“Non dimenticare” di Reclus Malaguti: cento anni di lotte politiche sociali e antifasciste a Bagnolo in Piano

Reclus Malaguti, scrittore, operaio, sindacalista, partigiano, figlio e fratello di vittime del fascismo, è stato un uomo che ha saputo vestire i dolorosi panni del vir, l’uomo che ha in sé una vis, forza, che lo contraddistingue dagli altri, da cui deriva anche valere, essere forte.  E che lo portò a rischiare tutto quello che aveva per essere se stesso. Cosa significa tutto questo?

Non dimenticare di Reclus Malaguti
Non dimenticare di Reclus Malaguti

Un pericolo è importante saperlo affrontare quando lo scopo è raggiungere un fine, positivo o negativo che sia, altrimenti si è dei folli incoscienti. Ed è dal suo umano fine che si può giungere a una provvisoria definizione di un uomo.

Anche Hitler aveva coraggio perché, diversamente, non si sarebbe deciso a mettere a rischio se stesso e la propia nazione, conducendola poi allo sfacelo. Ma non era un uomo di valore, non era un vir, bensì un tiranno che si rese colpevole di atrocità.

Il mio giudizio non è assoluto, ma storico, cioè con le caratteristiche di un analogo scientifico, ed è pertanto soggetto a eventuali falsificazioni. Attualmente la maggior parte degli uomini la pensa come me. Esiste una frangia minore d’umanità che la pensa diversamente. I tempi però potrebbero cambiare. Recenti dichiarazioni da parte di uomini di governo sugli avvenimenti accaduti ormai ottant’anni fa hanno sollevato infinite polemiche. Polemica, etimologicamente, deriva dal greco pòlemos, fatto bellico, da pàle, lotta, da cui deriva anche palestra. È dal conflitto che sorgono i problemi, ed è il conflitto che può e deve risolversi. L’alternativa è l’atarassia, l’assenza di agitazione. L’uomo è spesso vittima dell’atassia, la mancanza d’ordine, che conduce al dramma e, talvolta, alla tragedia.

Nel 1997 conobbi da vicino un vero partigiano, Egidio Baraldi, il quale mi confessò una terribile banalità: in guerra c’è poco da fare, si uccide per non essere uccisi.

Per quanto l’argomento mi prema, sospendo il discorso perché rischia di farmi deviare dall’analisi del libro, che riguarda i ricordi di un vir inerenti a un intero popolo, il quale però, occorre ricordarlo, è composto da singoli uomini, ognuno con la sua storia.

Scrive l’autore nell’Introduzione del libro Non dimenticare:Chi non la pensava fascista veniva qualificato antipatriota.” –  non un ostracismo, un allontanamento, ma una discriminante, un’attestazione di indegnità, che porta non solo a una condanna, ma a una violenza ingiustificata. Anche violenza deriva da vis, anche se ormai ha la valenza di forza distruttiva. La violenza intesa in tal modo è omogenea alla guerra.

In caso di condanne,non vi era la possibilità di appellarsi” – essendo state calpestate le ragioni del diritto. Pasolini diceva che il potere è l’unica forma di anarchia, basata su una violenza che è apparentemente priva di resposabilità e che può assumere volti diversi a seconda dei casi.

La storia narrata da Reclus comincia dalla fine del secolo decimonono, “dal 1885 in poi”, alla nascita del “primo movimento operaio”. Allora le condizioni di lavoro dei braccianti agricoli erano disperate. Si faticava tutto il giorno in cambio di un compenso ridicolo, che prescindeva dalle ore lavorate. Era un’ingiustizia tollerata da tutti, fino a quando qualcuno, valorosamente, si è ribellato: “Non sembra vero che i nostri padri abbiano sopportato quelle sofferenze, eppure è una cruda realtà…”.

Una Lega composta da chi intendeva opporsi a quel malcostume diventò “un perno di unità fra braccianti e contadini.”

Le prime forze politiche socialiste cominciarono a “presentarsi alle elezioni” a Bagnolo, riuscendo a far eleggere il primo “Sindaco socialista”. Si era in un periodo in cui avere la “terza elementare” diventava un segno di grande istruzione. La maggior parte della povera gente era analfabeta, come la mia nonna paterna, nata nel 1881, l’unica ava che ho conosciuto.

Con l’insorgere del fascismo finì ogni residuo di libertà, per colpa di una violenza impunita che si sviluppava ogni giorno e in tutti i paesi: “Carcere, bastonature, vigilanza speciale, espatrio lontano dalle famiglie, dai propria cari…”.

Riunirsi nelle case per discutere era deleterio, poiché portava a continui arresti. Le riunioni erano spesso svolte “nei campi”, dove era più facile dileguarsi quando si presentavano le forze pubbliche incaricate alla soppressione. Si fatica a immaginare quanta apprensione e dolore siano sorti nell’anima di quelle persone e delle loro famiglie.

“Gli aguzzini usavano le orrende torture perché impotenti di controllare un movimento antifascista che ogni giorno si faceva più forte.”

