Vincitori e finalisti del Contest di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sardegna”
“È lo spazio di solitudine e di sogni, è lo spazio dove nasce il poeta, lo scrittore, dove ritrovi le sensazioni. Si dice che la Sardegna sia una terra di scrittori perché… Nessuno lo sa, e le varie teorie non spiegano mai tutto.” ‒ Pier Bruno Cosso nella prefazione de “Racconti di Sardegna”
Si è conclusa il 14 maggio 2023, a mezzanotte, la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sardegna” promosso da noi di Oubliette Magazine, dagli autori e dalle autrici delle due antologie “Versi di Sardegna” e “Racconti di Sardegna” e dalla casa editrice Tomarchio Editore.
La giuria del contest (Alessia Mocci, Manuela Orrù, Stefano Pioli, Carolina Colombi, Daniela Balestra, Alessandra Sorcinelli e Franco Carta) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.
Il premio consiste nell’invio di una copia di “Versi di Sardegna” (autori ed autrici presenti nell’antologia: Alessandra Sorcinelli, Altea, Anna Maria Brughitta, Carlo Onnis, Dennys Cambarau, Francesca Petrucci, Franco Carta, Giacomina Satta, Gisella Putzu, Giuseppe Secci, Graziella Oppo, Leandro Porcedda, Manuela Orrù, Maria Domenica Pileri, Pierino Devilla, Simona Corrias, Veronica Scano) per la categoria A (poesia) ed una copia di “Racconti di Sardegna” (autori ed autrici presenti nell’antologia: Alessandra Sorcinelli, Carlo Sorgia, Francesca Petrucci, Franco Carta, Gabriella Zedda, Iride Peis Concas, Manuela Orrù, Martino Marangon, Ottavio Olita, Pier Bruno Cosso, Vincenzo Moretti) per la categoria B (racconto breve).
Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest.
Tutte le opere partecipanti al Contest possono essere lette cliccando QUI.
FINALISTI
SEZ. A
Ines Zanotti con “Virus santificante”
Ilse Atzori con “Isola”
Marina Cozzolino con “Fragile tempo antico”
Marco Astegiano con “Naufraghi d’amore”
Rosita Matera con “Canto di mare, di fluttuazione e di rinascita”
Mariella Foggetti con “Aria”
Achille Schiavone con “Non si accorsero”
SEZ. B
Alessio Asuni con “Ricordi della mia città”
Alessio Romanini con “A mio padre”
Luisella Grondona con “Il viaggio”
Laura Vargiu con “Il pastorello”
Maria Carmela Dettori con “Sul bastione di Saint Remy”
Rossana Emaldi con “Millenovecento”
Pietro Rainero con “Elettrodomestici in sconto”
OPERE VINCITRICI
Sezione A
Marina Cozzolino con “Fragile tempo antico”
Simile a sirena muta
distendi il tuo corpo di granito
adagiato tra l’Africa e l’Europa.
Non resiste al tuo richiamo
chi è capace ancora di sentire
il profumo di sale e d’elicriso
quando il vento t’accarezza i fianchi
e la voce delle pietre risuona
dei millenni della storia.
Tra speroni rocciosi e lentischi
il tuo cuore verde pulsa
terra di frontiera e di contrasti,
terra bella e generosa,
terra affamata di pioggia.
Qui, nel crepitio del fuoco
s’ode il tuo gemito
e quello degli armenti.
Qui, gli uccelli cadono dal cielo
e il bosco vuol fuggire
insieme al gregge nella tanca.
Nell’aria arsa e fiammeggiante
quando gli alberi combattono
simili a guerrieri,
tu, fragile tempio antico,
fai risuonare l’eco del tuo
e del nostro pianto.
Rosita Matera con “Canto di mare, di fluttuazione e di rinascita”
Io non mi mossi
per forza di cose,
mi attraversò l’acqua
tra ferite e feritoie.
Io non parlai
ma essa mi scosse
un infinito numero di volte:
sommersa
da un gelo mattutino
mi lasciai forgiare
ascoltando il mio respiro.
Ma nella coibentazione del pensiero
l’acqua mi schiuse al suo mistero,
goccia a goccia,
senza punte
o intemperanze,
mutò la forma,
il mio colore,
macerando la linfa
in spumeggiante vigore.
E in ogni ferita
o feritoia
mi colò il cielo
e qualche stella
di memoria,
l’acqua mi avvinse,
mi entrò nel cuore
e in ogni vena,
disse la roccia
mutandosi in sirena.
