Contest di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sardegna” – partecipazione gratuita
“La Sardegna è fuori dal tempo e dalla storia. Questa terra non assomiglia ad alcun altro luogo. La Sardegna è un’altra cosa: più ampia, molto più consueta, nient’affatto irregolare, ma che svanisce in lontananza. Creste di colline come brughiera, irrilevanti, che si vanno perdendo, forse, verso un gruppetto di cime… Incantevole spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa.” – David Herbert Lawrence
Regolamento:
1.Il Contest letterario di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sardegna” è promosso da Oubliette Magazine, dagli autori e dalle autrici delle due antologie, e dalla casa editrice Tomarchio Editore. La partecipazione al contest letterario è riservata ai maggiori di 16 anni.
La partecipazione al Contest è gratuita.
Tema libero.
2. Articolato in due sezioni:
A. Poesia (limite 100 versi)
B. Racconto breve (limite 1000 parole)
3. Per la sezione A si partecipa inserendo la propria poesia sotto forma di commento sotto questo stesso bando (a fine pagina) indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite.
Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via e-mail ma nel modo sopra indicato.
Importante: cliccare su Non sono un robot, è un sistema Captcha che ci protegge dallo spam. Per convalidare la partecipazione bisogna cliccare sulla casella.
Per la sezione B si partecipa inserendo il proprio racconto sotto forma di commento sotto questo stesso bando (a fine pagina) indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con racconti editi ed inediti.
Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via e-mail ma nel modo sopra indicato.
Importante: cliccare su Non sono un robot, è un sistema Captcha che ci protegge dallo spam. Per convalidare la partecipazione bisogna cliccare sulla casella.
Ogni concorrente può partecipare ad entrambe le sezioni con una sola opera.
4. Premio:
N° 1 copia dell’antologia “Racconti di Sardegna” edita nel 2022 dalla casa editrice Tomarchio Editore. Autori ed autrici presenti nell’antologia: Alessandra Sorcinelli, Carlo Sorgia, Francesca Petrucci, Franco Carta, Gabriella Zedda, Iride Peis Concas, Manuela Orrù, Martino Marangon, Ottavio Olita, Pier Bruno Cosso, Vincenzo Moretti.
N°1 copia dell’antologia “Versi di Sardegna” edita nel 2023 dalla casa editrice Tomarchio Editore. Autori ed autrici presenti nell’antologia: Alessandra Sorcinelli, Altea, Anna Maria Brughitta, Carlo Onnis, Dennys Cambarau, Francesca Petrucci, Franco Carta, Giacomina Satta, Gisella Putzu, Giuseppe Secci, Graziella Oppo, Leandro Porcedda, Manuela Orrù, Maria Domenica Pileri, Pierino Devilla, Simona Corrias, Veronica Scano.
Saranno premiati i primi due classificati di entrambe le sezioni.
5. La scadenza per l’invio delle opere, come commento sotto questo stesso bando, è fissata per il 14 maggio 2023 a mezzanotte.
6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da:
Alessia Mocci (Editor in chief)
Daniela Balestra (Scrittrice)
Carolina Colombi (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Stefano Pioli (Collaboratore Oubliette)
Manuela Orrù (Poetessa e Scrittrice)
Alessandra Sorcinelli (Poetessa e Scrittrice)
Franco Carta (Poeta e Scrittore)
7. Il contest non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.
8. Si esortano i concorrenti per un invio sollecito senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.
9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione per e-mail: oubliettemagazine@hotmail.it indicando nell’oggetto “Info Contest” (NON si partecipa via e-mail ma direttamente sotto il bando), in alternativa all’e-mail si può comunicare attraverso la pagina fan di Facebook:
10. È possibile seguire l’andamento del Contest ricevendo via e-mail tutte le notifiche con le nuove partecipanti al Contest Letterario; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvertimi via e-mail in caso di risposte al mio commento”.
11. La partecipazione al Contest implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (Gdpr 679/2016). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.
Buona partecipazione!
Sardegna
Mare immenso
di smeraldo variegato
nella tua profondità
m’immergo,
tra bianche scogliere
d’incommensurabile splendore
sotto il sole torrido acceso.
Terra degli avi,
di musica, di gioia,
di dolore.
Terra di bianco
abbacinante,
di verdi ripide scogliere,
amica, sorella, amante
del mio cuore in te
perduto
in una dolce mattina
di giugno.
Incantevoli calette
incontaminate,
grotte incantate…
Amica, sorella, amante,
terra natia
dell’anima mia
che turbata
al tuo ricordo
freme.
Ma cessa ora
di rumoreggiare
io da te
non posso più tornare.
Serena Pusceddu
Copyright – giugno 2022
accetto il regolamento, sez. A.
Con il cuore
Anni ed anni ho studiato con il cuore.
Ho provato emozioni con la mente,
per imparare a scrivere e parlare
delle fanciulle gemme, che nel petto
sento stillare. Ho pianto ed ho sorriso.
Dolore nel cor, lembi di dolcezza.
E’ diventato canuto il capello.
Odiato, ed ho amato vivere! Frale
mi ha creato l’empatia. Delicato.
Fanciullo ramoscello: sensibile.
Anni ed anni ho studiato con il cuore.
Ho provato emozioni con il cuore.
sez. a – accetto il regolamento
A MIO PADRE
Ciao papà,
adesso è più facile parlare con te!
Adesso posso scriverti anche una lettera.
Adesso posso anche sognarti…
Tu, non sei più qui…vicino a me, ma nel mio cuore
ancora pulsa il tuo ricordo.
Adesso che sei morto è più facile parlare…
Perché non ci siamo parlati mai?
Perché mi hai odiato?
Io, ho sempre tremato davanti la tua ombra.
Tu, eri l’uomo nero per me! Di te avevo paura.
Ancora ricordo le botte che mi hai dato…non ricordo
una carezza, un abbraccio, un: “Ti amo!”
Non ero figlio tuo? Non ero figlio del tuo tempo?
Papà, il mio animo era fragile…sono cresciuto solo;
nel silenzio più nero.
Ho obliato parole e sguardi. Siamo cresciuti così distanti.
Tu bevevi…forse per dimenticare il dolore?
Tu non mi sapevi parlare, ed io non sapevo parlare a te.
Eri uno sconosciuto per me. Ancora oggi che non ci sei più
mi domando se mi amavi…Ero solo tuo figlio!
Scusa! Si, ti chiedo scusa per non aver provato ad amarti.
Tu eri chiuso nel tuo silenzio ed io nel mio…poi è
giunta la morte che ti ha strappato per sempre lontano
da me…Ed io non sono riuscito a dirti: “Ti Amo!”
Non so se ti amo…non ho imparato ad amarti…però
ti ho sempre rispettato; ho rispettato il tuo tacere.
Adesso è più facile parlare con te…perché non ci sei…
Sai, spero che questa lettera ti possa arrivare, ovunque sei!
Adesso vorrei dirti che tutti i sogni miei si sono franti.
Adesso vorrei dirti che ho bisogno di te.
Adesso vorrei dirti che anche io avrei voluto un padre.
Adesso vorrei dirti che io non ho saputo essere figlio.
Adesso vorrei provarti ad amare…Il nostro tempo è scaduto.
Sono padre anche io, solo adesso capisco il tuo dolore.
Solo adesso capisco il tuo silenzio.
Vorrei parlarti come non abbiamo fatto mai!
Il passato mi ha paralizzato il cuore e ora che sono un
uomo o capito cosa vuol dire chiedere perdono!
Ora che sono un uomo, so cosa voglia dire piangere
amare lacrime di cordoglio.
Ora che sono uomo, vorrei avere il petto di un bambino,
in esso alberga il vero mero amore.
Papà, non so se ci rivedremo nell’infinito;
quindi proverò a scrivere la lettera con inchiostro nero
in modo che tu possa leggerla.
Papà, non sono tornato sulla tua gelida pietra;
essa è vuota, la tua anima è nell’eterno sperare.
Però ti posso dire che mi sono smarrito.
Che ho divorato chimere.
Adesso ho capito, ma ciò che ho vissuto è rimasto
nel passato.
I ricordi mi aiutano a non sbagliare, anche se cado in errore.
Voglio vivere la vita come posso, con tutto il mio cuore.
Non è semplice. Non è facile, ma ci devo provare.
Ho avuto momenti di greve sconforto, ora sento che ho
ritrovato la forza di alzarmi dal penare…So che ancora
soffrirò…ma devo andare avanti.
Non è tutto sbagliato anche se gli errori sono tanti.
Anche io mi sento solo come lo eri tu;
per questo devo lottare per non sprofondare nell’oblio.
Papà, con l’abbraccio che avrei voluto, ti saluto;
e chi sa che non ci incontreremo ancora, padre e figlio!
AR
sez. b – accetto il regolamento
SEGNI D’AMORE
In questo mondo senza
sensibità e senza
calore l’amore sembra una cosa pertanto
noiosa pertanto consueta pertanto superflua ma come
farò a sostenere la vita senza il tuo
amore ? E non sentirmi lo stesso noioso consueto superfluo come farò se a
ogni giorno du più si rimuovono I ricordi a
quell’amore
che solo io afferravo e che solo tu accettavi?
E ricordo du quanti
apparve per te
è solo dolore non conforto e per me è solo conforto non dolore. Piango e piango
tutto
il giorno rimasto.
– Accetto il regolamento, sez. A
SARDEGNA
Splendida pagina d’oro
Ambiente naturale unico
Ricco di vita vergine
Dove regna la bellezza
È paradiso raro
Grandissimo mare di smaraldo
Nei suoi percorsi
Acque cristalline e contrasti naturali.
– accetto il regolamento, sez. A
Ricordi della mia città
Le lunghe passeggiate nella via centrale, dove la musica dei negozi faceva giocare la fantasia. Quel terrapieno a me tanto caro, luogo di amori e di risate perenni frastornate dalla giovane età. Il “Bastione”, Saint Remy, i suoi scalini, il suo orizzonte, il suo belvedere. Da lassù un giorno notai un cuore come ritagliato, sagomato dalle luci dei lampioni di quella lunga strada che porta al colle di Monte Urpinu, trentadue ettari di natura, di armonia, di pace, meta di “pellegrinaggio” di qualche studente che marinava la scuola e di qualche “coppietta” in cerca di una panchina libera per una carezza, un abbraccio e un bacio lasciato libero al vento.
Villanova mio quartiere natale, quanto l’ho amato, quanto lo amo ancora: ogni anno regala ai sardi e al mondo intero due Sacre Processioni, una in particolare a me tanto preziosa: ci si incammina verso la Cattedrale portando il Cristo in Croce, il giorno che si ricorda la Sua Morte, per poi andare a riprenderlo il giorno dopo con la Sua e nostra amata Mamma.
La Cattedrale, Castello. Quartiere imponente che dall’alto osserva e niente gli sfugge di questa magnifica città che con i suoi colli non ha da invidiare per bellezza a nessuna.
Bonaria e la sua Basilica. Quei gradini, sogno comune di tanti che di fronte a un altare si promettono lunga vita insieme.
Cagliari, città del porto che come poche apre l’ingresso alla propria città. Quasi il porto fosse una grande porta in cui si trova scritto in una lingua universale destinata al mondo intero, “Prego accomodatevi”: e da quei famosi portici e da quella famosa via si sentono e si osservano le navi solcare per chissà quale meta, ma lasciano una scia che profuma di malinconia.
