“Orazioni funebri” di Kurt Marti: il diritto d’asilo del denaro è santo
“nelle tue caverne/ sono ammassati i tesori del mondo/ custoditi/ da puntuali gnomi/ protetti/ da milizie e mirages/ santo, santo, santo il diritto d’asilo del denaro”
Qual è lo Stato in cui è plausibile usare “diritto d’asilo” e “santo” riferito al denaro?
Uno Stato circondato da alte montagne in cui si possono nascondere nelle cavità i tesori di tutto il mondo?
Sì, è la Svizzera, non possono sorgere dubbi a proposito.
Kurt Marti è nato il 31 gennaio del 1921 a Berna ed ivi è morto l’11 febbraio del 2017. È considerato il più importante poeta della Svizzera tedesca del Novecento e la sua bibliografia annovera vari libri di poesie, raccolte di racconti, un romanzo, scritti teologici, diari politici e studi critici letterari. In Italia è possibile trovare edito da Claudiana “Alleati di Dio. Esodo 1-14” e “La passione della parola Dio” mentre edito da Crocetti nel 2001 “Orazioni funebri” curato da Annarosa Zweifel Azzone.
Kurt Marti, successivamente alla Laurea in Teologia, collabora a Parigi con la Commissione Ecumenica per i prigionieri di guerra per poi, nel 1948, iniziare l’attività di pastore riformato che svolgerà sino al pensionamento nel 1981. Per le sue idee e per le sue proteste gli viene rifiutata la cattedra di omiletica all’Università di Berna e viene coinvolto in cause giudiziarie in seguito alla pubblicazione del suo diario politico. Si schiera apertamente contro la guerra in Vietnam, aderisce alle proteste contro le armi nucleari e l’utilizzo del nucleare, è in prima fila anche per le battaglie ecologiche, promuove una maggiore solidarietà per quello che era definito il Terzo Mondo (oggi è diventata una denominazione scomoda).
È tra i primi a lasciare la Società svizzera degli scrittori per fondare il Gruppo Olten, attivo sino al 2002 circa 400 membri; la prima presidente è stata una donna: la regista, giornalista e scrittrice Anne Cuneo (1936-2015).
“in questa ora del commiato/ in cui circa 2854 uomini muoiono di fame/ in ogni parte del mondo/ in cui piove napalm dal cielo/ in vietnam/ in cui bambini crepano tra le braccia delle loro madri/ in biafra/ in cui la gente è braccata come selvaggina/ nel sud del sudan/ in cui prigionieri sono interrogati e pestati a sangue/ nel lager dionys vicino a atene/ in cui gli aerei seminano di bombe un villaggio/ nell’angola portoghese/ in cui un detenuto viene strangolato nella sua cella/ a haiti/ in quest’ora del commiato/ lodiamo il destino felice/ di ogni uomo/ a cui è dato di morire in pane”
Laconico, scarno e ripetitivo eppure simbolico, esaustivo e vitale.
Kurt Marti non usa le maiuscole, la punteggiatura è assente, ogni sua lirica racconta la morte come inevitabile ma senza alcuna lamentazione tipica delle orazioni funebri, anzi piuttosto si incontra l’esortazione alla vita ed al prendere atto che si è vivi.
Ogni poesia presente nel libro è preceduta da alcune citazioni che introducono il tema della successiva lirica, talvolta un autore celebre come Julian Beck, Henry Miller, Lucrezio, Erich Fromm, Raimondo Lullo, Agostino; talvolta, invece, articoli del giornale, riferimenti dal Talmud, scritte sui muri di Parigi nel 1968, frasi di una casalinga colpita da un cancro incurabile.
“cosa viene dopo la morte?/ dopo la morte/ arrivano i conti/ per bara funerale e tomba// cosa viene dopo la morte?/ dopo la morte/ vengono le agenzie immobiliari/ e chiedono se la casa è disponibile// cosa viene dopo la morte?/ dopo la morte/ vengono gli scalpellini/ e si contendono l’incarico// cosa viene dopo la morte?/ dopo la morte/ arrivano gli assicuratori/ e pagano la somma assicurata// cosa viene dopo la morte?”
Le riflessioni di Kurt Marti partono dal linguaggio stesso che, se asservito al potere dell’ideologia, diventa un “sistema perfetto di menzogna”, atto all’indottrinamento del pubblico, del popolo. Per questo motivo il poeta, grazie all’usuale solitudine che lo caratterizza e che permette di cogliere ed accogliere il disagio esistenziale, si pone in una situazione di conflitto con la società. La poesia diventa gioco, diventa creare il possibile, diventa “l’arma per modificare la realtà” come sottolinea Annarosa Zweifel Azzone nella sua attenta prefazione.
“quando a vent’anni/ rimase incinta/ le ordinarono/ di sposarsi// quando si fu sposata/ le ordinarono/ di rinunciare/ a ogni progetto di studio// quando a trent’anni/ mostrò ancora spirito d’iniziativa/ le ordinarono/ di fare i lavori di casa// quando a quarant’anni/ volle riprendere in mano la sua vita/ le ordinarono/ virtù e decoro// quando a cinquant’anni/ si ritrovò delusa e consumata/ il marito la lasciò/ per una donna più giovane// cari fedeli/ noi comandiamo troppo/ noi ubbidiamo troppo/ noi viviamo troppo poco”
Written by Alessia Mocci