Sezione B
Alessio Asuni con “Ricordi della mia città”
Le lunghe passeggiate nella via centrale, dove la musica dei negozi faceva giocare la fantasia. Quel terrapieno a me tanto caro, luogo di amori e di risate perenni frastornate dalla giovane età. Il “Bastione”, Saint Remy, i suoi scalini, il suo orizzonte, il suo belvedere. Da lassù un giorno notai un cuore come ritagliato, sagomato dalle luci dei lampioni di quella lunga strada che porta al colle di Monte Urpinu, trentadue ettari di natura, di armonia, di pace, meta di “pellegrinaggio” di qualche studente che marinava la scuola e di qualche “coppietta” in cerca di una panchina libera per una carezza, un abbraccio e un bacio lasciato libero al vento.
Villanova mio quartiere natale, quanto l’ho amato, quanto lo amo ancora: ogni anno regala ai sardi e al mondo intero due Sacre Processioni, una in particolare a me tanto preziosa: ci si incammina verso la Cattedrale portando il Cristo in Croce, il giorno che si ricorda la Sua Morte, per poi andare a riprenderlo il giorno dopo con la Sua e nostra amata Mamma.
La Cattedrale, Castello. Quartiere imponente che dall’alto osserva e niente gli sfugge di questa magnifica città che con i suoi colli non ha da invidiare per bellezza a nessuna.
Bonaria e la sua Basilica. Quei gradini, sogno comune di tanti che di fronte a un altare si promettono lunga vita insieme.
Cagliari, città del porto che come poche apre l’ingresso alla propria città. Quasi il porto fosse una grande porta in cui si trova scritto in una lingua universale destinata al mondo intero, “Prego accomodatevi”: e da quei famosi portici e da quella famosa via si sentono e si osservano le navi solcare per chissà quale meta, ma lasciano una scia che profuma di malinconia.
Prendevo il “P”, una lettera che per noi giovani significava tanto, l’incontro con amici, l’incrocio di sguardi di chi ci aveva fatto battere il cuore, per poi scendere alla solita “quarta”, “quinta”, “prima”, “sesta” fermata e che osservando il mare, quell’immensa distesa di acqua salata il cui solo profumo cambia l’umore, alla propria destra imponente e maestosa si presenta la “Sella del Diavolo” che con il Golfo degli Angeli ha fatto di Cagliari una vera leggenda.
Era un continuo cambiare, a seconda della moda dell’anno. Iniziai con la “quarta”, il mitico “pezzo di spiaggia” dalle infinite partite a dare calci a un pallone con due porte inventate da delle ciabatte e una linea immaginaria tracciata dal vento a fare da traversa; quando il troppo sudore si mescolava con la sabbia ruvida e rovente, finiva il primo tempo e tutti a immergersi in quell’acqua a volte cristallina, a volte di colore un po’ più scuro, senza che ci fosse un domani.
Cagliari notte di falò e di pizzette al taglio a discutere su quale fosse la più buona, notti in giro a fare baccano quasi a prendere gusto seppure involontario, a mischiare le urla con i sogni di chi contava le ore di quella sveglia pronta a suonare la mattina che seguiva.
La periferia, dove sono diventato adulto, tradita per tanti anni, ma poi quasi per magia rivalutata e diventata un tutt’uno con il Centro, unita da quel numero “1” che come per il “P” non era solo un numero ma molto di più. Quella stessa periferia che si è formata da tanti palazzi ciascuno appartenente ad una cooperativa, ognuna con una propria identità, con un nome ben preciso, persone e personaggi quasi a distinguerle. Ognuno veniva identificato in base alla cooperativa di appartenenza: il numero di persone che ci abitavano era segno di forza quasi si trattasse di un esercito e così si creavano alleanze, amicizie e inimicizie che oggi è un qualcosa di simpatico da ricordare.
Cagliari, città del sole, di Viale Buon Cammino, delle sue “Porte” e dei suoi Giardini Pubblici; città dell’Anfiteatro Romano, delle torri, delle sue Saline, dei fenicotteri rosa e di tanto ancora. Cagliari città anche di sport, del Grande Cuore Rossoblù e di quello scudetto anni settanta che non passa mai di moda: un anniversario che ci ricorda la nostra provenienza e chissà se un giorno riusciremo a replicare.