Prendevo il “P”, una lettera che per noi giovani significava tanto, l’incontro con amici, l’incrocio di sguardi di chi ci aveva fatto battere il cuore, per poi scendere alla solita “quarta”, “quinta”, “prima”, “sesta” fermata e che osservando il mare, quell’immensa distesa di acqua salata il cui solo profumo cambia l’umore, alla propria destra imponente e maestosa si presenta la “Sella del Diavolo” che con il Golfo degli Angeli ha fatto di Cagliari una vera leggenda.
Era un continuo cambiare, a seconda della moda dell’anno. Iniziai con la “quarta”, il mitico “pezzo di spiaggia” dalle infinite partite a dare calci a un pallone con due porte inventate da delle ciabatte e una linea immaginaria tracciata dal vento a fare da traversa; quando il troppo sudore si mescolava con la sabbia ruvida e rovente, finiva il primo tempo e tutti a immergersi in quell’acqua a volte cristallina, a volte di colore un po’ più scuro, senza che ci fosse un domani.
Cagliari notte di falò e di pizzette al taglio a discutere su quale fosse la più buona, notti in giro a fare baccano quasi a prendere gusto seppure involontario, a mischiare le urla con i sogni di chi contava le ore di quella sveglia pronta a suonare la mattina che seguiva.
La periferia, dove sono diventato adulto, tradita per tanti anni, ma poi quasi per magia rivalutata e diventata un tutt’uno con il Centro, unita da quel numero “1” che come per il “P” non era solo un numero ma molto di più. Quella stessa periferia che si è formata da tanti palazzi ciascuno appartenente ad una cooperativa, ognuna con una propria identità, con un nome ben preciso, persone e personaggi quasi a distinguerle. Ognuno veniva identificato in base alla cooperativa di appartenenza: il numero di persone che ci abitavano era segno di forza quasi si trattasse di un esercito e così si creavano alleanze, amicizie e inimicizie che oggi è un qualcosa di simpatico da ricordare.
Cagliari, città del sole, di Viale Buon Cammino, delle sue “Porte” e dei suoi Giardini Pubblici; città dell’ Anfiteatro Romano, delle torri, delle sue Saline, dei fenicotteri rosa e di tanto ancora. Cagliari città anche di sport, del Grande Cuore Rossoblù e di quello scudetto anni settanta che non passa mai di moda: un anniversario che ci ricorda la nostra provenienza e chissà se un giorno riusciremo a replicare.
Talvolta si deve andare via, per lavoro, per amore o per percorrere un sentiero personale che ciascuno ha nel proprio destino, si viaggia guardando davanti e senza voltarsi ma portando sempre con sé la propria città che come il vino più invecchia più diventa desiderata.
Cagliari mio grande amore, ti penso.
Cagliari sei la mia poesia.
Accetto il regolamento. Sezione B
Alessio Asuni
Isola
Guardo l’isola ribelle
la vedo riflettere
ombre e luci
lungo le rive.
Il maestrale gioca con le onde sbattute nelle rocce
lisciate nel tempo
Profumi intensi di natura incontaminata
Strapiombi pericolosi e affascinanti
stridono con i pensieri
a cercare appigli
Lasciandosi andare
nella ricerca di sé.
Accetto il regolamento
Sezione A
Ilse Atzori
Accetto il regolamento – sez. A
D’amore e di guerra
Mi parlano di te
di come seduci il tempo
Di come inganni la vita
Piange l’agnostica religione
avvinta alla strada maestra della mia giovanile ideologia
Mi raccontano cose che gia’ so
stantie e reiterate
E’ colpa del mio cuore adolescente che non vuole crescere
Che non vuole diventare efferato
Ma come è possibile che tu sia diventato
l’assassino dei miei sogni
E nessuno chiuda in carcere i tuoi occhi che vedono sbagliato
Che non mettano a tacere la tua voce disumana
che serra le labbra come fossero porti
Bocca che è un diluvio di aberrazioni
Che genera parole che reprimono
e vogliono impedire al fiore asessuato
di far l’amore con la farfalla
In natura ci sono famiglie arcobaleno
e facce di cielo di ogni razza
Ci sta un cartoccio segreto di semi
che nelle ere a venire
svelerà il sogno evolutivo della mia anima circoncisa
La mia città
Con bella vista siede sui colli,
lo sguardo a mirar, del suo mare,
l’azzurra baia degli angeli.
Donna regale, le sue beltà preziose
sono pietre di nobile valore,
su sommità di castello racchiuse.
Di sale profuma la sua brezza,
del sole riflettono il colore
le sue estese rive sabbiose.
Ti rimpiango mia bella città,
Cagliari mediterranea bellezza
come te non v’è altra realtà.
Sez.A . Accetto il regolamento.
Accetto il regolamento, sez. B
L’amputata
La stanza silenziosa dell’amputata era a pochi metri da casa mia.Tutto di quell’abitazione mi sembrava violato! Pure i gradini
erano sbrecciati. Quando mi prendeva la curiosità, mettevo in moto le mie gambine di cinque anni e mi inerpicavo lungo quelle scale. Mentre facevo questo, mi sentivo grigia e le filastrocche imparate in dialetto mi fuggivano fuori dal petto. Quella scarna creatura che ora più non mi appartiene, giungeva in cima alle scale e spingeva piano l’uscio come una lucertola. Poi si appostava! La donna amputata era sempre supina, con lo sguardo fisso al soffitto, con la coperta che le precipitava a picco dalla pancia e si raccoglieva, come un animale ferito, sulla zona terminale del letto.
La mia terra
La mia terra,
luccicanti onde di sale
racchiuse tra orizzonti tersi
e dura roccia
che s’affaccia fiera.
La mia terra,
sassi candidi sulla pelle
accarezzati da acque cristalline
in un abbraccio
di chiome verdeggianti.
Si, la mia terra,
ovattati silenzi che odorano di mirto
nel dolce ondeggiar
di quell’azzurro immenso
che l’accarezza, altero.
Sezione A. Dichiaro di accettare integralmente il regolamento.
Il Cavaliere della città nera
Cala lentamente la notte su Quartu City. Cambia il colore del cielo e del sangue versato nella strenua contesa quotidiana e maledetta tra gli avvoltoi che si confondono tra la luna e l’asfalto ben fatto e le anime sole e disperate. Hanno buone intenzioni tutte le persone che non hanno capito ancora il mondo, in questa città baciata dall’ingordigia o forse dall’assenza di buoni sentimenti. Tutti anelano a strappare un pezzetto in più agli altri: non esistono e non contano gli affetti e i sentimenti e le promesse. I parenti e gli amori sono altri contendenti e nuovi abitanti della stretta voragine dell’esistenza, che ci schiaccia tutti e ci soffoca come una tomba.
Faceva tanto freddo quando, una notte con il cielo cadente addosso, si manifestò il corpo vagante e terrificante, ombra della disperazione, che ha nome Andrea Slbertazzi Piroddi Wayne, un connubio non ben noto di amplessi chissà quando avvenuti tra le due dponde dell’Atlantico che diedero vita a un misto di ambizione, forza e ostinazione bilanciate dalla follia.
Era l’anno 3054, si nidificava a Quartu City. La popolazione conteggiata negli annali o, perlomeno, le nascite, esigevano complessità matematiche fuori della norma, tali che si raggiungevano abbondanti centinaia di milioni di abitanti in una terra affollata sopra e sotto il livello del mare con risultati visivi terrificanti per la mente umana; il che amplificata a dismisura la cappa di sovrabbondanza dei viventi, con cadenze che cambiavano di giorno in giorno esponenzialmente a causa del perduto controllo delle nascite, ombre in movimento ai piedi dei grattacieli fatiscenti per il numero di residenti camuffati tra i transitori e gli effettivi, che si scambiavano senza autorizzazione, complici di un decadimento urbano abominevole.
Catalogare una tale civiltà come entità storica finiva per assomigliare ad un azzardo. Collimano le vie dell’acqua con me vie dell’aria in senso inverso. Incombeva, in chi cercava di capire il perchè, la tragedia delle lunghissime guerre per l’acqua per la quale si era combattuto e ucciso casa per casa : milioni di morti ammorbsvano l’aria è non si aveva il tempo nè la possibilità di seppellirli, di contarli nè di piangerli.
– sez. B, accetto il regolamento
Biddaspitziosa
Villaspeciosa a te dedico
Il mio gran finale
non ti conoscevo se non solo per nome
qui invece ho trovato un ristoro
di pace e di armonia
ho trovato il silenzio
che accompagna il mio riposo
quando dopo le lunghe fatiche
anche del solo pasteggiare,
ho bisogno di sognare.
Qui trovo il profumo
di quella nostalgia degli anni
in cui sudavo con il mio duro lavoro
ed ero io a costruire quei giorni
che oggi mi vedono privo di capacità.
Qui ho trovato l’amicizia di una panchina
pronta ad accogliermi quando
anche fare un passo in più è per me
grande sacrificio e appoggiato ad un bastone
chiedo perdono degli anni a venire
che avrò da faticare.
Qui ho trovato l’accoglienza
di chi nella vita ha già compreso
che non siamo giovani in eterno
e che la sensibilità è alla base di tutto.
Paese che porti al mio cuore
qualche rima baciata
trascinami con la tua brezza
nella valle dei miei ricordi
perché ieri come oggi
possa ancora volare
insieme alla parola speranza.
Accetto il regolamento – sezione A
Alessio Asuni
Il profumo del ricordo di ciò che è stato,
tra le morbide spine del cuore,
aleggia
inebriando ogni futile pensiero.
Tra pascoli ed acqua
un ritrovato appagamento
mi nutre di amore sconfinato.
A braccia aperte
e con lo sguardo protetto,
dallo sciabordio delle onde,
torno ad essere
gioia infinita.
– accetto il regolamento sez.a
“NEL SOGNO, UN INCONTRO”
Respiravo un tempo di sfiducia e assaporavo amaramente quella sera che, mentre volgeva chino il capo, sentivo avanzare con andatura pesante e interminabile…
Nemmeno le lacrime che mi striavano le gote riuscivano nell’intento, a estirpare il dolore che portavo dentro.
In cima ai desideri, la bramosìa di incontrarLo: sì, di vederLo “faccia a faccia”, di sentire la Sua umana Presenza e abbandonarmi in un abbraccio.
Nel silenzio dell’oscurità alitava la notte, obbedendo al volere del suo Creatore.
Le palpebre si abbassano e il sonno fa’ capolino: mi invita a seguirlo in quel mondo dove tutto sembra…UN SOGNO!
Dal nulla avverto un movimento, mi pare di scorgere una figura, fanno eco i suoi passi ed io in quel momento intravedo …una persona.
Una Persona di alta statura, indossa una tunica bianca e lunga sino ai piedi, i capelli alle spalle: è proprio diretta verso di me…”E’ LUI!”.
Il grido di esultanza e di gioia era talmente vissuto e così espressivo, da dare la sensazione di voler infrangere il muro del sogno e sbucare nella realtà.
Felicità e curiosità facevano vibrare i miei sentimenti e tastare ancora vivi anima e corpo che, immobili, attendevano l’evolversi della scena.
“Sta innanzi e mi porge la Sua mano destra, d’istinto depongo la mia nella Sua e con l’altra racchiudo le nostre mani. Stringo quell’unione, non vogliolasciarla, non devo…ma dolcemente Lui ritrae la mano e volgendosi indietro, se ne va”.
Sulle note musicali intonate dagli uccelli mattutini, uno spiraglio di raggi perforava la serranda, assaliva il viso e, destandomi cancellava…IL PIU’ BEL SOGNO DELLA MIA VITA!
Quell’incontro ha sanato la mia esistenza, infuso coraggio, mi ha trasmesso comprensione e amore!
“Fammi credere
che nel dolore,
Tu…eri lì con me,
o Signore!”
