“Elettra” di Jennifer Saint: il significato della vendetta nel mito
Tra i νόστοι dei reduci da Troia quello di Agamennone è il più funesto; imitando il gesto di Atropo, Clitennestra recide il filo della sua vita. Sappiamo da Omero che Penelope attese con pazienza e fedeltà il νόστος di Odisseo.

Ma cosa sappiamo dell’attesa di Clitennestra? Come visse mentre aspettava che gli dèi le rendessero il marito per retribuirlo del più orrendo delitto?
Dopo il successo di Arianna, Jennifer Saint propone la rilettura di un altro mito in chiave femminile; con Elettra (Sonzogno, 2023, pp. 343, trad. di Ginevra Lamberti) ci conduce nel cuore di Micene e delle donne di Agamennone le quali ripercorrono, in un tumulto di emozioni, ciò che precede e ciò che segue il suo ritorno.
Ascoltiamo la voce di Clitennestra, consumata dall’odio, tormentata dall’ossessivo desiderio di vendetta. Nessuna pietà, nessun perdono per l’uomo che le ha strappato Ifigenia, nessun oblio per il sacrificio di una vittima innocente. Ascoltiamo la voce di Elettra, la figlia minore di Clitennestra e Agamennone, che brucia di furia e ostinazione; attende con lealtà il ritorno del padre e cresce covando rancore verso la madre. Ascoltiamo la voce di Cassandra, principessa di Troia e sacerdotessa di Apollo. Ella bramò e ottenne il dono della veggenza ma fu maledetta dal dio che la condannò a proclamare il vero e a non essere creduta.
Elena e Clitennestra sono sorelle; a Sparta re Tindaro le cresce entrambe come figlie ma di Elena non è padre. Ella è stata generata da Zeus, acceso di passione per Leda; la divina bellezza della principessa di Sparta è un’eredità della sua olimpica ascendenza. I pretendenti di Elena, re e principi di tutta la Grecia, sono convenuti alla corte di Tindaro; da Calidone sono arrivati gli Atridi, segnati dallo stigma di una antica maledizione. Prima che Elena annunci il prescelto, gli uomini prestano un giuramento: uno solo la sposerà; tutti gli altri si stringeranno intorno a lui per proteggerla e difenderanno con la vita il diritto dello sposo a tenerla con sé. A corteggiatori ben più avvenenti Elena preferisce Menelao, impacciato e non certo prestante. La sua scelta è dettata dalla prudenza: egli sembra un uomo tollerante; sopporterebbe con pazienza il peso della sublime bellezza della moglie, dono e condanna all’intemperanza.
Agamennone e Menelao mirano all’alleanza con Tindaro per riprendersi Micene; essi intendono rovesciare dal trono lo zio Tieste, il quale ha spodestato il loro padre Atreo, legittimo re. In occasione delle nozze della sorella, Clitennestra rivolge ad Agamennone poche parole ma dense di presagi: ella lo esorta a risparmiare il cugino Egisto, che è solo un bambino inerme.
La guerra non è forse un affare da uomini? Forse; ma ella sa leggere i meccanismi della politica, conosce i vantaggi delle alleanze e la sacralità del giuramento: Agamennone avrà un enorme potere e potrà essere il più grande di tutti i greci. Dopo la carneficina, gli Atridi tornano trionfanti e disegnano la geografia del potere; Menelao regnerà a Sparta mentre Agamennone siederà sul trono di Micene accanto a Clitennestra, promessa da Tindaro per consolidare l’alleanza tra i due regni in vista dell’espansione nel Peloponneso. L’arrivo della donna nel palazzo del marito è un burrascoso turbinio di immagini ed emozioni; l’opulenza non le mozza il respiro, oro e avorio non la abbagliano. La nostalgia della familiare semplicità di Sparta le riempie lo stomaco di un vuoto malessere, dai recessi della sua mente si affaccia spesso uno strisciante pensiero; allora Clitennestra rabbrividisce per le efferatezze consumate tra quelle mura. Il palazzo è un calice che racchiude il sangue versato da figli e fratelli per mano di padri e fratelli; che sia o meno maledetto, quel luogo è pregno di malvagità.