E qui avvenne una specie di miracolo. Mentre gli anziani oppositori venivano controllati da “polizia e fascisti locali”, alcuni giovani arditi, fra cui l’autore, “lavoravano per il partito comunista”.

Questa era la quotidianità:La violenza al di sopra della legge; l’arbitrio quale metodo, la delinquenza quale educazione. Questo era il fascismo.” – questo era il volto del potere che vigeva in quel periodo.

Un fatto narrato a pagina 80 me ne ricorda uno attuale. Un “casaro del latte”, mentre sta viaggiando in treno, si azzarda a dubitare della vittoria dei tedeschi ed è perciò arrestato. In questi giorni un prete ortodosso è stato censurato dal suo patriarca perché si era permesso di pregare per la pace anziché per la vittoria. La logica è pressoché identica. A un certo punto non basta professare un’ideologia, ma occorre giurare sulla certa vittoria. Chi non lo fa è giudicato un traditore.

Reclus Malaguti
Reclus Malaguti

Il racconto di Reclus è colmo di orrori, ma la sua lettura, per quanto dolorosa, è necessaria, specie per chi, come noi, non ha mai visto la guerra da vicino. Le nuove generazioni non hanno nemmeno mai assistito a scontri in piazza tra manifestanti e forze dell’ordine. Salvo eccezioni, oggi non esiste più la passione politica.

La strage avvenuta a Bagnolo il 14 febbraio 1945 è un esempio della tragicità del periodo. Nel narrarla, pur senza dissimulare il suo fervore, Reclus mai si compiace di esagerarne il contenuto. Le vittime delle Brigate Nere fasciste erano, per quegli assassini, dei “banditi” da giustiziare, mentre, per Reclus, erano dei veri “eroi della patria”.

Ogni guerra è un cancro, ma quella civile, fra consanguinei, è il male più distruttivo che ci sia. I due detti, l’uomo è un animale sociale e homo homini lupus, sembrano digrignare i denti l’uno contro l’altro, eppure sono stati dei filosofi ad averli coniati.

La descrizione che Reclus fa della strage è di tipo cronachistico, basata non solo su ricordi personali, ma anche su documenti che sono stati riportati nella loro completezza.

Come recita il titolo di un capitolo, La lotta continua anche nel dopoguerra: “non lotta contro la polizia, ma lotta contro un sistema superato per trasformarlo in un altro più confacente alle nuove esigenze del progresso: un nuovo sistema che annulli il privilegio di classe e parifichi i cittadini non solo nei doveri, ma soprattutto nei diritti.”

Un’u-topia? O un’eu-topia possibile?

Un esempio di lotta:lo sciopero a rovescio”, un’occupazione non autorizzata di siti agricoli per poter permettere alla gente disoccupata di sopravvivere. Si tratta di una forma di illegalità, ma che dire di chi affamava il suo prossimo, per mantenere i propri privilegi?

Oltre “la prestazione della corvé” dovuta “al padrone per tutto l’anno”, annualmente il mezzadro doveva “consegnare ai proprietari varie ventine di uova fresche e decine di pollastre e capponi di un determinato peso.”: il padrone del terreno era una specie di piccolo tiranno a cui era dovuta la maggior parte delle risorse. Di fatto colui che pareva autorizzato a con-dividere a metà i prodotti della campagna da lui coltivata, si riduceva a mero bracciante agricolo, mantenuto in vita solo al fine di poter svolgere la sua funzione lavorativa.

Accade poi un fatto imprevedibile ma salvifico: la gente vende il bestiame in suo possesso, e col denaro comincia a investire “nell’edilizia”. Per cui, “il comune di Bagnolo, in poco tempo, da prevalentemente agricolo, si è trasformato in agricolo-industriale e gli operai addetti all’industria, da circa 200 passano, in poco più di un decennio a più di 1000.” – e con questo “si ha lo sviluppo della lotta di classe”, e quindi “cresce la produzione di beni, crescono gli scioperi, si sviluppa la società, si sviluppano la lotta e la coscienza operaia”.

Il decennio del ‘50 è quello che più ha influito, nel bene e nel male, sulle condizioni politiche, sociali ed economiche del nostro paese. Dovrebbe essere perciò meglio conosciuto da chi intende capire quel che ha condotto alla realtà odierna.

Vorrei concludere qui la mia disamina del saggio di Reclus, confidando nella sua onestà intellettuale, invitando a leggerlo anche chi professa un’altra verità, poiché possa discutere ogni singola fonte citata e ogni testo riportato. E aggiungerne dei nuovi. La storia, se non è fatta di continue correzioni, non è altro che propaganda.

Ripeto la banalità: la storia è falsificabile. Quel che in primo luogo serve è l’onesta intellettuale.

Ogni tentativo di riscrittura non fa alcun male a nessuno. Anche Reclus può aver compiuto degli errori, anche lui era umano ma, per quello che ho inteso, egli era un honestus atque honoratus vir, come pochi lo furono.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Reclus Malaguti, Non dimenticare, Edizioni Libreria Rinascita, 1976

 

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