Accetto il Regolamento – Racconto – Sezione B
ALL’INIZIO SEMBRA TUTTO CHIARO
(Da dove viene il siriano?)
“Cosa stai guardando?”
Alzo gli occhi dal tablet, volgendoli a lei. Mi sta fissando da non so quanto, appoggiata alla ringhiera del terrazzino, mentre il vento notturno mi consegna, con l’odore acre della campagna, il canto dei grilli e il fruscio della sua veste che sa di bucato…
“Una delle foto esposte in San Giovanni, a Quartu, nella cripta. Quella del corrispondente di guerra siriano dal nome impronunciabile. Fa pensare”
Faccio i pochi passi che mi separano da lei, le mostro l’immagine: un muro grigio cenere, troncato in alto da una cannonata eppure miracolosamente in piedi. Il tramonto che occhieggia alle sue spalle è una luminosa tavolozza di cremisi e scarlatti e porpora strisciata di giallarancio e viola… Mi ricorda quello di trentotto anni prima, a Piscinas, alle spalle di ciò che restava dell’hotel Dune. Ci eravamo concessi una scappata al mare, quella sera, io e la Maria Sanna, per festeggiare la maturità.
Mentre il cielo si incendiava, bevemmo vermentino in bicchieri di carta, poi il vento freddo che portava odori di mare e macchia li rotolò via e ci avvicinò.
“Ricorda quel tramonto a Piscinas, vero? Quando finalmente mi hai baciata…”
La voce di lei mi riporta alla realtà.
“Pensavo la stessa cosa. E’ impressionante che cieli così immensamente distanti nel tempo e nello spazio siano così simili. Poi, là, anche là, sarà scesa la notte, e il disegno di quelle stelle avrà rotto l’incanto…”
“Mmhh…” – ronfa appoggiando il seno alla mia schiena mentre mi abbraccia – “Magari anche le stelle che punteggiano la notte di quel deserto illuminano i loro amori. Perché ti fa pensare?”
“Se le bombe o chissà cos’altro non avessero sventrato quel palazzo” – spiego – “Non saremmo qui a godere del contrasto tra il grigio sporco del muro e i colori del tramonto che fanno capolino dalle finestre vuote. E a proposito di muro, guarda l’angolo tra le sue ombre…E’ perfetto, non credi? Insomma, mi chiedo come il male possa generare tanto splendore”
“Mmhh…a me piacerebbe sapere cosa pensano loro. Perché ci parli insieme e all’inizio sembra tutto chiaro, ma poi alla fine… E non è solo questione di lingua”
Scuoto il capo, respiro gli odori della notte e guardo il cielo: là, sopra la campagna, oltre il campanile, una stellata come non si vedeva da mo’.
Con un brivido mi chiedo quale sia, fra tutte quelle luci, Sirio.
Sezione B, accetto il regolamento
“VIRUS SANTIFICANTE”
Quasi altezzoso il lemma scientifico:
“ZOOSTER”…
Ti presenti malefico
accucciato fra i gangli nervosi,
fiorisci di scatto
in tempi impetuosi.
Grappoli infettanti d’ Herpes
sulla pavida pelle
come d’uva fresca,
matura, ribelle…
Nell’organismo
prurito e malcontento,
sopraggiunge il dolore,
ed è un portento!
Spalancan la voce i devoti
come fosse benedizione:
“E’ il FUOCO DI SANT’ANTONIO,
accogliamolo con fervore!”.
Eppur prego,
o santo Dio,
che presto la salute ritorni
in corpore mio!
Accetto il Regolamento – Poesia sez. A
Stai lì, nel mezzo,
tra la piana di Arborea,
aliena, verde vendetta della ragione – misura
e la contorta geologia
che si fa duna, violaroccia, rossoscoglio
e vento e sale e d’azzurro e turchese macchiato mare.
Ti guardo dal ponte, china sulle acque ferme del Marceddì, confine tra due mondi.
Sezione A, accetto il regolamento
NON SI ACCORSERO
Non si accorsero d’amarsi
neanche quando i loro occhi
sì trafissero, penetranti e intensi
l’abisso più nero e profondo
in un azzurro luminoso e spumeggiante
Non si accorsero di cercarsi
neanche quando le loro mani
si insinuarono nelle pieghe
più nascoste della tremula carne
Crepature arse dal fuoco
ripresero vigore e linfa
su radure ricche e incontaminate
Non si accorsero di perdersi
neanche quando i loro giorni
si susseguirono vuoti e incolore
Ore di attese si dissiparono
nell’assenza densa e palpabile
rimasta appiccicata nei palmi vuoti
Sui loro corpi ormai affranti
terre desolate e dimenticate
nessuno ora desidera più sconfinare.
Sez. A – Poesia – accetto il regolamento –
1) un tardivo grazie per le correzioni al racconto e alla poesia
2) solo 13 autori si sono fino ad ora cimentati… gli altri? rapiti dai pastori sardi? terrorizzati dai mamhutones??
Buon ponte a tutti e tutte!
Figurati Marco, sai che siamo sempre disponibili per le correzioni.
Gli altri arriveranno, qualche riscatto sarà pagato dopo il ponte.
CANTO DI MARE, DI FLUTTUAZIONI E DI RINASCITA
Io non mi mossi
per forza di cose,
mi attraversò l’acqua
tra ferite e feritoie.
lo non parlai
ma essa mi scosse
un infinito numero di volte:
sommersa
da un gelo mattutino
mi lasciai forgiare
ascoltando il mio respiro.
Ma nella coibentazione del pensiero
l’acqua mi schiuse al suo mistero,
goccia a goccia,
senza punte
o intemperanze,
mutò la forma,
il mio colore,
macerando la linfa
in spumeggiante vigore.
E in ogni ferita
o feritoia
mi colò il cielo
e qualche stella
di memoria,
l’acqua mi avvinse,
mi entrò nel cuore
e in ogni vena,
disse la roccia
mutandosi in sirena.
Rosita Matera – sez. A
ACCETTO IL REGOLAMENTO
A G.
Triste come il mare in calma:
tace e non parla, soffre e non favella!
Accarezzato dall’iri l’orizzonte
l’avvolge in salvazione dell’oblìo!
Il sorriso è spento.
Vibra la luce del sole
come corde di violino
una nota in si bemolle.
Fibrilla il cuore:
a cinquant’anni non è passione,
si affaccia alla finestra socchiusa
a soffocare nascosto l’amore
che danza in una piazza deserta
senza spiraglio di evoluzione.
Impossibile averti, fugace piuma al vento
il pensiero di te non può essermi negato.
Soffro tremendamente la calma
di questo oceano che continua a tacere
in un ti amo di burrasca!
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
accetto il regolamento sez A
POLONAISE
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
Attraversando la veneziana la rossa luce del tramonto, in una sera d’estate calabrese, illuminava a chiazze ardenti la camera da letto.
Il lenzuolo di seta sagomava un flessibile corpo che sinuosamente si muoveva al motivo della Polonaise di Chopin.
La fresca seta si rotolava stringendo il suo contenuto da farlo traboccare come la soffice spuma dal bicchiere.
Soffocato un sospiro a ritmo incostante accompagnava un dolce gemito d’amore.
E tra la penombra i merletti ed i pizzi restavano muti!
Polonaise era una giovane donna stimata ed amata. Anche la natura era stata fin troppo magnanima dando ad ogni curva la giusta piega ed ad ogni neo il suo pregio.
Gli occhi felini, velati da un incognito desiderio, spesso vagavano nel vuoto segnando con le labbra un enigmatico sorriso.
Sul lavoro era un simbolo: pronta a qualunque novità e situazione.
Molti uomini restavano affascinati ma Polonaise apparentemente lontana da ogni sentimento con un sorriso chetava gli istinti sprofondando dolcemente nella sua solitudine.
Il suo io, profondamente segnato da un’insaziabile nascosta passione, conviveva con una struggente storia d’amore.
In ufficio spesso si ritirava in bagno solleticata da un pungente fuoco che improvvisamente si impadroniva del corpo e di ogni ragione della povera donna e quando usciva era una vampata di rossore che piano piano sbiadiva mentre l’affannoso respiro ritornava alla normalità.
Poi la sera, rifiutando ogni svago con gli amici, correva a casa, qualcuno ansioso l’aspettava: la sua perversione.
Si tuffava nel suo morbido letto lasciando che il suo corpo, accarezzato dalla penombra al suono delle note polacche,scivolasse sulla seta e con essa perdersi in struggenti e narcisistiche visioni.
Solitudini interrotte da mille fuggitivi immagini di corpi avvinti e desideri timidamente nascosti alla luce ma focosi al silenzio ed all’atonia della seta.
E tra la penombra i merletti ed i pizi restavano muti ad ascoltare passionali respiri che si accavallavano a soffocate parole, al cigolio del letto e a pensieri di freschi ruscelli montani: magari spegnessero il fuoco che bruciava anima e corpo!
Poi quella sera il lenzuolo di seta, dopo aver rotolato in grande confusione, finì con l’irrigidirsi e un sonno profondo portò con se ogni segreto amore.
E tra la penombra i merletti ed i pizzi restavano muti mentre Polonaise libera dalla sua ossessione si volò nell’aria finalmente parca!
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
ACCETTO IL REGOLAMENTO SEZ B
MURALES
(Aile De La Paix)
Lo scherno silenzia il labbro,
s’appiega il cuore
dove urlano i volti nelle pietre.
Si tace il ferro che offese
il perpetuo campo dei giunchi,
non echeggia lo stridio di mascelle,
il rigno di scaltre fiere.
Sederò su un brano di cielo
dove Eirene si fa strada,
al rezzo ridiscende lo sparviero
sull’incomposto cardo
le zeppe ingiù la falce
toccano smilze radici di grano antico.
Thea Matera
ACCETTO IL REGOLAMENTO SEZ.A
Angelo Napolitano
Accetto il Regolamento, sez. A
L’ULTIMA SINFONIA.
E infine intaglierò per te uno scrigno,
dove riporre tutti quei pensieri
che sono di rifugio e di ristoro;
nasconderai agli occhi dei mortali
quell’esile gioiello che t’adorna,
quell’anima che mugghia verso il figlio,
verso il padre -se vuoi-; verso il fratello.
Poi tornerò intento ai miei sgabelli,
lisci e politi tu li renderai,
da regalare quando c’è mercato,
senza paura li regalerai.
E ti daranno in cambio un canestrino,
senza paura tu l’accetterai;
un fiore tra i capelli e un sorriso.
Un bimbo perso dietro a una trombetta.
Accetto il regolamento – Sez. B
Occaso
Sulla parete un quadro di Giorgio Morandi.
L’eternità come piega del tempo.
Non più lontananza metafisica bensì immanenza.
Era quello che stava accadendo,
ma al posto delle bottiglie del dipinto,
i nostri corpi.
Michelle si rivestì lentamente.
Il suo respiro era calmo e regolare.
La biancheria intima che aveva scelto
per quel giorno speciale
la rendeva ancora più desiderabile, simile ad un’opera d’arte.
Una scultura in carne ed ossa.
Si voltò per vedere dove fossi e mi sorrise.
Il suo volto non era mai stravolto da artifici.
Appena un po’ di trucco per l’occasione.
Era la ragazza più bella che avessi mai visto.
La simplicité est la sophistication suprême.
Ci alzammo in piedi e le preparai un caffè.
Bevemmo in silenzio. Assaporandone il ricordo.
Una sola parola avrebbe rotto la magia di quel momento.
Era il 14 ottobre di un anno qualunque.
Fuori il vento, unico protagonista di un paesaggio
completamente vuoto.
La palestra chiusa per lutto.
