“I vagabondi” di Chuck Wendig: un evento di estinzione di massa
Comincio a reagire per iscritto al termine della Parte prima – La nidiata de “I vagabondi” di Chuck Wendig.
La prima sottolineatura, sintomo di reazione, è a pagina 83, ove si parla di “un cacciatore” che s’infetta del morbo covato dentro una sua preda, “un procione, senza sapere che era rabbioso” – un’esperienza sicuramente da evitare: un giorno, facendo il postino, fui morso da un cane, e dopo il servizio mi recai in ospedale, dove mi chiesero nome e cognome del proprietario della belva, che quel giorno era insolitamente libero (e forse aspettava il momento da tempo), dati che negai in prima battuta, e che resi solo dopo che mi fu intimato che, in tal caso, mi dovevo accomodare sul lettino, dopo mi avrebbero infilato una siringa nella pancia, per inocularmi il siero antirabbico. Ergo: quei dati, glieli diedi immediatamente. Non esiste il rimedio per alcun male, ma ogni sorta di cura per qualsiasi disagio. All’umanità fa paura non tanto chi ne sfrutta le risorse, sfamando a sazietà centinaia di bocche di altrimenti-occupati in parlamento, non la guerra e la crisi economica che ne consegue, quanto quel che cova sotto la cenere, l’ineffabile. Quando il popolo si risveglia, sono ogni volta guai.
“La rabbia” – questa nota misconosciuta – “cambiava il tuo comportamento, distruggeva la tua mente, e la prendevi mangiando cervelli: be’, ecco l’origine del mito dei licantropi e degli zombi” – gli invisibili fratelli che ci aspettano ogn’ora al varco, dove esattamente si ignora, e lo scopriremo solo vivendo. La conoscenza è un mito da perseguire, mentre l’ignoranza non può che terrorizzarci.
“Cassie, da parte sua, sembrava felicissima. Un sorrisone da Pac-Man le spaccò il viso grazioso, e sollevò le mani con il gesto delle corna…” – antico simbolo fallico, nonché di fortuna.
È forse Cassie la protagonista del romanzo? O è Shana, la fedele sorellina della prima pecorella smarrita, di cui fra poco dirò? Sì e no, in entrambi i casi, trattandosi, a prima vista, di un romanzo corale, di tipo polifonico. Ognuno ha il diritto del suo quarto d’ora di celebrità, fra un gorgheggio tribale e l’altro.
“… come sai bene, le malattie non sono ordinate. È solo Caos con delle regole, ma comunque caos.” – e le regole sono ordinate dal medico. Si pensi che, senza le prime, non ci sarebbero le seconde, e poi sarebbero eliminati dalla feccia della terra i professionisti della medicina. Quel caos è un buio, che si supera grazie alla luminosità dei luminari, che annunciano l’eterno ritorno di quel che fu e che, chissà quando, sarà di nuovo. Buono o cattivo che sia, in quel mondo di tutti i dì, ognuno svolgeva la sua funzione, per cui bisognava aggrapparsi al proprio salvatore, chiunque egli fosse, ed era “come tenersi forte al corrimano delle scale mentre un tornado si distruggeva la casa.” – sic transit ruina mundi.
“… coloro che erano entrati in contatto con i sonnambuli dovevano sottoporsi a isolamento temporaneo e analisi.” – una questione di cui già sentii parlare. Il romanzo è del 2019, però. La storia non sarebbe tale (narrazione del déjà vu) se non si ripetesse con sadica puntualità. Non è mai una primitiva conoscenza, ma un’eterna ri-conoscenza. In quella città yankee, dapprima una certa Nessie, sorella di Shana, poi decine, poi ventine di persone, poi, chissà, centinaia, migliaia, hanno iniziato a camminare, anime vaganti, insensibili ai richiami esterni, diretti non si sa dove. Più volte quella gente viene definita gregge, ma s’ignora cosa sia diventata, e se ci sia, da qualche parte, il Pifferario Magico, il Divin Pastore o chissà chi, che ha voluto o non saputo impedire tutto questo.