Clitennestra è regina e figlia di re, dunque si impone un contegno regale; Elena sarebbe imperturbabile e imperiosa? E allora la sorella ne indossa l’alterigia come un mantello; si sforza di essere Elena, si persuade di essere Elena e diventa Elena. Clitennestra arriva delicata come un giunco; si rafforza come un ulivo. Dopo un anno nasce la primogenita Ifigenia che estingue l’ultima scintilla di insicurezza; sangue del suo sangue, le restituisce il posto nel mondo perduto con la perdita di Elena, sangue dorato di Zeus, comune sangue di Leda. Con la maternità Clitennestra avverte un rigurgito di paura per la maledizione che grava sulla famiglia di suo marito; crescere una bambina in un luogo infestato dal lutto e condannato dagli dèi è una scelta negligente? O forse la morte di Tieste ha placato le insaziabili fauci della casa di Atreo? D’altra parte il sangue spartano, incorrotto, scorre nelle vene di Ifigenia non meno che quello maledetto del padre; le ciclopiche mura di Micene sono possenti: nessuna minaccia può ghermirla dall’esterno.
Ma il nemico non viene da lontano: si annida dentro il palazzo, una nube nera che si gonfia nel tempo fino a rovesciare tempesta.
Clitennestra dà alla luce altre due figlie, Crisotemi ed Elettra, ed è di nuovo incinta quando Agamennone è chiamato a guidare gli eserciti di tutta la Grecia contro Troia per riportare Elena dal marito. Dopo quindici anni di matrimonio ella ha lasciato Sparta al seguito di Paride. Mille navi salpano dai porti dell’Ellade, stipate di uomini che si inchinano al potere del re dei re; ma nulla può Agamennone contro l’ira di Artemide la quale, offesa, ha spento i venti. La flotta langue lungo la costa di Aulide; mentre le navi sono ferme come alghe stagnanti, a Micene Ifigenia, le guance imporporate, apprende che il padre l’ha data in sposa ad Achille. La ragazza parte insieme alla madre alla volta di Aulide dove, in attesa di un vento favorevole, saranno celebrate le nozze.
Lungo strade polverose e sotto un sole battente, le due donne masticano dubbi e ingoiano paure. La paura dell’addio, l’angoscia per il futuro, il rammarico per il passato che entrambe si lasciano alle spalle; ma i timori per la vita che le attende, l’una priva dell’altra, sono poca cosa rispetto all’agghiacciante realtà che si rivela loro su quella spiaggia. Un’alba brumosa annuncia il giorno delle nozze; Ifigenia è condotta in riva al mare dove si erge un’ara.
Perché Achille non è presente? Perché gli uomini mostrano volti torvi? Afferrata la figlia, Agamennone estrae fulmineo un coltello e le recide la gola. Il sacrificio richiesto da Artemide è consumato; la dea restituisce il vento e la flotta prende la via del mare.
Sulla sabbia insanguinata Clitennestra, folle di dolore, culla il corpo esanime di Ifigenia; lo sguardo rivolto a un cielo vuoto, ella eleva una preghiera agli dèi: che lascino tornare Agamennone. Che le permettano di guardare i suoi occhi svuotarsi della luce. La regina rientra a Micene da sola, irriconoscibile; sputa alle figlie il fiele della verità ma esse non comprendono in pieno: gli dèi hanno chiesto un sacrificio, Agamennone ha dovuto prostrarsi alla loro volontà. Clitennestra si chiude nella solitudine del lutto; dà alla luce Oreste ma non prova alcuna emozione, alcun sentimento materno: Ifigenia li ha portati con sé nell’Oltretomba. Micene è una barca senza nocchiero; la regina, arsa da una fiamma inestinguibile, decide di sedere sul trono vuoto del marito per preservare il regno e ridurlo in suo potere: sarà l’arma affilata con cui lo colpirà.
A palazzo arriva un viandante; è Egisto, tornato per vendicare Tieste. Chi può odiare Agamennone più di un figlio cui egli ha ucciso il padre? Una madre cui quella fiera ha ucciso la figlia. Il seme della vendetta è ormai attecchito; Egisto mette le radici presso la reggia, usurpa il posto di Agamennone sul trono e nel talamo nuziale accanto a Clitennestra, gode gli agi della corte, prende decisioni.
L’obbedienza di Crisotemi all’intruso segna una frattura insanabile nel rapporto con Elettra, fedele al padre al di là della lontananza, al di là del tempo, al di là dell’odio di Clitennestra. Proprio l’odio della madre e la sua infedeltà alimentano il furore della principessa, la quale avverte il grido del proprio sangue; è l’unica, in quella famiglia degenerata, a conservare il senso di appartenenza alla casa di Atreo. Oreste non serba ricordo del padre; Elettra si fa vestale della sua memoria, si impegna a educare il fratello al culto della stirpe e lo richiama al dovere di erede maschio.

Nel decimo anno di guerra una lunga catena di fuochi di segnalazione reca a Micene la notizia che Troia è caduta: il re sta per tornare; porta con sé la principessa Cassandra, ridotta in schiavitù. Gli dèi hanno ascoltato le preghiere di Elettra; ma anche quelle di Clitennestra che accoglie il marito con un onore sacrilego.
