger, poeta) scrisse il poeta ed è vero: il sentimento è l’unico patrimonio e lascito che possiamo affidare agli altri. Le emozioni sono il nostro testamento postumo, il seme vitale della memoria di noi. Così Teresa, in questo atto finale della saga, si aggrappa alle emozioni facendo i conti con se stessa e con la propria malattia.

Un romanzo intorno alla memoria in dissolvenza, che si fa e sfa, un’evanescenza che è “un continuo divenire che si modifica, si plasma: siamo noi stessi che narriamo i nostri ricordi.” ricorda l’autrice. Teresa si sente sbriciolare, gli spasmi di una lotta dolorosa contro la paura di scomparire, una Battaglia “persa” (in tutti i sensi) nel dedalo della mente e dell’inconscio fra le sue ossessioni e compulsioni per cercare un ordine esistenziale e materiale, sempre oscillante fra malattia, istinto e lucida analisi investigativa. Dinnanzi alla memoria di un passato destinato all’oblio inesorabile e a un futuro annichilito dalla demenza il commissario Battaglia cerca di salvare l’unica cosa che le è rimasta e su cui ha potere: il presente.

Sull’altro piatto della bilancia esistenziale di Teresa il lavoro investigativo: per il commissario Battaglia, infatti, il suo lavoro è una vocazione: “Per Teresa, ostinarsi a indagare sul mistero che la coinvolgeva significava evitare di tagliare l’ultimo filo che ancora la legava alla propria indole, alla passione per l’investigazione che aveva pervaso la sua intera esistenza, e a un certo punto l’aveva salvata dalle macerie di un matrimonio rivelatosi una trappola. Si era aggrappata a quel lavoro, al suo significato più profondo: il bisogno di credere nella redenzione dell’essere umano oltre ogni possibile speranza. Ora ci si aggrappava per non perdere se stessa.”

Degno di menzione è anche un riferimento tangenziale all’epigenetica secondo cui le esperienze passate ‒ anche quelle dei nostri avi ‒ sono in grado di lasciare un “segno” nel nostro DNA modificandolo.

La trama ricca di colpi di scena, labirintica, il ritmo incalzante, fanno di Madre d’Ossa un thriller avvincente e coinvolgente, da leggere tutto d’un fiato e lo rendono, insieme alla trama accattivante e l’ambientazione fascinosa e selvaggia, ideale per una futura trasposizione televisiva.

L’esergo “Post tenebras spero lucem” segna la traccia fosforica di questo racconto: ogni creatura davanti al proprio abisso deve compiere un balzo, superarlo, portandosi così lontano su un altro piano, verso la luce e conseguire non la felicità o la gioia ma una condizione assai più rara: l’essere in pace.

 

Ilaria Tuti
Ilaria Tuti

Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Ha esordito nella narrativa con Fiori sopra l’inferno (Longanesi 2018). Il secondo romanzo, Ninfa dormiente, è del 2019. Entrambi vedono come protagonisti il commissario Teresa Battaglia, uno straordinario personaggio che ha conquistato editori e lettori in tutto il mondo, e soprattutto la terra natia dell’autrice, la sua storia, i suoi misteri. Con Fiore di roccia (2020), e attraverso la voce di Agata Primus, Ilaria Tuti celebra un vero e proprio atto d’amore per le sue montagne, dando vita a una storia profonda e autentica. Nel 2021, con Luce della notte e Figlia della cenere, torna alle storie di Teresa Battaglia. Del 2021 è anche la nomina di Ninfa dormiente agli Edgar Awards e il Premio letterario Rapallo per la donna scrittrice per Fiore di roccia. È inoltre autrice del romanzo Come vento cucito alla terra (2022), ispirato alla vera storia delle prime donne chirurgo durante la Grande Guerra. I suoi romanzi sono pubblicati in 27 Paesi. Da Fiori sopra l’inferno è stata tratta l’omonima serie tv con Elena Sofia Ricci, trasmessa su Rai1.

 

Written by Federico Ielusich

 

Nota

La presente recensione ripropone, in alcune delle sue parti, una trascrizione dell’intervista a Ilaria Tuti dello scrittore friulano Angelo Floramo, in veste di relatore, nel corso della presentazione del romanzo Madre d’Ossa dello scorso 13 giugno 2023 presso il complesso monastico di S. Maria in Valle di Cividale del Friuli a cui lo scrivente era presente in veste di redattore per la rivista Oubliette Magazine.

 

Bibliografia

Ilaria Tuti, Madre d’Ossa, Longanesi Ed., maggio 2023, ISBN 978-88-304-4876-6

 

3 pensieri su ““Madre d’Ossa” di Ilaria Tuti: la polpa viva della memoria di luoghi

  1. Molto interessante. Sto leggendo ora il thriller della Tuti. La tua disamina mi sarà senz’altro di aiuto

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