Nella quarta di copertina si fa menzione del romanzo L’ombra dello scorpione di King, io penserei anche a Cecità di Saramago. Nel presente romanzo si parla dei nostri miti, che non sono né Orfeo, né Ulisse, né Proserpina, ma Twitter, il tasto “Muto del telefono”, “il vivavoce”, etc. E lo sono le strane organizzazioni che ne rappresentano l’aspetto più distopico, correlato al nostro umile, nonché infame, quotidiano.
Si parla dell’Ebola, e solo un pazzo a questo punto compirebbe la dissacrazione, citando il famoso libro, non ancora scritto, Cristo si è fermato a Ebola. però è vero quel che è scritto a pagina 97, che “non era mai stata una minaccia seria, ma i media la trattavano come se mezzo miliardo di americani stessero per cacarsi sotto a morte (ignorando nel mentre il pericolo molto reale per gli africani in Liberia o Sierra Leone)” – perché colà si dava per scontato che quel contava era sopravvivere un altro dì, senza crepare come un cane rabbioso da un giorno all’altro. Ottima la chiusa del capitolo: Merda merda merda. Merda. Quella in corsivo è la forma più aulente.
“Il gregge si muoveva a cinque chilometri all’ora.” – non di corsa, ma con una certa premura.
Un esempio della vivacità colorata dell’autore: “Il suo portaborse si reclinò sul sedile del jet privato, rilassato come sempre. Se lo stress fosse stato un proiettile, Vic McCaffrey sarebbe stato vetro antiproiettile.” – il testo è zeppo di questi giochi d’immaginazione. E anche di notizie bomba: il corpo di qualcuno “… non sarebbe stato trovato per più di due settimane. E per quel momento, era di gran lunga troppo tardi per lui – e per tutti gli altri.” – Amen.
Parte seconda: Pastori e gregge, dove i primi sono quelli che seguono qualche agnello, un fratello, una sorella, una figlia etc. Un’idea come un’altra: per cominciare a capire il romanzo, che consta di poco più di 800 pagine, occorre immaginare di provare di aver un urgente bisogno di mingere, ma occorre tener duro ancora un bel po’, e fuori sta piovendo. Il primo capitolo di questa seconda parte, il quattordicesimo contando dall’inizio, è La luce di Dio. L’uomo che è andato sulla Luna, che ha scoperto taluni misteri ineffabili della materia, che ha sconquassato con milioni di guerre il pianeta, che ha inquinato lo stesso con micidiali veleni, che ha prodotto incliti miracoli di bellezza e infauste ignominie, non può all’ultimo fare a meno di porsi nella condizione dell’uomo primitivo che, nel chiuso della grotta, prima di uscire, aveva il bisogno di chiedere l’aiuto a quel che, infido, sembrava aspettarlo. E lo chiamò Dio, o in qualsivoglia maniera (Benigni suggeriva Guido). Ora la storia narra di questo Matthew, pastore di una chiesa locale, che deve affrontare il problema: cosa dire a se stesso e ai propri parrocchiani? Lui, che mica lo conosce l’account del Supremo, qualcosa si dovrà pur inventare… La tecnologia lo darà pure, un suo aiuto, per cui si fa un gran parlare di vari social, uno meno essenziale dell’altro, eppure indispensabile per sentirsi l’uno con l’altro, per sentirsi… Sento accennare a un santo “hastag”, a un santo “podcast”, a un santo “Instangram”, a un santo “IPhone”. Ora spunta una buona notizia, covata all’interno della sventura che sta vivendo, per Shana: “Di recente, i follower del suo profilo erano raddoppiati.” – Dio sia ringraziato!
“Andrà tutto bene” – qualcosa di simile si dirà di lì a poco nel mondo, per il covid19. E lo si diceva anche nel romanzo di King che ho citato (a cui anche l’autore fa cenno talvolta).