Le strade deserte.
Neanche una finestra aperta per via del freddo,
che s’appressava sempre più
con il calare del sole.
Il mio quartiere sembrava un fantasma.
Vuoto.
L’orologio faceva le 17:45.
Un po’ d’attesa e sarebbe stato buio.
Uscimmo a goderci la luce che declinava lentamente.
Michelle mi prese la mano.
Dopo aver camminato un po’ notammo
un vestitino da bambina,
un po’ scucito qua e là,
azzurrino,
con piccoli disegni, fiorellini, cuoricini.
In quella desolazione
il vestito possedeva un quid davvero macabro.
Ma anche malinconico.
Si trovava dentro il rimorchio di un furgone.
Il vento ne sollevava ogni tanto un lembo.
Quando la realtà si svuota,
la gioia prende forma di malinconia,
e di sottile paura.
Stringemmo ancora di più le mani.
“A chi credi che sia appartenuto questo abito?”,
“Non saprei Michelle”,
“Io credo che la bambina si aggiri qui, nei paraggi”,
“Come un fantasma?”,
“Non come se lo fosse, lei è un fantasma”.
Ci sono momenti che aprono definitivamente la porta.
Sarà stato il vestitino, oppure il vento,
il sole che sparve lentamente,
le vie deserte,
le case chiuse ermeticamente, come scatole di ferro
senza nessuna apertura.
Incantesimati. I nostri sguardi. Incantesimati.
Michelle passò dolcemente una mano sul vestitino
sfiorandone il ricordo
e una lacrima le solcò il viso.
Non ci saremmo rivisti mai più.
Con gli occhi.
A volte un momento può bastare.
Può colmare lo iato profondissimo tra due anime.
Sarà stato il destino. Uno dei tanti. Destini.
O forse le campane a morto in lontananza,
a fare più profondo l’ascolto.
“Da bambina sognai e sognai, fino a smettere di respirare,
un abito come questo”.
A quelle parole qualcosa ruppe in pianto,
forse dio, forse il diavolo,
forse la vita, eh già, la vita, seppur vagamente sinistra,
ve n’era sentore e ci empiva totalmente.
Forse la sorte.
Campane a morto in lontananza:
la vita, che prende altre forme altrove
ma che a volte…sceglie di restare.
Lei tornava spesso affinché io non dimenticassi.
Stavolta era tornata
così ch’io finanche la rivedessi.
Mi mancava come manca l’ossigeno.
Era ormai buio.
Il vestitino svolazzava leggermente, impigliato.
Ripensai il quadro. La vita, il tempo,
l’eternità come piega del tempo.
Il viaggio
Sul piazzale il camion era fermo; le taniche d’acqua lo rivestivano come acini un raspo. Mi sembrava una nave pronta a solcare un mare di sabbia. La gente si accalcava. Non ci potevo credere. Il mio viaggio a piedi lungo i sentieri d’Africa era finito.
Gli occhi veloci passavano in rassegna le cose nello zaino: una maglietta, un paio di jeans, pesce secco, zucchero, gallette e datteri.
Mancavano le scarpe. Quelle che indossavo erano state divorate dalla terra e dai sassi.
Mi ero avvicinata. La gente iniziava a salire; borse, coperte, sacchetti si muovevano fra le mani. Nel cassone la massa di gambe, di braccia, di teste, di schiene lievitava come pasta e invadeva ogni angolo.
Respiravo odore di sudore contro il muro di maglie sbiadite.
Gli autisti avevano preso posto nella cabina; il motore ruggiva come un leone appena sveglio e le ruote iniziavano a muoversi.
Il camion dondolava su onde d’asfalto divelto, poi, la strada diventava una striscia di sabbia.
Il mondo finiva.
Ero su un’astronave che puntava nello spazio infinito.
Il sole fiammeggiava e il caldo ci illudeva mostrandoci tremule distese d’acqua.
Le parole erano assopite nelle gole asciutte.
Cercavo ombra nel groviglio dei corpi.
Un posto di blocco. Il camion fermo. Uomini in divisa si erano avvicinati.
Dalle bocche parole dure. I ragazzi erano scesi. I colpi secchi dei bastoni sulle schiene. La rabbia fra i denti.
Una mano pesante cadeva sul mio collo e un braccio mi tirava come la corda una capra, poi, mi spingeva. Avevo afferrato i soldi in tasca.
“Prendi!” avevo urlato.
La “corda” s’era allentata. La mano mollava la presa.
Il camion aveva fatto una sosta nell’oasi per i rifornimenti.
Oltre, solo radi pozzi d’acqua. Il sole piano affogava nel rosso come animale nel sangue.
I giorni bollenti inseguivano le notti gelide, la sabbia era protagonista assoluta, il camion procedeva a fatica e il motore ansimava.
Sempre più; finché, morente, s’era fermato.
Il caldo faceva impazzire le teste e i pugni volavano.
“Moriremo arrostiti” gridava qualcuno.
L’acqua spariva dalle taniche.
Corpi indeboliti dalla diarrea giacevano sotto tende improvvisate.
Il terrore spegneva gli occhi.
La morte, ormai, stava arrivando ed io non volevo aspettarla. Pensavo che il pozzo non fosse lontano, ed insieme a due giovani avevo deciso di raggiungerlo a piedi.
Camminavamo in fila indiana, i passi sulla sabbia l’unico rumore.
Il sole ci succhiava i corpi; persino gli scheletri avrebbe annullato.
Di notte il gelo era un cane che mordeva.
Le stelle rischiaravano le dune e ululati lontani diventavano ombre che vagavano: erano i jin, gli spiriti del deserto.
Quella notte il ragazzo più giovane era stato male e, la mattina, non si reggeva in piedi.
Inutili i tentativi.
“Non ce la faccio” sussurrava, “non ce la faccio…”
Ci aveva guardato, gli occhi secchi.
“Andate…non pensate a me”.
Avrei urlato, ma in gola la voce non c’era. Non riuscivo a camminare e mi voltavo sempre indietro.
Presto il sole sarebbe uscito dalla tana e avrebbe divorato il corpo sulla sabbia.
Improvvisa la disperazione mi cadeva addosso.
“E’ tutto inutile” pensavo.
La mano frugava nello zaino, ma non c’era nemmeno una zolletta di zucchero e la borraccia vuota. Sentivo la voce di mia madre.
“Una jeep!”
Il ragazzo si sforzava di guardare. Non è possibile, mi dicevo, è un miraggio. Poi, il rumore sempre più vicino…
Sezione B accetto il regolamento
Sezione A
Accetto il regolamento
Fragile
Tu non mi conosci
non conosci la mia FRAGILTA’
celata sotto vesti
di falso coraggio,
sorrisi di cortesia
lacrime mai piante.
Tu non mi conosci
non sai quanto pesano
le mie paure
le mie insicurezze
i mie tremori
Tu non mi conosci
non conosci
le mie debolezze
la voce rauca
gli occhi lucidi
le mani impacciate.
Tu non mi conosci
non vedi
il passo incerto…
la mia FRAGILITÀ
nascosta
dalla foschia Autunnale
dal vento invernale
dai profumi primaverili
dal riverbero del sole estivo
Tu non mi conosci
non sai che basta
un semplice
“Acuto”
per frantumare la mia
falsa “sicurezza”
e allora restano i cocci
i cocci della mia
FRAGILITA’
Teresa Argiolas
Millenovecento e….il destino di tante donne, in una.
Cammino lentamente sulla spiaggia deserta, il mare agitato riflette il colore di un cielo plumbeo, assieme assomigliano al mio stato d’animo. L’acqua increspata dal vento di terra, contiene piccole, ma taglienti sferzate dell’imminente inverno, i gabbiani volano radenti e in gruppo, nella convulsa ricerca di cibo, il loro canto sgraziato e melanconico mi rende ancora più triste! Mi avvolgo con forza, nel giaccone che indosso, come per cercare di trattenere il calore, che invece mi sfugge, lasciando al suo posto brividi strani, prolungati, affondo le mani nelle tasche e nella destra stringo tormentandola, la lettera che ho scritto per te. Inspiro forte e riempio i polmoni di quell’aria tersa, colma d’aromi intensi, inebrianti, lascio che una lacrima (trattenuta da tempo) scivoli verso le labbra tirate con forza, per non lasciare che il suo gusto amaro, mi avveleni ancora di più l’anima, la lettera ormai la conosco a memoria.
Mio caro Enrico
posso vedere la tua espressione sorpresa, quando guardandoti attorno, non mi troverai come sempre al tuo fianco, forse la stessa espressione che ho avuto io, quando con freddo distacco, mi hai detto sprezzante. “Disfatene!” Aggrappandoti ad ogni sorta di scusa, per giustificare il tuo netto rifiuto, ma tu con quella piccola e devastante parola ti sei liberato di noi. Mentre io l’amo già, tu di questo fardello non sai che fartene, chissà perché, ti senti così sicuro che farò quello che vuoi, ma questa volta ti sbagli! Perché io questo figlio lo voglio e lo amo, molto di più di quanto abbia mai amato te, ed è l’unica cosa tua, che non mi ha ancora delusa! Avrò questo figlio lontana dal mondo, in cui ho creduto d’essere felice, senza darti in alcun modo la possibilità di sapere di noi, mentre invece io saprò del tuo tormento, conoscerò la tua sofferenza, ogni volta che ti chiederai, dove hai lasciato un segno tangibile del tuo passaggio in questa vita, io sola sarò la custode del tuo segreto! Del nostro segreto! E non cercarci! Non farlo, tanto non ci troverai, potrai solo pensarci per sempre, con molto, moltissimo rimpianto! Addio! Elena
Guardo il mare che si gonfia sotto l’incessante spinta del vento, che ora ha cambiato direzione, le onde alte e rabbiose schiumano livore lambendo con forza la sabbia, gli elementi si stanno scatenando, avvicinandosi ancora di più al mio dolore, stringo nel pugno la lettera ormai accartocciata, colma di parole inutili, la tolgo dalla tasca e apro le dita, affidandola al vento che ci gioca, la guardo mentre sale e volteggia allegramente, come se tante mani invisibili, la spingessero in un curioso palleggio, poi il bizzarro vortice, ormai stanco, la lascia cadere priva di forza, adagiandola sulla cresta dell’onda, che la fa sua, la sospinge, l’allontana, l’avvicina e sommergendola la cancella, tu non meriti nulla, neppure una spiegazione! Piccole fredde gocce d’acqua mi frustano il volto, scuotendomi dal mio torpore, una lunga serpentina vivida luce, spacca le nubi e il cupo rumore del tuono annuncia tempesta, riprendo il cammino senza fretta, mentre l’onda cancella le orme del mio passaggio e del passato. La mia storia, è una storia vissuta milioni di volte, ma mai invecchiata! M’accarezzo il ventre, dolcemente arrotondato, sorrido e so che anche senza di te, io non sarò più sola.
– accetto il regolamento sez. B
Mamma
Quale nome è tanto dolce e giusto,
che solo pronunciarlo, tocca il profondo.
Mamma, ripeto e il suono mi conforta,
evoca la pienezza di un seno generoso,
a cui attinge grato e vorace il neonato.
Mamma, è il bacio della buona notte,
della carezza lieve e per pudor furtiva,
il tuo sorriso che rassicura il pianto.
La sola che da amore, unico ed eterno,
l’abbraccio caldo per superare l’inverno.
Ma il palesarmi a te è stato un dramma,
mi hai fatto nascere come un tuo rifiuto,
al seguitar degli anni, hai odiato i pianti,
che s’imbevevano, del tuo tenermi al bando,
hai respinto il sostegno dei miei passi,
che impedivano a te, di camminar veloce,
mi hai calcato sulle spalle i tuoi errori,
rea d’essere figlia del mio odiato padre,
figlia della debolezza di un momento,
da ricordare negli anni, come condanna.
