“La ragazza di via Millelire” di Gianni Serra: lo scomodo film del 1980 ambientato a Torino
Allo spettatore di oggi non possono che suscitare meraviglia e incredulità, la furia, il disgusto e lo scandalo con cui il film di Gianni Serra “La ragazza di via Millelire” viene accolto dalla critica dei principali quotidiani italiani, dopo la presentazione in concorso al Festival del Cinema di Venezia del 1980.
Non si fanno sconti: “Sgradevolissimo”, “Gronda fango”, “Il film più becero dell’anno”.
Nei quartieri di Torino dove è ambientato, Via Artom e Mirafiori Sud, nascono immediatamente, anzi sono attivi ancora prima che il film sia terminato, comitati spontanei che protestano indignati; ne fanno parte famiglie, commercianti, operai e sacerdoti. I dibattiti si tramutano subito in risse; come per “Ultimo tango a Parigi”, si chiede il rogo.
Il film lo hanno visionato in pochi e si crede agli articoli dei giornali, che buttano benzina sul fuoco.
Tutto comincia da un’idea apparentemente condivisibile del consiglio comunale di Torino per il 1979, dichiarato dall’ONU “Anno internazionale del fanciullo”. Il sindaco comunista Diego Novelli avalla il progetto per la realizzazione di un film sul tema, mentre della produzione si incarica la Rai.
Nei quartieri in rivolta la situazione si calma quando il lavoro è proiettato al cinema Massimo di Torino, davanti a spettatori che riconoscono che il diavolo è così brutto come lo si dipinge, ma per Gianni Serra, rimasto quasi da solo a difendere il suo lavoro, non è una vittoria. Tra i pochi che lo hanno appoggiato a Venezia, proponendolo per la premiazione, c’è Umberto Eco che, proprio nel 1980, pubblica il suo primo romanzo: “Il nome della rosa”.
Dopo brevissime apparizioni nelle sale cinematografiche, occasione per pochi tra cui il vostro articolista di vedere “La ragazza di via Millelire” sul grande schermo, la pellicola scompare dalla grande distribuzione. Oggi, sul canale YouTube, si può trovare una rarissima messa in onda televisiva, avvenuta a tre anni di distanza e in seconda serata, con la presentazione di un Tullio Kezich estremamente cauto nel pesare le parole e nell’esprimere giudizi; d’altronde il film era già costato il posto all’allora direttore del secondo canale Rai.
Recentemente, a 40 anni di distanza, Rai Teche ha restaurato e digitalizzato la pellicola.
Gianni Serra è un regista del bresciano morto a Roma nel 2020. In Rai cura programmi televisivi condotti da Mike Bongiorno, Enzo Tortora, Enzo Biagi, e “La Domenica Sportiva”; il suo nome, però, è legato alle inchieste e a un controverso lungometraggio sul disastro di Seveso, “Una lepre con la faccia di bambina”. Oltre ai film per la televisione, di lui ricordiamo per il cinema: “Uno dei tre” e “Fortezze vuote”, dove affronta il tema delle malattie mentali.
Della mia prima visione del film in una sala di via Po non ho molti ricordi, sono passati più di quaranta anni, però l’interesse suscitato mi ha fatto acquistare la sceneggiatura del film, pubblicata dalla Savelli Editore, casa editrice della sinistra estrema, che ha stampato opere come “La strage di Stato”, controinchiesta sulla bomba di piazza Fontana e, altro scandalo, “Porci con le ali”.
Il volume con la sceneggiatura di “La ragazza di via Millelire” è accompagnata da interventi di Diego Novelli e dello stesso Gianni Serra, che testimoniano la situazione tesa e polemica seguita all’uscita del film.
Pur volendo evitare di impantanarmi in un dibattito politico e sociologico su quegli anni difficili, non posso estrapolare il film dal suo periodo storico.
Il 1978 è l’anno del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro: la tensione in Italia è altissima.
Nelle città del Nord l’immigrazione proveniente dal Sud Italia fa nascere nuove periferie. A Torino le vie dedicate al partigiano Emanuele Artom e all’ufficiale Domenico Leoni, detto Millelire, sono ghetti dove il degrado, la povertà, lo sfruttamento, sono sotto l’occhio di tutti. Gli uomini che hanno trovato lavoro alla Fiat sono soggetti a turni massacranti e il loro stipendio non basta a mantenere famiglie troppo numerose. Mancanza di istruzione, delinquenza, spaccio, prostituzione minorile, sono fuori dal controllo delle istituzioni e delle forze dell’ordine, preoccupate piuttosto di tenere a bada la minaccia terroristica.
La chiusura di manicomi e riformatori ha portato alla nascita di inediti comprensori, come Centri d’Incontro e Strutture di recupero, che funzionano, quando funzionano, solo grazie alla buona volontà e all’improvvisazione di poche persone. Proprio questo aspetto, la rappresentazione che di tale problematica sociale ha dato Serra, spiega secondo me la reazione rabbiosa e quasi isterica che, dimentica del film, ha generato attacchi eccessivi e sistematici.