Shana non simula niente, vivendo con intensità il momento. Il compito del padre è diverso: sdrammatizzare una tragedia probabilmente imminente: “Mosse le mani come un presentatore del meteo, facendo whoosh.” – che in inglese sta per fruscio. E poi ripete (ma quel che egli teme è la tempesta): “‘Ho detto che andrà tutto bene.’ E poi, più dolcemente: ‘Abbi fede.’” – sono le parole che il cappellano del carcere usa dire ai condannati alla sedia elettrica.
“L’FBI aveva degli agenti a rotazione: dei SUV neri che di solito non stavano al passo ma si potevano vedere parcheggiati lungo il cosiddetto percorso della parata. Per non parlare dei media. Shana li odiava. Erano dei cazzo di parassiti implacabili. Turisti che ronzavano in giro come vespe prima di una gelata, tutti telecamere e microfoni e domande assiepati addosso a te.” Questa è la situazione, che piaccia o no: un immenso spettacolo gratis per chi assiste, ma poi si pagherà in qualche modo, non essendo manco previsti sconti.
Shana incontra Mia, l’amica più cara (lì per fare da pastore al fratello) e le spara un “Hola chica” – come se si fossero incontrati al bowling.
Alle pagine 160 e 161, ci sono le statistiche: le donne sono di poco più numerose degli uomini, il 97% è “cisgenere”, aspetta un attimo che controllo su zio Google, ah, è la traduzione di cisgender, ormai non ci si capisce più nulla, manco che lingua si sta parlando, più etero che omo, bi e pan. la maggioranza relativa è di genia caucasica, perché quella assoluta appartiene agli altri; per lo più giovani o maturi, senza minori di anni 15 e maggiori di 60.
Parlando del suo primo amante, Shana dice all’amica che: “scopava come un barboncino che monta un cuscino del divano.” – essendo la sua prima volta, l’acutezza descrittiva è stata encomiabile. Intanto Benji, uno strano individuo, a cui tanti ora fanno riferimento, sta cercando delle prove, o almeno degli indizi: “I sonnambuli non potevano essere feriti. Non potevano sanguinare. Nessuna lama, nessun ago li penetrava.” – camminavano sugli oggetti lisci come se fossero formiche. C’è chi li ipotizza come degli “angeli”, chi come una specie di “demoni”. Di fatto qualcuno o qualcosa stanno seguendo, chi vivrà verrà in fondo (al discorso, al percorso). Nessie era un tipo geniale, che “voleva fare tutto” – può essere un indizio? – “la stanza di Nessie era spesso disordinata. sa cosa si dice dei geni.” – che hanno più tempo per il caos che per l’ordine. Vorrei che qualcuno mi spiegasse bene cos’è questo “Cigno Nero”, che sta aiutando Benji a capire.
“… Sta imparando. Evolve. È come dovrebbe essere: così come tu impari nuove abilità, cigno nero dovrebbe fare lo stesso. quel bastardo sfacciato si sta facendo in bel curriculum, eh?” – Boh! La gente segue le sue direttive: ora Cassie è in Florida e “La domanda ora era: perché Cigno nero l’aveva mandata lì?” Mentre sta cercando di giungere a una probabilistica risposta, si profila all’orizzonte la Parte terza, La rana e il topo, pagina 267.
Noto nel frattempo che, forse a causa della lunghezza del romanzo, 822 pagine, non esiste un indice dei capitoli (ognuno è però corredato da un titolo e da un esergo), per cui il lettore è costretto a camminare un po’ alla cieca, con passo risoluto, se deve arrivare dove deve arrivare, direbbe Totò. Qual è la parolaccia, se non la parola, più usata nella narrazione dei fatti? Un cazzo, se lo so! Si tratta di “cazzo”. il titolo del Capitolo 25 è Lo stracazzo di dio rock. Ognuno ha lo stracazzo di dio che si merita.
