“Una persona alla volta” di Gino Strada: un medico votato al benessere collettivo
“Sono un chirurgo. Una scelta fatta tanto tempo fa, da ragazzo. Non c’erano medici in famiglia, ma quel mestiere godeva di grande considerazione in casa mia…”
Gino Strada, uomo simbolo di principi umanitari inalienabili, nel testo Una persona alla volta si racconta. O meglio, racconta il proprio vissuto quale chirurgo in zone prevalentemente di guerra.
Pubblicato nel 2022 da Feltrinelli, per la collana Serie Bianca, il libro non vuole essere un’autobiografia, come specificato dall’autore nelle prime pagine, ma un racconto della propria esperienza sul campo.
Curato da Simonetta Gola, Una persona alla volta, titolo quanto mai eloquente e significativo, esprime l’idea che ogni persona sia un mondo a sé stante e come tale andrebbe trattata e curata. Al contempo è espressione che rispetta a pieno la missione che Gino Strada si è dato nel corso della sua vita: essere un medico votato soprattutto al benessere collettivo. Uno che ha operato per curare tutti, indistintamente, così come si evince dalle parole riportate nel libro, che sollecita numerose riflessioni, la più importante delle quali verte sulla guerra, legata di stretta misura alla vendita delle armi. Questione alquanto spinosa, che fa di Una persona alla volta un libro dichiaratamente testimonianza, il cui focus è avvalorare l’insensatezza, tramite le parole, di ogni tipo di conflitto. Le cui conseguenze, fisiche ed emotive, dovrebbero obbligare gli esseri umani a un totale rifiuto di qualsiasi scontro bellico.
“La medicina mi appassionava, ma la chirurgia era quello che volevo fare davvero. Mi somigliava, dopotutto. Davanti a un problema, avevo bisogno di fare…”
Nato nel 1948 a Sesto San Giovanni, periferia milanese, da una famiglia di normali condizioni sociali, la scelta di dedicarsi agli altri a Gino Strada viene, quasi sicuramente, da un innato senso di altruismo. Quello che fin da ragazzo gli appartiene, e che vive come un bisogno impellente. La sua scelta trova la sua origine nel momento in cui decide di iscriversi alla facoltà di medicina presso l’Università Statale di Milano, optando per un percorso professionale che lo ha gratificato, ma lo ha toccato nel profondo da un punto di vista emotivo. Una scelta che ne ha tracciato il vissuto, non immaginando forse, almeno inizialmente, che l’avrebbe portato lontano, sia in senso geografico come metaforico.
“Avevo frequentato una delle scuole di specialità più autorevoli d’Italia e avevo studiato i trapianti di cuore-polmone in due delle migliori università al mondo…”
Sono molte le questioni affrontate nel saggio, tutte di rilevanza cosmica, con uno sguardo sempre rivolto al destino dell’uomo.
Testo che si sviluppa in oltre trenta capitoli i quali corrono sul filo di un’esperienza esercitata per molti anni. Un esercizio di professione ma anche di vita, che ancora conserva l’odore delle lacerazioni fisiche a cui Gino Strada ha posto rimedio.
“Quegli anni fecero sentire a me e a tanti altri che eravamo parte del mondo, una parte attiva, e potevamo cambiarlo…”
Il racconto dell’autore parte da lontano, dal momento in cui ha scelto di dedicarsi alla chirurgia d’urgenza. Per dare poi conto della sua prima ‘missione’, che lo ha visto raggiungere il Pakistan. Durante la quale ha assistito ad una violenza dai connotati disumani, soprattutto quando a farne le spese sono i bambini, vittime di scelte disgraziate dei potenti del mondo. Da definirsi senza dubbio martiri, nel momento in cui raccolgono da terra un oggetto, un manufatto, le cui sembianze ricordano un giocattolo, ma che in realtà sono una mina antiuomo creata ad hoc per farli in mille pezzi. Circostanze devastanti in cui lui, il medico di tutti, si fa strumento per rimetterne insieme i loro brandelli di vita. Anche se, in alcuni casi, non gli è possibile mettere insieme i pezzi di quei poveri corpi straziati.