“La ragazza di via Millelire” non sarà tra le opere immortali del secolo scorso, ma ha il suo fascino, il suo impegno, la sua forza di denuncia e una sua poesia, facendo della protagonista dalla bellezza acerba, quella che fu definita “un’eroina punk”.
Il film si dipana intorno al personaggio di Betty, Pellegrino Elisabetta, tredicenne irrequieta, in fuga da tutto e da tutti, sbandata ma con i suoi valori, con le sue regole spesso tribali. Una ragazzina fragile e ostinata, non più bambina e non ancora donna, intelligente e ingenua al tempo stesso; in un sotto mondo di personaggi allo sbando, vinti, perduti, senza morale, senza futuro, lei vuole combattere per non finire come le ragazze della sua età e condizione, a fare la schiava per un marito padrone o a prostituirsi per portare soldi a casa.
Betty, pur nella sua confusione, è coerente con se stessa. Si cerca, soffre, sbaglia, si sfoga, chiede aiuto e consiglio, si ribella e si vendica. Prova a confidarsi con tutti quelli che incontra: suo fratello Rocco, il travestito Garofano, il “poeta” Calvo, Tonino di cui quasi si innamora ma che vuole sfruttarla e la cede ai suoi amici solo per giocare a fare il duro, le ragazze con cui condivide brevi periodi di vita in comunità da cui fugge subito, Michele a cui si rivolge per vendicarsi di Tonino. Quando parla di se stessa, confessa: “… io voglio bene un po’ a tutti, sì perché sono un tipo che si affeziona …”. Alla fine, tuttavia, Betty si trova sempre sola e l’unico suo riferimento è Verdiana, l’operatrice del Centro d’Incontro che deve occuparsi di lei.
Verdiana è una donna stanca, scoraggiata, consapevole di quanto siano grandi i disagi e limitati i mezzi che ha a disposizione, eppure non vuole arrendersi, neppure davanti a quel caso disperato che è Betty. La Betty che mastica e fa scoppiare gomme americane, i cui tacchetti, cerca di sembrare meno piccola di quanto è, accompagnano con il loro ticchettio secco il suo camminare per le strade.
Nell’ultima scena del film, Betty e Verdiana sono a confronto per l’ennesima volta. La ragazzina, dopo avere provato il carcere, dopo essere riuscita a vendicarsi di Tonino e dei suoi violentatori, non ha altro posto dove rifugiarsi che il Centro d’Incontro. Dopo troppi fallimenti, Verdiana ormai non ha più nulla da tentare con lei, eppure, mentre riflette su cosa fare, l’operaio che ripara i lampioni in strada le annuncia quello che è un inatteso miracolo: le lampade che ogni notte sono rotte a sassate senza motivo, quel giorno sono state risparmiate; basta quello perché la donna si sieda davanti a una Betty muta e a capo chino. No, non l’abbandonerà neanche adesso: “Non fare quella faccia! Una soluzione alla fine l’abbiamo sempre trovata, no?”
Non è un lieto fine, eppure è un messaggio di speranza.
Film violento, più nelle descrizioni che nelle scene. La dodicenne incinta, sottratta al padre che vuole massacrarla di botte, che ripete lamentandosi e riferendosi al genitore: “Ma se è stato lui, ma se è stato lui.” La violenza di gruppo su Betty mentre Tonino, di cui si era innamorata, lancia il coltello contro un muro e poi si preoccupa perché la lama si è spezzata. Il pestaggio e lo sfregio al ragazzo di un altro quartiere, perché ha invaso una zona non sua.
Abituati ai film e agli spettacoli moderni, al sangue che schizza ovunque, non proviamo particolare turbamento e lo stesso vale per le tante sistematiche parolacce che accompagnano i dialoghi, entrate nel lessico abituale di dibattiti culturali, sociali e politici, usate indifferentemente da alunni e professori. Manca piuttosto quel vero distacco tra dialetti, che ha reso difficile e volte impossibile l’integrazione.
Moltissimi degli attori non sono professionisti.
La protagonista Betty è Oria Conforti, una ragazza che compie 15 anni sul set, durante le registrazioni. Poche le sue altre apparizioni, per lo più su televisioni private. Lascia giovanissima il mondo dello spettacolo. La sua interpretazione ne “La ragazza di via Millelire” è convincente ed emozionante. Oggi la si può trovare a raccontarsi con nostalgia su Facebook, in una pagina dedicata al film.
Attrice professionista, oltre che brava cantautrice e artista di varietà, è Maria Monti, “Verdiana”. Serra le affida un personaggio difficile, apparentemente chiuso, prigioniero del proprio ruolo, che invece ha, sotto i modi burberi e infastiditi, un’umanità profonda e spirito di sacrificio. Maria Monti disegna una Verdiana di grande equilibrio che, pur restando in secondo piano con la sua storia rispetto a Betty, è umana e “vera”.
Chissà se chi ha criticato con tanta violenza il film, ha colto qualcuna delle citazioni che gli sceneggiatori Tomaso Sherman e Gianni Serra hanno sparso nella storia.
Written by Marco Salvario