Ed io Mamma a crederti matrigna,
giustificando l’inesistente amore,
incredula figlia di così poco cuore.
Un giorno forse mi ringrazierai,
d’essere nata, un giorno forse capirai,
tua figlia, non è un’inutile appendice,
può sorreggerti e tenderti la mano,
quando la tua sarà tremula e stanca,
quando t’aggrapperai a cercar conforto,
lo stesso che tu non hai saputo dare.
ma io non mancherò al mio dovere,
con tutto l’amore che è in mio potere.
Allora forse, in cuor tuo ti chiederai,
se era tanto ingiusto, essermi Mamma.
– accetto il regolamento sez. A
Nome: Antonio
Cognome: Di Bianco
Sezione: A
Dichiaro di accettare il regolamento
Il viaggio
Tutte le volte che parto cerco te,
Sei sempre con me.
Anche quando non lo voglio.
Un legame indissolubile,
Dai miei 25 anni,
una meta che nella vita non ho avuto,
Ricordi di un passato dove ero felice.
Nell’idea che ho di te, sono come la primavera.
Come un dipinto di Frida kahlo
Come ad ogni aeroporto
Come quando fui a Siviglia.
Rivivi nelle canzoni di Morat,
Che riaccendono la speranza
di una gioia bellissima
spalmata nell’anima.
Nella mia visione delle cose,
giù nel profondo, dove nessuno può toccare, nemmeno tu.
Il viaggio è stato sentirti.
Cercarti è venuto dopo.
Tu mi hai fatto scoprire la bellezza del cuore,
La forza di lottare, la fede.
La voglia di conquistare l’amore ed é per questo che ho amato tanto.
Il viaggio ero io attraverso te.
Perché tu eri e sono io,
Infine, l’ho sempre saputo.
Tu eri la propulsione che mi serviva
per non spezzarmi e andare avanti,
per la forza che doveva avanzare,
per la mia voglia di vivere troppo grande.
Ma nel mondo prima di te,
Mi ero fermato. Ed ero perso, che stupido.
Non ho più paura di fare il primo passo.
Non ho più paura di camminare nel viaggio.
È quello che sono diventato.
La miglior versione di me.
Sez A
Accetto il regolamento. Paola Cuneo
BAMBOLA
Lunghi riccioli di paglia,
alta e dinoccolata,
da quali esperte mani sei stata creata!
Labbra rosse,
occhi di perla scura,
nella veste tieni ancora l’imbastitura.
Le tue ciglia lunghi raggi,
labbra rosse attira baci…
non parlarmi, taci!
ARIA
Tutti in fila in tangenziale,
non sapere dove andare.
Tasche e jeans bucate dai sogni,
bruciati dal fumo
dell’ovvio dei giorni.
Occhi reduci da notti insonni
trascorse a sperare
passioni e ritorni.
L’ alba è alle porte,
che fatica accettare
il nuovo giorno,
un nuovo senso cercare.
Il tempo si accartoccia
come carta ormai consunta
da parole figlie e vittime
di un’ autenticità presunta.
Ma il vero?
Il coraggio?
È finita l’ inventiva!?
Vite spente e prestampate
come carta copiativa
che macchia, oscurando,
tutti i propri vissuti
ridotti a brandelli
come vecchi tessuti .
Il sistema ormai ci abbindola
tra le maglie della rete,
ma io sciolgo tutti i nodi,
calmo e acquieto la mia sete
di giustizia , di ideali,
di bellezza, di lealtà,
componendo versi nuovi
per sfidare la realtà.
Mentre scivolan le stelle
sulle spalle della luna ,
troppa gente lentamente
si rassegna , si consuma.
Cielo, mare, baci e abbracci
che profumano d’ eterno,
soffocati e rimpiazzati
dal triste gelo di uno schermo!
Ad un mondo sordo e cieco
unto d’ astio e ipocrisia,
mi rifugio nei miei versi
celebrando la Poesia
e chi è intento a recitare
una vita senza ebrezza,
spero sposi il cambiamento,
forse l’unica salvezza!
Sezione A
Accetto il regolamento
Che belli quei “Cielo, mare, baci e abbracci che profumano d’eterno”!!
I MIEI OCCHI TI CERCANO
E i miei occhi ti cercano ovunque/
nel cielo con nuvole plumbee/
nel paesaggio sottostante/
spazzato da un vento incostante/
fra i delicati fiori di primavera/
fra le ombre incerte della sera/
I miei occhi ti cercano senza stancarsi/
eseguono gli ordini del cuore senza opporsi/
Il tuo sorriso li ha spiazzati, devastati/
Non aspettano che di vederti per essere felici.
sez. A, accetto il regolamento
ABISSO
Ho guardato l’abisso e pure esso mi guardava, ma non volevo cedere ed ho continuato a guardarlo, malignamente corrisposto. Facciamo a chi si stanca prima? Mi è calata la palpebra e ho dovuto desistere. Allora mi sono messo di buona lena a guardare i cadaveri dei miei migliori nemici, che blandamente passavano sul fiume, guardandomi a loro volta. Anzi, invece di passare, si fermavano a guardarmi, con fare sardonico. He no, stavolta non mollo! Ma verso l’ora nona mi è calata la palpebra fin sugli zigomi e ho mollato la presa. Cioè, la sponda del fiume. Allora ho deciso di guardare il bicchiere mezzo pieno, e pure esso mi guardava, mezzo vuoto. L’ho svuotato, guardandolo malignamente, ma subito s’è riempito, guardandomi frizzante. Abbiamo continuato per due orette a guardarci reciprocamente mezzi pieni e mezzi vuoti, finchè la palpebra s’è messa a traballare la mazurca e il casaciok, il ballo della steppa. Ho lasciato il bicchiere mezzo vuoto e pure l’altro mezzo e mi sono recato in bagno per svuotare la vescica, che per fortuna non s’è messa a guardarmi. Incontrandomi poi con lo specchio, c’erano due teste che mi guardavano, ubriache, e pure noi due le guardavamo, schifatissimi. A sto punto topico m’è salita la nausea ed ho chiuso gli occhi. Non si sa mai.
secione-B. accetto il regolamento
PERCHE’ OGGI E’ SABATO
Perchè oggi è sabato
un abbaio diverte le nuvole
così distratte da sbattersi contro
altri rumori non s’odono
se non il solito calpestio dentro
le mie innumerevoli arterie
e l’amore aereostatico che rimbalza
negli hangar cremisi del pasticcere
creatore di pasticche miracolose
come l’unico bacio che mi desti
fingendo una fuga con mani altalenanti
e il tuo foulard come un lenzuolo
sporco d’amore a due piazze
nella piena penombra complice
di un cortiletto laterale.
sezione-A. accetto il regolamento
Complimenti per il tuo “Sabato”. Mi piace tanto il tuo procedere per immagini, evocazioni e sensazioni, apparentemente slegate, ma che esprimono emozioni ben precise.
grazie!
Come un fanciullo …
Vorticose nubi
cariche d’inquietudini
si ammassano nel cielo.
Attraverso l’anima
fulminei spasmi
di perplessità.
Il vento come un fanciullo
si trastulla tra gli scogli
del mare quieto.
Intimi combattimenti
tra agire e non agire
tra parlare o tacere.
Echi di battaglie vane
senza vittorie né vinti
Antonio Pittau
Sez. A
Accetto il regolamento
SUL BASTIONE DI SAINT REMY (libera trasposizione tra storia e leggenda)
Il Caffè degli Spiriti, lui stesso come un antico fantasma, aveva sempre abitato la terrazza del Bastione, negli antichi splendori, nel triste abbandono e nel rifulgere oggi dei nuovi fasti. Le panchine fanno ancora il girotondo intorno alle palme o qua e là nel vastissimo perimetro, ad accompagnare i muretti a sedere intorno alle mura, quante anime disperate li scavalcarono, cercando un’illusione di pace. Il Caffè degli Spiriti lo sapeva, perché qualcuno di loro aleggiava fra le palme e anche se la notte stellata fulgeva in tutto il suo magico splendore, qualche goccia cadeva sulle panchine: lacrime, chissà di che, di nostalgia, di pentimento, di desiderio, di preghiera forse.
Io quella sera la vidi, la vidi proprio cadere dall’alto sino a posarsi sulla barra esterna della panchina, quasi accanto a me. Rimasi a guardarla a lungo, tentando di leggervi qualcosa.
Il sole tramontava e i lampioni già strizzavano gli occhi ai pochi passanti e a chi cinguettava in amore sotto la grande arcata. Le luci del Caffè illuminavano tutto l’angolo che dava sulla zona storica di Castello, misteriosa e affascinante, che io adoravo, con le sue leggende racchiuse negli alti palazzi che cercavano il sole tendendosi la mano nelle strette vie, decaduti e oggi rinati. Stavo lì, inseguendo i miei pensieri fagocitati da quella lacrima intatta. Improvvisa una sensazione: qualcuno mi accarezzava i capelli. Nessuno intorno, nessuno vicino.
-Bella signora, mi vendi un rametto di prezzemolo?
Trasalii. Conoscevo solo un’antica nobile famosa che comprava tutto in unità, se non era un chilo o un etto, era uno e basta.
-Contessa!
-Si, bella signora?
Ora si, la vedevo, eterea, capelli lunghi con una coroncina di fiori sulla fronte, una lunga veste lilla tenue. Era quasi trasparente, e danzava volteggiando. Lo spirito di Donna Violante Carròz!.
-Come mai siete qui, Donna Violante?
-Mi annoiavo nel mio castello di San Michele, qui c’è luce, c’è vita. Ahimè…vita.
-Beh, contessa, siete morta da 500 anni…
-Si, ma troppo presto… mi hanno uccisa! E tu… -mi guardò con occhi colmi di rabbia, puntandomi l’unghia dell’indice in mezzo alla fronte- tu dovrai dire ai tuoi storici la verità.
-Se lo dite voi…
Forse sognavo, sta di fatto che ero eccitata. Nessuno la vedeva, solo io, e qualcuno passando probabilmente si preoccupava della mia salute mentale.
Si sedette tra la lacrima e me.
-L’hai vista, vero? E’ mia, è rigata di sangue. Cosa sai di me, tu? Cosa ti hanno raccontato i libri?
-Beh, di una vita tormentata e poi… poi… siete stata un’assassina.
-Assassina? Ma dove le prendono le informazioni gli storici? Nelle bettole puzzolenti da vecchi ubriaconi? Donna Violante, contessa di Quirra e di San Michele, orfana bambina, sposa bambina, vedova bambina… che ha visto morire uno dietro l’altro padre, mariti e figli. Stupidi uomini! Come se la guerra contasse più dell’amore di una donna, di un figlio, di una famiglia, come se l’amore si potesse davvero comprare. Tre mariti ho perso e non avevo ancora trent’anni. Avevo anche un amante, di quelli che in guerra non ci vanno. Sai chi?
-Ho letto qualcosa…
-Tu non sai niente: era bello Giovanni, bello come il suo Cristo affianco all’altare. Quante pie donne lasciate sole –sospirò sorridendo- persero la testa per lui, ma con me fu lui a perdere la testa, era pazzo e geloso. Mi maritai allora con Carlo, un nobile della famiglia Aymerich, legato alla Chiesa sino al midollo. Giovanni acconsentì per mettere a tacere le malelingue –mi guardò con una tristezza che mi trapassò l’anima- Avevamo un bambino, due anni, viveva con i trovatelli di padre Eliseo. Lo vedevo tutti i giorni, anima santa mia.