“Jung ast, è la guerra, commentavano semplicemente. Di fronte alle mie domande e agli orrori quotidiani…”
Dal Pakistan a Kabul il passo è breve per Gino Strada, che continua a scegliere di curare le devastazioni fisiche causate dalla guerra afghana. Ed è proprio Kabul, città dilaniata, che si declina in un’equazione, alquanto inevitabile per Strada, con la parola guerra. Espressione che gli nasce spontanea dopo aver visto gli orrori causati dal conflitto che si è consumato in Afghanistan intorno agli anni Duemila. Che lui critica aspramente, attribuendo le responsabilità alla politica.
Ed è lì che si trova a operare nel tentativo di chiudere ferite che a malapena riesce ad ‘aggiustare’.
Per dichiarare infine, che la prima vittima di ogni conflitto è la gente comune che paga le conseguenze di aspri scontri avvenuti anche in prossimità dell’ospedale dove, in sinergia con i suoi collaboratori, si impegna per salvare quante più vite possibili. Dovendo scegliere, purtroppo, in nome di un singolare codice deontologico, il paziente meno grave e perciò ‘meritevole’ di cure. Anche se scegliere chi salvare è per lui qualcosa di lacerante.
“Curare le persone è un dovere nostro, prima ancora che un loro diritto…”
Gino Strada racconta inoltre come è nato Emergency. L’organizzazione umanitaria il cui scopo è intervenire in zone di guerra e prestare soccorso ai feriti, a qualsiasi etnia o religione essi appartengano.
È il 1994 quando, in collaborazione con amici e persone a lui vicine, fa suo un progetto assai ambizioso; ovvero, dedicarsi a curare le vittime di guerra. Lì dove è possibile farlo. Ed è così che nasce Emergency, la struttura il cui operato è stato, ed è tuttora, fondamentale per rimediare agli orrori di molte guerre. Con determinazione, senza una progettualità ben precisa almeno inizialmente, il gruppo raccoglie fondi e materiale per affrontare situazioni che si riveleranno tutt’altro che facili.
Ma coloro che aderiscono all’iniziativa di Gino Strada non si spaventano delle difficoltà da affrontare, che saranno di immensa portata; credono ciecamente in quell’idea nata un po’ per caso, e operano in tal senso mettendo a frutto le proprie competenze.
Ed è così che vede la luce Emergency, che continua a operare in varie zone di guerra del pianeta.
L’indignazione, termine di grande impatto emotivo, è il sentimento manifestato da Maurizio Costanzo nel momento in cui si è interessato alla causa di Emergency, invitando il chirurgo a partecipare alla trasmissione Maurizio Costanzo show. È l’occasione quella per portare alla luce la spinosissima questione della vendita delle armi, a cui partecipa anche l’Italia, proponendo una moratoria riguardante soprattutto la fabbricazione delle mine antiuomo, i cui effetti deleteri il medico ha toccato con mano. E non in senso figurato, ma in maniera tangibile.
Altra figura eccellente ricordata dall’autore è l’architetto Renzo Piano, con cui Gino Strada ha stretto amicizia. L’architetto genovese si è prestato a realizzare un progetto che ha visto la costruzione di un ospedale che fosse ‘bello’. E così è stato, perché Renzo Piano ha concretizzato il desiderio di Strada con la costruzione di un centro chirurgico pediatrico in Uganda.
Albert Einstein è un altro nome illustre citato da Strada in merito, ancora, all’irragionevolezza della guerra che, senza il disarmo di tutte le parti, porta inevitabilmente all’estinzione della razza umana.