Talvolta si deve andare via, per lavoro, per amore o per percorrere un sentiero personale che ciascuno ha nel proprio destino, si viaggia guardando davanti e senza voltarsi ma portando sempre con sé la propria città che come il vino più invecchia più diventa desiderata.
Cagliari mio grande amore, ti penso.
Cagliari sei la mia poesia.
Laura Vargiu con “Il pastorello”
Era inverno da pochi giorni e già faceva un freddo tremendo. Nessuno al paese, se non tra i più anziani la cui memoria ritornava agli anni prima della guerra, ricordava un tempo così poco clemente. In molti predicevano l’imminenza della neve anche in pianura.
Intirizzito e affaticato per il lungo camminare, Nino si tirò su il bavero del giaccone ormai ristretto, mentre il suo respiro tremolava in nuvole bianche di vapore. In spalla, qualche chilo di pane e magro companatico, provviste consuete per non spostarsi dalla tanca almeno per una settimana; i giorni di Natale e Santo Stefano lo avrebbero trovato lontano da casa, in compagnia della più aspra solitudine della natura. Intanto, scendeva la sera della Vigilia, ma per il bambino la festa si colorava soltanto di ricordi e tristezza.
Aveva dieci anni ancora da compiere, Nino; a cinque già badava alle capre. A scuola non era mai andato ché tanto la vita, diceva il babbo, sarebbe stata maestra. Alla morte della madre, non appena in famiglia era entrata “sa bìrdia”, che da serva s’era fatta voracemente padrona, l’avevano mandato all’ovile pure la notte, mentre la casa iniziava a riempirsi di fratellastri che gli usurpavano affetto e averi. Nel cuore serbava un vago ma dolce ricordo delle notti natalizie di un tempo: le voci gioiose, la tavola imbandita e adorna di tovaglie ricamate e porcellane materne, la santa messa di mezzanotte dove lui s’assopiva accanto all’anziana nonna che profumava a sua volta d’incenso. Con simili nostalgie arrivò che era buio, dopo una marcia di quasi un paio d’ore lungo i sentieri di campagna che conducevano alle terre di famiglia ai piedi del monte. Ad accoglierlo, il belato delle bestie e lo scodinzolìo di due cani che subito si dispersero nella tanca.
Di tziu Mundiccu, il servo pastore, testimoniava il passaggio recente il bagliore d’una timida brace dinnanzi alla capanna. Era stato lui, vecchio di molte lune e gran conoscitore di storie di “janas” , a insegnargli a scrutare l’immensità notturna del cielo, interpretando lo scintillìo delle stelle e dando un nome, e un senso, alle costellazioni.
“Guarda, Nineddu!” – lo esortava nelle terse notti di veglia quando il firmamento era il solo tetto sopra le loro teste – “Quella stella che luccica e fugge via è un’anima che ritorna al Creatore…”
E puntualmente, l’indomani, le campane suonavano a morto in paese.
Lampada a petrolio in mano, provò a riattizzare il fuoco all’aperto. Malgrado il buio, non poteva ancora ritirarsi nel suo giaciglio al chiuso ché in agguato stavano le volpi affamate, e spesso pure qualche cristiano. Faceva così freddo che per la prima volta maledisse la matrigna che in casa non lo voleva. Come gli sarebbe piaciuto trascorrere di nuovo il Natale davanti al camino acceso, gustando caldarroste e i dolci delle feste comandate! Più di tutto, però, desiderava l’abbraccio di sua madre; chissà, magari lei era divenuta una di quelle stelle che lo guardavano mute da lassù. Lacrime amare, per il freddo e l’emozione, gli rigarono il viso e in esse parve annegare il suo cuore di bambino. In attesa di un fuoco che non si sarebbe più riacceso, il tempo prese a perdersi nell’incanto della memoria e nel gelo che scendeva su tutto. Anche sul piccolo e inerme corpo di Nino, accovacciato a terra.
“Mamma…” – mormorò lui rivolto a una stella d’un tratto più luminosa di tutte le altre. Le sorrise e ancora le parlò; non sentiva più le mani e tremava tutto.
E quella, la stella, iniziò a battere proprio come il cuore d’una madre. La notte di Natale, per i bimbi, qualsiasi magia può accadere.
Quando scesero i primi fiocchi di neve, Nino s’era già addormentato.
Anche lui, ormai, brillava fra le stelle.
I vincitori saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.
Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti!
Info
Complimenti ai vincitori e i finalisti!
Grazie alla giuria e agli organizzatori.
Partecipare è sempre una bella emozione.
Un abbraccio.