Qualche secondo di silenzio.
-E comunque m’innamorai perdutamente di un giovane mercante, Bartolomeo, che fu l’unico vero amore della mia vita. Ci amavamo come chi sa che non ha molto tempo, che ogni istante è un rischio. Ma Giovanni era sempre più sospettoso e mi faceva seguire, finché scoprì l’inganno. Una sera mi minacciò e mi impose di lasciare Bartolomeo. “Mai, ci amiamo, fuggirò con lui!”. “Tu non lo farai o dirò tutto a tuo marito”. “Dirò tutto anche io!”. Due pesanti schiaffi e caddi a terra. “Baldracca, pagherai per i tuoi peccati”. Dopo tre notti di silenzio andai a cercare mio figlio, ma padre Eliseo mi disse che lo aveva preso Giovanni; corsi alla Basilica. “Dov’è il bambino?”. Mi guardò con aria feroce. “Stanotte, a mezzanotte, verrai con il tuo amante alla terrazza del Bastione. Di fronte a Carlo e al bambino giurerai di smettere di vedere Bartolomeo, per sempre, e io smetterò di cercarti, e tutto tornerà nelle grazie di Nostro Signore” “Maledetto!”
Da qua dall’alto il mare era uno spettacolo di riflessi di luna in quella notte tiepida di giugno. Carlo aveva in braccio il bambino e borbottava con Giovanni quando arrivammo io e Bartolomeo. Volevo prendere mio figlio che mi tendeva le braccia, ma mi fu negato.
Non volevo piangere…
-Ci guardavano con occhi sanguigni, tentai di parlare. “Carlo…”. “Zitta!” sussurrò Giovanni “Potrete solo dire che non vi vedrete mai più e riavrai questo figlio bastardo che Carlo crescerà come suo”. Lo fissai inorridita. “Nooo, sai bene che il bambino…”. Ancora due schiaffi, e Bartolomeo scattò. “Prete o non prete, se la tocchi ancora ti uccido!”. Ma lui si divincolò e spingendolo urtò Carlo.
Io le vidi, quelle grandi lacrime trasparenti che le rigavano il viso.
-Mio figlio volò giù, e urlando disperata volai giù anche io, abbracciando per sempre il mio bambino. Bartolomeo uccise Giovanni e Carlo uccise Bartolomeo, poi, ferito a morte, scavalcò il muretto e si gettò giù anche lui. La luna brillava ancora sul mare, qualche lume si accese, nel sussulto delle grida.
Silenzio, poi con un soffio.
-Adesso, bella signora, racconta agli storici la vera storia di Donna Violante di San Michele.
-Si, e voi, Contessa, trovate finalmente la pace.
Sulla panchina solo una lacrima, purificata da ogni riga di sangue. La notte l’avrebbe portata via. L’alba non era lontana.
SEZ B- Accetto il regolamento
Buongiorno a tutti (anche ai giurati). Nel racconto che ho inviato il 18 il sottotitolo è una domanda: “da dove viene il siriano?” Per chi volesse cimentarsi nella sfida, un suggetimento: leggete l’ultima parola! (se nessuno trova la soluzione, altro suggerimento il 14….buon divertimento!)
Quando la pioggia dilaga
A nulla serve l’ombrello
quando la pioggia dilaga
quando il silenzio è una crosta
che sfalda a colpi di scroscio
se s’appropinqua la bocca
al tuo sospir che m’assorbe
come un risucchio dell’aria
nel rinserrar le finestre.
Roberto Marzano (accetto il regolamento,sez. A)
Perdonami se oso, ma è splendida fino a “scroscio”, poi le parole “appropinqua”, “sospir” e “rinserrar” mi suonano troppo auliche, per cui c’è un contrasto troppo grande tra le due parti (a meno che lo scopo sia proprio questo!)
SUL TRONO DELLA FELICITÀ
Ho sognato il deserto
Sabbia ed ancora sabbia
per miglia e miglia
Ero il Re della Desolazione
Danzavo sulle miserie accecanti
di polvere e fango
e riuscivo a struggere
il riverbero del sole
innalzando
le mie braccia al cielo
Gridavo al deserto
brama di libertà
Nessuno mi giudicava o mi feriva
Ero sul trono della felicità
Saverio Giannini
Accetto il regolamento sez. A poesia
Latte e borotalco
Profumo di borotalco
sulle pieghe di velluto
e latte che cola dalla bocca
del tuo bimbo appena nato
che avido succhia dal tuo seno.
Ricordi di mamma e di ninne nanna
di fiori di campo e terra bagnata,
delicate melodie di carillon
e girandole di farfalle colorate
sulla culla.
Dolci sono i ricordi
che stringi forte al petto
e li trattieni, bene prezioso
nello scrigno dei tuoi tesori.
Paola Pittalis
Partecipo sez a
Accetto il regolamento
A qualsiasi costo
Si chiuse a riccio, mi disse che tanto era inutile, che non
sarebbe servito a niente continuare, voleva solo tornare a casa.
Ero distrutta, chiesi aiuto.
Lui stava in silenzio, sdraiato nel letto, senza
voler mangiare né bere: si stava lasciando morire ed io non
sapevo che fare, a che santo rivolgermi. Quel suo silenzio continuava a ribombarmi nel cervello, mi faceva impazzire.
Contattai anche un bravo psicologo che ci avevano
consigliato all’ospedale. Per diversi giorni venne a trovarlo
nella pensione dove eravamo alloggiati, parlò con lui ma non
risolvemmo niente: lui era irremovibile e il medico ci disse
che Paolo aveva le idee chiare e non potevamo obbligarlo.
Paolo continuava a ripeterci che solo lui poteva decidere
sulla sua vita, nessuno di noi poteva obbligarlo e forse aveva
ragione, ma io non potevo stare a guardare mentre si lasciava
morire. Io dovevo fare qualcosa e, ancora oggi, mi chiedo se
feci bene ad obbligarlo.
Mi facevo aiutare dai frati: lo prendevamo quasi di peso per
portarlo all’ospedale e così, un giorno, si rifiutò anche di
alzarsi dal letto, si stava lasciando morire ed io non potevo
assistere impassibile a tutto ciò.
Non mi parlava più, se ne stava con gli occhi chiusi,
immobile. Cercai in tutti i modi di tirarlo fuori dall’abisso in
cui stava precipitando ma non ci riuscivo.
Forse sbagliavo, ma io volevo che si curasse. Stavo
violando la sua volontà, non avevo il diritto di obbligarlo,
eppure con tanto dolore lo feci. Se lui non voleva lottare per
la sua vita, allora sarei stata io a farlo per lui, a qualsiasi
costo.
Paola Pittalis
Partecipo sezione b
Accetto il regolamento
FUGGE VIA IL TUO SORRISO
(A Emanuela Loi, uccisa a Palermo insieme a Paolo Borsellino
e ai colleghi della scorta nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio del 1992)
Giunge da lontano
questo cielo terso di tristezza
dove corre la voce gocciolante delle nuvole
che ancora recano antiche orme d’amarezza
e grevi ombre d’un giorno straziato d’estate.
L’ascolto, quella voce
inseguendo con gli occhi quelle ombre
pellegrine per le strade di dolore del mondo
e nel mentre una lacrima di pioggia che m’è caduta addosso
esplode d’improvviso in un abisso di silenzio senza fondo.
Passi veloce, perduta figlia di quest’isola di rassegnazione
che sempre ti piange nel suo cuore di mare e vento.
Passi veloce, come nebbia o cenere del tempo
o come foglie d’autunno eterno che danzano
alla musica impazzita della solitudine.
E fugge via il tuo sorriso, sfumato nel volo sfiorito
d’una rondine e nel pianto d’argento della prima stella
quando l’umanità d’un tratto s’oscura
perdendo la sua luce più bella.
Laura Vargiu
Sezione A – Accetto il Regolamento
TERRA SARDA
Perché viverti
è restare immersi
nel fiume eterno
di emozioni profonde,
di antiche voci
che penetrano i muri
e sgretolano certezze
pensate infallibili,
soffia forte il vento
e spazza via
residui di sabbia
dalla soglia dell’anima,
mentre sale
dolcemente acre
il profumo di salsedine
da questo mare
che del cielo è volto
e sembianza trasparente,
ricami di parole s’alzano
in atavici canti
di gloria, d’amore
e di soffocato dolore,
laceranti pianti
di madri orfane di figli
da destini di guerre
e di vendette,
mentre tutt’intorno
si spande a meraviglia
il sole del domani,
indelebile scolpito
sulla roccia dura
del passato.
Perché sei tutto questo,
sei corsa selvaggia
di cavalli e di bisonti,
sei odore di tempesta
tra le onde
dei boschi e del mare,
sei sogni a strapiombo
su terre inviolate,
sei luce che trapassa
le maglie più fitte
della notte,
sei tenerezza che fibrilla
nei meandri
della mente e del cuore,
sei la tua mano nella mia,
sei palpito che anela
sempre un ritorno
tra lacrime di nostalgia,
sei abbraccio
e sei sofferta lontananza,
sei coerenza
e sei contraddizione,
sei memoria,
non sei mai dimenticanza.
Sez.A- Accetto il regolamento
IL PASTORELLO
Era inverno da pochi giorni e già faceva un freddo tremendo. Nessuno al paese, se non tra i più anziani la cui memoria ritornava agli anni prima della guerra, ricordava un tempo così poco clemente. In molti predicevano l’imminenza della neve anche in pianura.
Intirizzito e affaticato per il lungo camminare, Nino si tirò su il bavero del giaccone ormai ristretto, mentre il suo respiro tremolava in nuvole bianche di vapore. In spalla, qualche chilo di pane e magro companatico, provviste consuete per non spostarsi dalla tanca almeno per una settimana; i giorni di Natale e Santo Stefano lo avrebbero trovato lontano da casa, in compagnia della più aspra solitudine della natura. Intanto, scendeva la sera della Vigilia, ma per il bambino la festa si colorava soltanto di ricordi e tristezza.
Aveva dieci anni ancora da compiere, Nino; a cinque già badava alle capre. A scuola non era mai andato ché tanto la vita, diceva il babbo, sarebbe stata maestra. Alla morte della madre, non appena in famiglia era entrata “sa bìrdia” [1] , che da serva s’era fatta voracemente padrona, l’avevano mandato all’ovile pure la notte, mentre la casa iniziava a riempirsi di fratellastri che gli usurpavano affetto e averi. Nel cuore serbava un vago ma dolce ricordo delle notti natalizie di un tempo: le voci gioiose, la tavola imbandita e adorna di tovaglie ricamate e porcellane materne, la santa messa di mezzanotte dove lui s’assopiva accanto all’anziana nonna che profumava a sua volta d’incenso. Con simili nostalgie arrivò che era buio, dopo una marcia di quasi un paio d’ore lungo i sentieri di campagna che conducevano alle terre di famiglia ai piedi del monte. Ad accoglierlo, il belato delle bestie e lo scodinzolìo di due cani che subito si dispersero nella tanca.
Di tziu Mundiccu, il servo pastore, testimoniava il passaggio recente il bagliore d’una timida brace dinnanzi alla capanna. Era stato lui, vecchio di molte lune e gran conoscitore di storie di “janas” [2] , a insegnargli a scrutare l’immensità notturna del cielo, interpretando lo scintillìo delle stelle e dando un nome, e un senso, alle costellazioni.
“Guarda, Nineddu!” – lo esortava nelle terse notti di veglia quando il firmamento era il solo tetto sopra le loro teste – “Quella stella che luccica e fugge via è un’anima che ritorna al Creatore…”
E puntualmente, l’indomani, le campane suonavano a morto in paese.