La Normandia, zona di sicura attrattiva paesaggistica, porta il medico a volgere uno sguardo al passato, nel momento in cui si trova a visitare Omaha beach, luogo di sbarco degli americani durante la Seconda guerra mondiale. Sono una moltitudine le croci bianche disseminate su di un prato dal verde brillante, per far memoria dei numerosi caduti in battaglia durante il sanguinosissimo conflitto che ha coinvolto l’intero pianeta. Ricordando accadimenti del passato che mai sarebbero dovuti accadere. Dalla Normandia a Hiroshima. Con la visita a una delle città simbolo della follia umana, se così si può dire, banalizzando l’espressione.
I fenomeni pandemici, con un chiaro riferimento al Covid-19, passando per Ebola, altro virus letale, che negli anni ’90 del Novecento ha mietuto in Africa un numero indicibile di persone. Per arrivare poi a dare spazio alla questione definita l’Orologio dell’Apocalisse.
Orologio simbolico e tragico presagio per l’umanità tutta di un futuro dai connotati alquanto incerti, segna i secondi che separano l’umanità dal suo momento finale e dalla distruzione dell’intero pianeta.
‘Il paziente al centro’ è un motto che a tutt’oggi dovrebbe occupare un ruolo primario nella classe medica. Ma che invece è spesso trascurato a causa delle numerose disuguaglianze sanitarie.
È in tempi recenti che viene sempre più avallata l’idea di una sanità pubblica precaria, a favore di quella privata; che vede il paziente, costretto a rivolgersi a organismi privati a proprie spese, a non essere accudito e curato presso enti statali, che dovrebbero prevedere l’accesso a un servizio pubblico. Quale forma di assistenza che una società equa dovrebbe garantire ai cittadini, già sottoposti a forme di tassazione fiscale.
“È ora di iniziare a curare tutti, da esseri umani ‘liberi e uguali’.
In un volume di circa 170 pagine, che non sono poi molte per vagliare un considerevole numero di questioni per la sopravvivenza del genere umano, l’autore tratta tutte le problematiche messe in campo con la medesima importanza. Problematiche però difficili da essere esplicitate in maniera dettagliata. Che fanno però di Una persona alla volta un libro da apprezzare in toto. Che può offrire l’opportunità a un lettore di far proprio un testo da definirsi senza dubbio di formazione. Soprattutto per il contenuto, oltre che per la forma, in quanto fonte di riflessioni che sollecitano più di un interrogativo. A cui, purtroppo non è possibile dare una risposta immediata. Riflessioni, che hanno però il pregio di prestare l’attenzione su eventi di fondamentale importanza per l’intera umanità.
“Medici ce ne sono sempre troppo pochi, e ce ne saranno ancora meno in futuro perché con il Paese di nuovo in mano ai talebani chi potrà fuggirà all’estero…”
La stesura del testo, curata da Simonetta Gola, si conclude con una postfazione davvero appassionante. All’interno del quale si racconta come si è originata l’idea di dare alle stampe Una persona alla volta, realizzato grazie anche alle sollecitazioni dell’editore Feltrinelli.
Racconto, in cui alla memoria delle vicende professionali di Strada si alternano quelle personali e di vita, tanto da farne un testo altamente virtuoso. Da cui emerge il rifiuto totale per ogni tipo di conflitto, di qualsiasi natura esso sia e scaturito da ogni possibile motivazione che in alcun modo ne giustifichi l’azione.
La Gola, inoltre, dà conto di quanto sia stato per lei doloroso riprendere in mano le pagine del libro senza Gino. Ricordo davvero commovente e doveroso nei confronti di suo marito, un medico che è andato oltre, oltre a quello che la sua ampia professionalità gli avrebbe consentito di fare.
“Da medico in un mondo massacrato. Dalla violenza e dalla povertà, Gino si era reso conto di quanto fosse difficile anche solo partorire in sicurezza o essere operati di appendicite, nonostante essere curati sia un diritto umano fondamentale…”
Written by Carolina Colombi