Nella stanza da bagno ella lo massacra a colpi di scure; Cassandra invoca e ottiene la morte come atto di pietas da parte della regina. Elettra e Oreste fuggono dal palazzo; le loro strade si separano ma i fratelli promettono di ricongiungersi quando il principe sarà pronto a vendicare il padre. Elettra sposa il contadino Georgios; un matrimonio umile che le permette di restare a Micene e di sorvegliare, nell’ombra di una vita dimessa, le mosse di Clitennestra ed Egisto.
Si dice che Odisseo sia stato nell’Oltretomba e vi abbia incontrato Agamennone; pare che il re pianga la perdita della reputazione e invochi la vendetta da parte di Oreste. Le voci sul dolore del padre mordono Elettra; gli anni scivolano, la madre e il suo amante vivono senza che alcun castigo divino li abbia colpiti e forse Oreste ha dimenticato la promessa.
Egli torna dopo una visita a Delfi, dove la Pizia ha espresso la volontà di Apollo: il giovane deve uccidere Clitennestra ed Egisto. Combattuto tra l’amore filiale e la legge divina, Oreste non può fare altro che annullare sé stesso e farsi spada ultrice; il sole nascente vide il sacrificio di Ifigenia, il sole nascente vede la vendetta dei figli della casa di Atreo.
Nell’aria il volo delle Erinni, pronte a ghermire Oreste non appena avrà deposto la lama rossa del sangue della madre. Clitennestra insegue la δίκη ma quella che compie è una δίκη iniqua; per dare la pace a Ifigenia deruba Elettra e Oreste della pace e li condanna a una ribollente e infinita inquietudine. Li deruba del padre e del re. Li deruba della madre, quando si chiude nella memoria della primogenita, un mausoleo dalle mura impenetrabili. La morte spirituale di Clitennestra prosciuga l’amore per i figli superstiti; il sangue di Agamennone la ravviva come pioggia che cade su un terreno brullo. In quel momento inizia il risveglio; ciò che vede dopo aver aperto gli occhi la addolora. Oreste è in un regno lontano, Elettra è un’estranea; quanto a Ifigenia, la sua voce non risuona a ringraziarla dall’Oltretomba.
La regina è stata cieca o è stata l’unica a vedere la verità? È la sola a vedere in Agamennone un assassino, uno spietato stratega che non ha esitato a sgozzare la figlia in cambio di un vento favorevole. Per tutti gli altri egli è un uomo costretto alla più atroce delle scelte tra l’amore di padre e il dovere di re; un uomo probo che con sommo sacrificio sacrifica la sua bambina perché gli dèi vanno onorati anche quando costa dolore.
Dunque Clitennestra è una voce inascoltata come Cassandra? Entrambe vedono la nuda forma degli eventi, gridano, non sono credute. Esse si incontrano per pochi istanti; gli occhi di Clitennestra fissano le nere iridi di Cassandra: vi scorgono il vuoto. Un vuoto che si riempie della muta supplica di liberarla da una non vita senza più una patria né un posto nel mondo. Anche Clitennestra si troverà davanti a una lama e come Cassandra chiederà di essere trafitta perché il suo sangue lavi per sempre la maledizione della famiglia. L’unico dono che può offrire ai figli è l’assenza; sceglie di sottrarsi alla vita perché se rimanesse al mondo la sola idea di guardare lo stesso cielo, di respirare la stessa aria della madre sarebbe loro insopportabile.
Fu Agamennone a scegliere il nome di Elettra, chiamata così in onore del sole: sfolgorante e incandescente. In quella figlia egli riponeva la speranza di una discendenza ancora più gloriosa. Ella onora la memoria del padre fino a spogliarsi delle vesti principesche; quando tutto è compiuto sente il dovere di vivere la vita che egli avrebbe voluto per lei. Sarà una vita appartata, dimenticata dal mondo; felice nella sua semplicità.
“Hai vissuto all’ombra di questa maledizione per tutta la vita. Hai imparato dalla tua famiglia che il sangue va lavato con il sangue. […] È un ciclo in costante cambiamento, ma è sempre il medesimo. E anche la maledizione della tua famiglia funziona allo stesso modo. […] Un crimine terribile viene commesso, scatenando un’insostenibile sofferenza e infine una vendetta. Poi tutto ricomincia. […] Nel pieno della tempesta sembra impossibile immaginare che la terra morta tornerà mai a far scaturire il raccolto. Eppure lo fa… sempre.”
Gli dèi chiedono che sia fatta giustizia in loro nome ma sono i mortali a soffrirne; la scia del sangue viene fermata quando questi oppongono una salvifica disobbedienza e offrono la propria felicità invece che sacrifici umani.
Written by Tiziana Topa