Lampada a petrolio in mano, provò a riattizzare il fuoco all’aperto. Malgrado il buio, non poteva ancora ritirarsi nel suo giaciglio al chiuso ché in agguato stavano le volpi affamate, e spesso pure qualche cristiano. Faceva così freddo che per la prima volta maledisse la matrigna che in casa non lo voleva. Come gli sarebbe piaciuto trascorrere di nuovo il Natale davanti al camino acceso, gustando caldarroste e i dolci delle feste comandate! Più di tutto, però, desiderava l’abbraccio di sua madre; chissà, magari lei era divenuta una di quelle stelle che lo guardavano mute da lassù. Lacrime amare, per il freddo e l’emozione, gli rigarono il viso e in esse parve annegare il suo cuore di bambino. In attesa di un fuoco che non si sarebbe più riacceso, il tempo prese a perdersi nell’incanto della memoria e nel gelo che scendeva su tutto. Anche sul piccolo e inerme corpo di Nino, accovacciato a terra.
“Mamma…” – mormorò lui rivolto a una stella d’un tratto più luminosa di tutte le altre. Le sorrise e ancora le parlò; non sentiva più le mani e tremava tutto.
E quella, la stella, iniziò a battere proprio come il cuore d’una madre. La notte di Natale, per i bimbi, qualsiasi magia può accadere.
Quando scesero i primi fiocchi di neve, Nino s’era già addormentato.
Anche lui, ormai, brillava fra le stelle.
LAURA VARGIU
Sezione B – Accetto il Regolamento
___________________________
[1] In lingua sarda, “la matrigna”
[2] Figure delle leggende popolari della Sardegna.
Complimenti, Laura! Che bella in particolare la discrezione con cui fai capire il destino del pastorello!!
Ti ringrazio, Marco! Complimenti anche a te per l’originalità dei tuoi testi! Un saluto!
L’isola dei… sapori
Inspiro incantata a pieni polmoni,
‘na brezza lieve ripiena di aromi,
odori di agrumi, di spezie e di sale,
odori ed aromi che esondan dal mare…
Colori brillanti e mille sapori,
in questa tua terra un tempo dei Mori,
magia di dolce insieme al salato,
in questo bel posto che pare fatato.
Mani sapienti san già preparare,
unendo sapori di terra e di mare,
pietanze ‘si buone da non ragionare,
tutte perfette da assaporare.
Dall’entroterra sferzata dal vento,
tu giungi dal campo con fare contento,
nei tuoi occhi azzurri che paiono il mare,
il dolce calore di tua terra natale…
Sez.A- Accetto il regolamento
I ravioli Zia Rosetta
Vado matta per i ravioli. Mi piacciono quelli di magro, quelli di carne, ai funghi, al gorgonzola, in brodo, con il sugo, al burro e salvia, ma anche semplicemente con un filo d’olio. Quando vado al supermercato mi perdo davanti al banco frigo dedicato e ammiro quante varietà posso trovare.
Eppure, per quanti ravioli possa aver assaggiato e possa continuare ad assaggiare, e che mi piacciano, ci mancherebbe, penso che quelli di zia Rosetta siano stati tutta un’altra cosa.
Di quei ravioli mi è rimasto impresso non solo il gusto con una punta di aroma di agrume nella pasta sfoglia, dato dalla scorza di limone, ma soprattutto la preparazione.
Per un paio di giorni il tavolo del soggiorno veniva occupato dall’attrezzatura: piano di lavoro, dove si faceva la fontana di farina, sulla cui cima si mettevano le uova, il mattarello per lavorare la sfoglia, la mitica macchinetta a manovella per renderla sottile, la rondella tagliapasta, lo stampo con la forma dei ravioli e, ovviamente, la bacinella del ripieno. Io bambina, assistevo ammirata, giocando con qualche scampolo di pasta e rubacchiando ditate di ripieno.
Finito il lavoro, i ravioli ottenuti, tutti della medesima grandezza e forma, ma ognuno leggermente diverso dall’altro, venivano adagiati su uno strofinaccio appoggiato su un tavolo in camera da letto sotto ad una finestra, spolverizzati con la farina e di nuovo coperti con uno strofinaccio.
Ogni tanto andavo di soppiatto a sbirciare, sollevando il telo e contemplando in silenzio, pregustando il giorno di festa in cui li avremmo mangiati tutti insieme.
Oggi invece i ravioli non sono una prerogativa delle feste, ma sono a nostra disposizione tutti i giorni e questa è anche una buona cosa, ma così ci siamo un po’ persi il gusto di preparare qualcosa di particolare, destinato ad un’occasione speciale, di nostro e da fare con calma, coinvolgendo tutta la famiglia per contribuire a creare quel clima di coesione familiare tipico della festa, fosse anche solo per il pranzo della domenica.
Guardo in alto in cucina… in quella scatola forse c’è la macchinetta della pasta, e in effetti eccola; frugo tra gli attrezzi e trovo il mattarello e il taglia pasta…
Quasi quasi mi metto all’opera…
Sezione B – Accetto il Regolamento
Mi inviti a pranzo?
Si potrebbe….
ACCETTO IL REGOLAMENTO – sez. A
Naufraghi d’amore
Silente,
asciugo questi rimorsi di pioggia.
Mi dolgo
di questa esistenza beffarda:
non v’è porto alcuno
per la mia anima raminga,
solitaria, ma duale.
Nemmeno ricordo quante vite annegai in te,
tempeste di folle amore,
che troppo impetuoso mi travolse
da attraversare secoli di marosi,
ere di oceani profondi,
e infine approdare ancora a te:
la baia più sinuosa;
e, sfibrato, giacere tra le tue sabbie
di bianco corallo…
Il tocco delle tue dita
A mia madre
Vorrei piantare un albero
per ogni tuo sorriso
così che quando primavera verrà
crescerà un bosco
di bellezza fiorita.
Vorrei che la gentilezza
la tenerezza
del tuo sguardo
fossero zampilli di una fontana
e vi potessi immergere le manii
e bere a volontà.
Resterò a guardare
il sole che nasce
perché ogni volta
tu sorgi insieme lui
astro nel cielo.
E sentirò
a ogni battito del mio cuore
il tocco delle tue dita.
Vellise Pilotti sez A
Accetto il regolamento
Buongiorno ad organizzatori, giuria e partecipanti al concorso: ho scritto una nuova versione della poesia che ho inviato il 20 aprile, è possibile fare il cambio??
FRAGILE TEMPIO ANTICO
Simile a sirena muta
distendi il tuo corpo di granito
adagiato tra l’Africa e l’Europa.
Non resiste al tuo richiamo
chi é capace ancora di sentire
il profumo di sale e d’elicriso
quando il vento t’accarezza i fianchi
e la voce delle pietre risuona
dei millenni della storia.
Tra speroni rocciosi e lentischi
il tuo cuore verde pulsa
terra di frontiera e di contrasti,
terra bella e generosa,
terra affamata di pioggia.
Qui, nel crepitio del fuoco
s’ode il tuo gemito
e quello degli armenti.
Qui, gli uccelli cadono dal cielo
e il bosco vuol fuggire
insieme al gregge nella tanca.
Nell’aria arsa e fiammeggiante
quando gli alberi combattono
simili a guerrieri,
tu, fragile tempio antico,
fai risuonare l’eco del tuo
e del nostro pianto.
Marina Cozzolino
Sezione A – accetto il regolamento
ELETTRODOMESTICI IN SCONTO
L’autobus rallentò, ormai in vicinanza della periferia di Sassari, mentre lui pensava Sono proprio fortunato.
E questo pensiero, formulato nella sua mente, la mente di Tore Floris, o se volete Salvatore Floris, divenne una frase che le sue labbra si lasciarono sfuggire.
“Perché è fortunato?” gli chiese allora a bruciapelo l’autista, intento a maneggiare la leva del cambio.
“Beh, pensavo che sono nato e vivo in Sardegna, in uno dei pochi luoghi dove si vive molto più a lungo della media e l’incidenza delle malattie croniche è bassa. Lo sa che le cosiddette zone blu del mondo sono solo cinque?”
“Ah, sì?”
“Già. La penisola di Nicoya in Costa Rica, l’isola greca di Ikaria, quella di Okinawa in Giappone, il villaggio di Loma Linda in California e appunto la nostra Sardegna? Questi sono i luoghi dei centenari. Forse è merito della dieta, simile od uguale al modello mediterraneo, o l’abitudine a svolgere attività fisica quotidiana, o l’atteggiamento positivo nei confronti della vita.
Ma io credo sia una questione genetica, di cromosomi”
“Anche io. Ora capisco, Lei pensava a quanto è fortunato a poter diventare, con tutta probabilità, un arzillo vecchietto dal cervello lucido che vivrà a lungo, forse molto a lungo!”
“Oh, beh, io non ambisco a morire a 122 anni, come la francese Jeanne Calment, che detiene questo tipo di record. Ah, ecco, stiamo arrivando: vedo laggiù il centro commerciale dove ci deve portare. Venga con noi, così vedrà perché oggi la fortuna è dalla mia parte”
Il pullman si fermò in uno degli appositi spazi a lui dedicati.
I 52 vecchietti scesero dall’automezzo vivi e vegeti, persin fin troppo vegeti, pieni di energia ed entusiasmo, e si diressero guidati da Floris verso l’entrata del negozio di elettrodomestici “ZORZI”, ospitato nel vasto centro commerciale “Le cicogne”.
Proprio all’entrata del negozio c’era una scritta che recitava:
I TELEVISORI DELLE MIGLIORI MARCHE,
LE LAVATRICI PIU’ LONGEVE,
GLI ASPIRAPOLVERE PIU’ RESISTENTI.
VIENI DA ZORZI
FORTI SCONTI IN BASE ALLA TUA ETA’.
HAI 35 ANNI? NOI TI SCONTIAMO IL 35%
HAI 60 ANNI? LO SCONTO E’ DEL 60%
OCCASIONE IRRIPETIBILE.
ENTRA DA ZORZI, NON TE NE PENTIRAI!
I 52 nuovi clienti entrarono e si dispersero fra i vari reparti.
Floris raggiunse Marras vicino ad un forno a microonde e, quando il commesso terminò di tessere le lodi dell’apparecchio, Aristeu Marras, un pensionato di 104 anni di Osilo, paesino a 13 chilometri da Sassari, disse:
“E’ molto bello, mia moglie non ha mai usato un forno così, glielo voglio regalare. Lo compro!”
“Oggi Lei può approfittare della promozione speciale, quanti anni ha?”
“104”
“Ah. Complimenti!! Allora…”
“Allora” si intromise Tore Floris ”il qui presente Aristeu Marras ha diritto al 104 per cento dello sconto sul prezzo. Quanto costa?”
“600 euro”
“Bene; il 4 per cento di 600 è … 24 euro. Dunque Lei deve dare al signor Marras il forno ed anche 24 euro”
“Ma…ma…”
“Niente ma! Il cartello all’entrata parla chiaro: lo sconto è pari all’età del compratore. Il signor Aristeu ha diritto al 104 per cento di sconto.
Quindi Voi dovete dargli dei soldi. Lui supera i cento anni, il 100% di sconto, quindi non paga niente ed è ancora in credito di 24 euro. Mio cugino è commercialista e mio zio avvocato: dovete pagare!”
Al commesso, costernato, non restò che chiamare il suo superiore, ma l’ineccepibile logica di Floris ebbe la meglio. All’ultracentenario, dopo aver esibito la carta di identità, furono consegnati un forno a microonde ed un assegno di 24 euro.