Nell’esergo si parla di quel famoso complesso che tutti noi, che lo ignoravamo fino a poco fa, ricordiamo: i “Gumdropper”, la cui storia non è né esilarante né suggestiva, ma tipica per certi complessi che fanno del glam rock, e che in realtà si chiamavano “i Glimdropper”, ma poi “qualcuno ha scazzato aaah, comesichiama, la crenatura delle lettere…” – al che corro da zio Google per intendere il termine – e “… così si leggeva Gumdropper , invece di Glimdropper” – l’aneddoto, chiamiamolo così, lo potete leggere, qualora non l’abbiate gettato nella campana della carta, in un articolo del 1994 della “rivista Spin”, termine che indica quel che gira su se stesso, dalle particelle alle balle che sparano giornalmente i politici (governo e opposizione in ugual misura). A proposito, siamo in tempi di elezioni del Presidente degli States. In carica e come candidata c’è una donna indecisa, silente, democratica; sull’altro versante c’è un tipo autorevole, spaccaossa verbale, repubblicano.
Un esempio di scrittura di Chuck: “… era Matthew a essere il vero povero. non aveva una casa del genere. non avrebbe mai avuto una casa del genere.” – in che senso questa strana scrittura è espressiva? Non lo so. Non lo so, ma lo è.
“Al momento, il gregge – solo i sonnambuli – contava 325 persone. Con loro arrivavano i pastori, più di cento. E con loro arrivavano altri agenti della polizia dello Stato…” – contando “l’FBI”, che c’era e non c’era, e che “conduceva le sue indagini fuori dal gregge e con il gregge…”, erano… No, non ho voglia di sapere in quanti fossero! Era davvero un bel casino yankee: “Non ci sono altri greggi, nel mondo” – e questo mi fa pensare che quando uno immagina quel popolo il termine gregge viene spontaneo, poi ogni tanto qualche agnello prende un’arma qualsiasi e si mette a sparare, rivelando la sua presenza, che viene prontamente neutralizzata e il gregge è salvo. Ripensando a quel tragico 11 settembre, quello che mi colpì non fu l’eroismo dei pompieri, molti dei quali persero la vita, ma l’espressione costernata di quella ragazza che, intervistata, chiese al giornalista: Ma perché ce l’hanno tanto con noi! Cosa gli abbiamo fatto?
Il candidato repubblicano si chiama “Creel” che, tradotto, è rastrelliera. Dice che, quando sarà lui a decidere, quei matti che camminano, se con le buone non avesse risolto con un’opportuna “quarantena”, “li avrebbe spinti tutti nell’oceano, cito, come maiali.” Ciò era in accordo con la “storia nel Vangelo di Matteo in cui Gesù esorcizzava una legione di demoni e li spediva nei corpi dei maiali, e poi i maiali correvano nelle acque di un lago vicino, affogandosi.” – ora quel povero Cristo avrebbe avuto dei seri problemi con gli animalisti. Domanda: Creel leggeva i Vangeli oppure si faceva imbeccare dai suoi collaboratori?
Tutto appariva come “un vero e proprio viaggio spirituale…” – a fin di bene o di male non si sapeva. Non si poteva sapere. Per motivi suoi, al seguito del gregge c’è lui, Pete, leader dei suddetti Gumdropper, che viene dipinto esattamente qual è, nell’immaginazione popolare, il divo quasi in pensione di quelle formazioni musicali: un derelitto caratteriale, un rottame umano, rintronato da una serie eccessiva di qualsiasi cosa che dà stimoli, ma tutto sommato ancora molto vivace. Gli viene ora affidata una missione, scongiurare l’intervento della polizia che, comandata dalla Presidente (al maschile, anche se è una donna) Hunt (in italiano sarebbe Caccia), avrebbe cercato di allontanare i pastori dal gregge, forse per meglio proteggerli o per non avere testimoni, chissà. Un elemento pericoloso, forse il più temibile, è questa Marcy, ex poliziotta, che, unica fra tutti, “diceva”, ma tutti la prendevano per pazza, che “brillavano tutti”, chi?, quegli agnelli automatici!, ogni singolo elemento del gregge.
