“Raccontami ancora di quell’ultima estate” di Filippo Pace: la battaglia interiore dell’insegnamento

Primo anno scolastico da professore, tante aspettative, primo traguardo. No, il traguardo è stato ieri con la conclusione del suo ciclo di studi, oggi è una partenza, un giro di boa attorno alla cattedra e si comincia a vivere la vita vera, quella al di qua della cattedra.

Raccontami ancora di quell’ultima estate di Filippo Pace
Raccontami ancora di quell’ultima estate di Filippo Pace

Fabio Spersi sbarca nell’isola della sua destinazione ministeriale con la valigia dell’attore; la valigia del professore, per parafrasare De Gregori, carica di sogni e di perplessità.

Capisce subito, pagando con ferite sulla pelle, che per insegnare deve amare gli studenti, ma che se li ama troppo perde lucidità. Deve trovare la rotta con la nave sbandata: un difficile gioco di equilibrismo, un funambolo delle lezioni di italiano. Perché poi è tutto lì: rischiare il naufragio o arrivare alla calma piatta.

La verità sta nel mezzo, si dice, ma non è vero, la verità la devi cercare dentro di te. Ma poi cambia, si evolve, si trasforma e quella che trovi non è mai quella giusta.

Il neo professore Fabio Spersi non ce la fa a trovarla, ma non rinuncia mai e continua a crescere coi suoi studenti, poco più giovani di lui. Forse la verità sta semplicemente in quello sforzo ostinato di scovarla. È li che si cresce, ed è lì la formazione che Filippo Pace ci fa scorrere davanti agli occhi.

La scuola non dà certezze, né al di là né al di qua della cattedra. Puoi sperimentare e sentire che quel male di vivere esiste davvero, e la scuola non è un campo neutrale dove non ti sfiorano le battaglie. Forse è dove germogliano, e magari ti fanno crescere.

Filippo Pace nel suo Raccontami ancora di quell’ultima estate (Condaghes 2022) ti fa vivere dentro queste battaglie interiori. Si fa, si disfa, si spera e si sbaglia; tutto dentro quel dolore di diventare grande che neo professore e alunni dell’ultimo anno devono affrontare in cordata. Perché diventare adulti, alunni o insegnanti, è sempre difficile.

Fabio Spersi lo sente sulla sua anima, leggendo il tema di Melania, una alunna, come tante, o forse come lei sola: “La vita è brutta, prof, la scuola non fa che dimostrarmelo. Se gli altri suoi colleghi ci mettessero un po’ della sua grinta magari qualcuno si annoierebbe di meno e avrebbe meno voglia di farsi. Ma forse sbaglio ancora prof. La vita è brutta e basta e solo quando provo dolore so di essere viva”.

Questo passaggio, come pochi, ci porta dentro tutte le pieghe di un anno scolastico. Di un anno di vita, di un anno di passaggio, per uscire da quella bolla d’aria adolescenziale e sbarcare dove la vita fa sul serio. Ogni giorno, ogni mese, ragazzi e prof. scoprono quel dolore che fa sentire di essere vivi.

Il plotoncino di protagonisti si aspettava di meglio, ma la vita non si può ridare indietro in garanzia per averne un’altra intatta. Lo scoprono tutti, una pagina via l’altra, un’avventura via l’altra.

Tutto nell’isoletta di Alisenia. Un’isola di vita metaforica, dove si sopravvive a stento, si arriva e si va via solo con il traghetto. Un traghetto che porta dentro i sogni ma che li uccide. Un traghetto per vivere o morire, o almeno cercare l’oblio. Ma ad Alisenia oltre il mare, il piccolo porto e vecchi vicoli, c’è il Liceo Scientifico, il vero cuore pulsante.

E in controcanto, nella parte alta che domina l’isola, si staglia un ospedale molto moderno per pazienti con problematiche psicologiche, e con il cortocircuito nel meccanismo sonno/veglia.

La particolarità è che un ospedale aperto, molto evoluto, per cui non sai mai se quello che incontri nell’isola è un paziente con le sue turbe, o uno che la battaglia con sé stesso non l’ha ancora scoperta.

Filippo Pace
Filippo Pace

Angelo, da studente, si evolve a paziente, ma forse è solo e sempre Angelo. Lui pensa di aver rapito una donna e di averla fatta prigioniera nel suo sogno.

Così l’autore si gioca, benissimo, la carta di quel certo equilibrio instabile tra psicologico e psichiatrico. Perdersi come Angelo, ma anche come tanti altri personaggi, o forse tutti.

Perché è nella crescita, nella formazione, che Filippo Pace racconta, così bene, tutto il tumulto della vita. Quella che si può aggiustare, e quella che rimane sempre un po’ così, “a farti provare dolore per sentirti vivo”.

 

Written by Pier Bruno Cosso

 

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