Ed al signor Angiulu Melis, di 106 anni, che abitava a Sennori, fu dato un televisore da 2000 euro ed un assegno di 120 euro, così come a Bennardu Murgia, che di annate ne aveva trascorse 102, fu consegnato un condizionatore da 800 euro accompagnato da un assegno di euro 16. Ed il signor Sandru Carta uscì dal negozio accompagnato da un aspirapolvere da 80 euro, 2 euro e 40 in contanti ed i suoi 103 anni.
E così capitò alla signora Colosedda Cossu, ed anche al signor Zeleste Serra, e alla signora Fiderica Mura e così via a tutti i 52 clienti arrivati in autobus, tutti che superavano la soglia delle 100 primavere. Il più felice fu Pineddu Puddu, che a 108 anni aveva comprato una tv con schermo da 3.200 euro.
Quando i 52 furono risistemati sul bus, questo partì imboccando la via del ritorno con 52 tra frigoriferi, lavatrici, cucine elettriche, asciugacapelli stipati nella sua stiva.
“Accipicchia, che idea!” commentò l’autista, rivolto a Floris.
“Già, mi è venuta una settimana fa, la promozione scade domani; ho contattato tutti i vecchi delle vicinanze, con l’accordo che loro avrebbero avuto gratis un elettrodomestico ed io avrei incamerato il surplus, il bonus percentuale.
Il noleggio giornaliero del pullman viene un centinaio di euro, ma io ne avrò ricavati circa tremila e duecento o tremila e tre.
Dunque un bel guadagno: ecco perché prima pensavo che per me sarebbe stata una giornata baciata dalla fortuna!!”
“Certo, molto più che fortunata. A spese di quel negozio che avete proprio svaligiato. A proposito di negozi di apparecchi elettrici per la casa, mi è venuta in mente questa barzelletta, senta”
“Metta in funzione il microfono, così la sentiranno tutti, anche in fondo al bus”
“Giusto. Ecco fatto. Allora, un signore entra in un negozio dove si vendono apparecchi televisivi. IL tizio si rivolge al commesso, prontamente accorso, e gli dice: “Vorrei acquistare un televisore Pilco”
Il commesso risponde: “Ehm.. non è per essere pignoli, ma si dice Filco: si scrive Philco, ma si pronuncia Filco. Comunque ne siamo momentaneamente sprovvisti”
“Ah, allora ne compro uno di marca Pillips”
“Non abbiamo neppure quelli. In ogni caso si chiamano Fillips. Si scrive Phillips, con la p e con la h, ma si dice Fillips”
“Beh, mi dia allora un Ponola”
“Ehm…., si dice Fonola, si scrive Phonola, ma la pronuncia è Fonola.
Sono desolato, non abbiamo neppure quelli”
Allora il cliente, esasperato, sbotta: “Ma Forca Futtana! Non avete niente in questo negozio!!”
– accetto il regolamento, sez. B
Originale e divertente, secondo me meritava un finale migliore che una vecchia barzelletta appiccicata lì
Lui è alla finestra. Nudo, fatta eccezione della sigaretta. Farà tanto cinema, ma non gli è mai piaciuto fumare sdraiato. Guarda fuori, senza realmente vedere nulla. Il suo corpo è un curioso miscuglio di muscoli rilassati e di muscoli tesi. Silenzioso, alterna boccate di fumo a respiri lenti, profondi.
“Stai bene?”
Di traverso sul letto, sdraiata sulla pancia. Fuma anche lei, il mento appoggiato su una mano, la pelle interrotta solo da un lenzuolo negligente attorcigliato intorno ad una coscia, un piede sollevato.
In un solo gesto lui getta la sigaretta dalla finestra socchiusa e si volta. Lo sguardo corrucciato dal gelo della notte e da pensieri lontani si scioglie in un attimo di fronte a quella posa da diva e a quegli occhi intensi.
Sorride, di un sorriso che diventa una piccola risata interna, intima, mentre si china a baciarla.
“Sto benissimo”. Si sdraia di schiena, quasi perpendicolare, i due volti vicini.
“Eri così silenzioso..”
“Beh, mi sembra che abbiamo già urlato fin troppo”.
“Scemo!” Ride un attimo, poi torna seria “dov’eri andato?”
“Chi lo sa. Ogni tanto la mia mente parte, in cerca di qualche mondo. Soprattutto quando sono felice.”
“Sei felice?” Lo sguardo di lei non attende risposta dal volto poco sotto il suo. Si fissa sullo specchio a parete, proprio di fianco alla finestra.
“Guarda. Come siamo belli. Torbidi di sesso. Puri. Dovremmo farci una fotografia. Tante foto. Una per ogni sensazione provata. Bella, brutta. Fermare tutto prima che scappino via”.
“Bisognerebbe avere sempre a portata di mano una macchina fotografica”. Entrambi guardano la macchina di lei, effettivamente in attesa su una sedia, a pochi centimetri. Ridono.
“Vorrei averla piantata qui nel petto. Per riprendere tutto quello che mi fa accelerare il cuore. Oppure…” il suo tono si fa sardonico “Oppure qui, in mezzo alla fronte. Il terzo occhio della percezione. Ti piacerei lo stesso?”
Nel parlare si muove. Un seno sfugge all’intrico di coperte in cui era incastonato. Lui si allunga per baciarlo, senza staccare gli occhi da quelli di lei, attraverso lo specchio. “Mi piaceresti con un numero qualsiasi di occhi. Tu sei bellissima”
“Banale” ma sorride, ancora.
“Insomma. La verità non è mai banale. Guardati” Le passa la mano sul corpo, mentre gli occhi di entrambi sono fissi sullo specchio, che registra tutto. “Al massimo in questo caso è scontata, mai banale”.
Lei ride “ma quante verità assolute, stanotte. Eppure sono verità soltanto per i tuoi occhi”
“Allora” dice mentre si avvicina a lei, creando mille contatti tra i due corpi ancora accaldati “vorrà dire che i miei occhi hanno davvero un gran buon gusto.” La accarezza di nuovo. “ E non solo i miei occhi”.
Lei gli si rovescia addosso, a cavalcioni. Il corpo ancora carico di sessualità, nei gesti intimi, con un che di fraterno. Gli poggia i gomiti sul petto, occhi negli occhi.
“Adesso cosa facciamo?”
Silenzio. Occhi enormi. Occhi che vanno e vedono oltre l’immediato. Anche troppo oltre, quasi da esserne spauriti.
“Adesso viviamo”.
– accetto il regolamento, sez. B
Il serpente bianco – accetto il regolamento, sez. B
Il serpente bianco scivolava tra le foglie, scivolava verso le radici della vecchia quercia, così silenzioso da non poter capire se era reale.
Per un attimo una lama di luce attraversò la crepa nello scuro sfasciato. Poi tornò il buio e un tuono fece tremare i vetri della finestra. Angela saltò a sedere nel letto strillando, tutta sudata.
«Li mortacci tua!», urlò il marito. Nonostante il fracasso del temporale, Oreste poteva dormire come un sasso e russare come un porco. Ma il grido della moglie l’aveva fatto sobbalzare.
La stanza da letto, nella casetta malmessa alla periferia di Roma, in mezzo alla campagna, era gelida. La brace nel camino s’era spenta da un pezzo.
«Ma che cazzo te strilli?»
«Sta bbono Orè, oddio che sogno c’ho fatto!». La donna si scostava nervosamente i capelli fradici di sudore dalla fronte e continuava ad ansimare. «Oddio, oddio, santa Madonna aiutame te!» continuava a ripetere. «Oddio, oddio!»
Oreste si forzò a voltarsi verso di lei, ma senza smettere di inveire:
«Ma che cazzo stai a ddì? Ma vvòi dormì, che te pijasse un córpo a te e a tutti l’antenati?»
«Orè ho sognato ‘n frate! M’ha detto na cosa! Oddio Santa Madonna! M’ha detto d’annà a scavà sott’aa quercia, quella indove ho visto er serpente!»
Un altro tuono fece tremare i vetri malfermi della finestra, così forte che entrambi si voltarono a guardare, temendo che si infrangessero a terra.
«Dice che indove ho visto er serpente ce sta da scavà, che ce sta ‘n tesoro!»
Oreste bestemmiò, continuando a fissare la finestra:
«Ancora co sto serpente? T’ho detto che nun c’era nessun serpente!». Poi cambiò espressione e si voltò verso la moglie. Il tono della sua voce si fece più mansueto:
«Un tesoro?»
Tutto era iniziato la notte prima, quando Angela s’era lamentata che la legna stava finendo e le notti erano fredde.
«Tocca procurasse quarche ciocco d’abbrucià, ossinnò se morimo congelati».
Ma i soldi per comprare legna non c’erano, così avevano deciso di andare fuori porta a raccogliere rami caduti in campagna. S’erano alzati prima dell’alba. Non avevano mantelli o cappotti, erano usciti con le coperte calate sulla testa e la carta del pane infilata sotto le giacche.
E questo è quello che era accaduto nel bosco.
Cioè? Cosa è successo? Sono morti congelati e quindi…?
Visto che chi tace acconsente, invio una versione secondo me più riuscita della poesia mandata il 20 aprile. Se non è accettabile per il concorso, pazienza
LAMPI DI SARDEGNA
Sta lì,
Tra la piana d’Arborea
(veneta, verde visione
d’una misurante ragione)
E la contorta geologia
che si fa duna, rossa roccia, scoglio,
arco di bianco calcare
sul d’azzurro e turchese macchiato mare.
Acqua senza marea,
incuneato Marceddì.
(sezione a, accetto il regolamento)
Sez A accetto il regolamento
“Angoli nel mare”
Divino mare
la mia anima prigioniera
ti dona il tempo a me rimasto
potesse la mia mano afferrare
I tuoi angoli segreti
Scrigni come torri che l’aurora veste
piange il mio cuore che si mostra alla luna
e tu resti amico dei miei versi
— CONTEST SCADUTO —
I finalisti riceveranno comunicazione via e-mail
Ringraziamo tutti i partecipanti.
Vista la mole sterminata di richieste di spiegazioni sul mio racconto (ehm…) do la soluzione: è un racconto di fantascienza, il corrispondente di guerra non viene dalla Siria ma da Sirio, è su un pianeta orbitante attorno alla stella che sono state scattate le foto.
FINALISTI CONTEST
SEZ. A
Ines Zanotti con “Virus santificante”
Ilse Atzori con “Isola”
Marina Cozzolino con “Fragile tempo antico”
Marco Astegiano con “Naufraghi d’amore”
Rosita Matera con “Canto di mare, di fluttuazione e di rinascita”
Mariella Foggetti con “Aria”
Achille Schiavone con “Non si accorsero”
SEZ. B
Alessio Asuni con “Ricordi della mia città”
Alessio Romanini con “A mio padre”
Luisella Grondona con “Il viaggio”
Laura Vargiu con “Il pastorello”
Maria Carmela Dettori con “Sul bastione di Saint Remy”
Rossana Emaldi con “Millenovecento”
Pietro Rainero con “Elettrodomestici in sconto”
— Si ringraziano tutti i partecipanti e si invita a visionare i bandi disponibili sulla nostra categoria Attualità/Concorsi! —
Grazie per avermi selezionata nella sezione ‘Racconti’.
M. Carmela Dettori
PREMIAZIONE OPERE:
https://oubliettemagazine.com/2023/05/27/vincitori-e-finalisti-del-contest-di-poesia-e-racconto-breve-versi-e-racconti-di-sardegna/
I vincitori saranno contattati via e-mail per la spedizione del premio.
Congratulazioni!