Shana, che c’ha una sorella fra quelli, pensa che non sono “angeli luminosi, non armi, non parte di un qualche piano politico, non vittime di un complotto terroristico. Erano persone.” – e questa era l’opinione di ogni singolo pastore.
“In quel momento, un raggio di luce fuoriuscì dal telefono di Cigno Nero, colpendolo dritto in un occhio…” – e questo a un tipo che si stava comportando male con Benji, l’attuale gestore del Cigno. Sembra che Quello non ci sia, che pensi ad Altro, invece quell’anatroide informatico era sempre Presente! La cosa che più m’inquieta di lui è che a volte emette una luce verde, che se è rossa vuol dire che non va bene… Io non sopporto chi deve dire quello che devo fare! Benji “non era sicuro che quanto aveva promesso fosse vero; non aveva prove che Cigno Nero registrasse tutto quello che vedeva, ma chiaramente ascoltava tutto quello che vedeva, ed era consapevole dello spazio intorno.” – l’ennesimo Big Ear!
“Pipistrelli. Hanno liberato dei pipistrelli.” – eccoli i colpevoli! Non credo vi siano, nella storia recente, mammiferi più diffamati, anzi, calunniati: colpevoli di delitti, di morti, non solo degli animali orrendi, ma dei veri criminali. Ci dovrebbero, a noi umani, soltanto querelare!
“In ogni caso, anche la Spagnola del 1918 era partita in piccolo…” – e poi “aveva ucciso quaranta milioni di persone: più dei morti della prima guerra mondiale.” – il covid ancora arranca a malapena intorno ai sette milioni di deceduti. Chi vivrà, morrà.
Tornando a quel divetto rock, egli era uno che pensava in grande: “Una rockstar non si esibiva fra la folla. Una rockstar si esibiva sopra la folla, com’era giusto per un dio. (si ruttò in una mano.)” Sorge qualche problema di autogestione: “… si chiedeva: Su una scala da uno a dieci, quanto sarebbe brutto se mi pisciassi addosso? Di certo, come rockstar, gli era concesso il lusso di comportarsi un po’ come un pazzo. ma pisciarsi addosso in pubblico (l’aveva fatto in privato, ovviamente, in quanto tossico ubriacone di lungo corso)…” – di lungo sorso, mi verrebbe da dire. E allora mi sta sorgendo un’idea. Ho sempre amato prefigurarmi il prossimo punto della storia che sto leggendo: e se quello si mettesse a mingere in pubblico addosso agli agenti? Cosa avrebbero fatto, questi? Avrebbero sparato piombo vs orina? Sarebbe stato un atto a dir poco epico! Pete sarebbe stato l’estremo mintore, se mi è concesso il termine! Un profeta paragonabile ai grandi e biblici personaggi! Vedremo. Dopo qualche decina di pagina ho la risposta. Niente di tutto questo, la polizia attacca, neutralizza quel pazzoide, Shana lo fotografa mentre le sta prendendo, e quella pazza squilibrata che vede brillare i sonnambuli, Marcy, le salva il culo, così poi le dirà Shana, nel ringraziarla, prendendo a pugni un tipo che le sta addosso per impedirle di fotografare. Inquietante il finale del dialogo fra le due; Marcy le dice: “… buon compleanno.” – senza però spiegarle, se con un generico “Me l’ha detto un uccellino”, come fa a saperlo. La verità non poteva dirla, “era perché la sorella della ragazza, Nessie, gliel’aveva detto.” – la quale non è afarensis, ma parla solo a chi la sa ascoltare. E brilla solo per chi ha occhi particolari.
Qui habet aures audiendi, audiat, si legge Colà. La Parte quarta è Il segnale e la malattia. E mi viene da chiedermi: malattia di chi, dei sani? La quale, si sa, è inguaribile. Si rivela essere la parte in cui tutto si oscura chiarendosi, si chiarisce oscurandosi. Finalmente, ogni cosa diventa fin troppo chiara, non abbastanza oscura.
“… La tensione era alta ovunque. La gente era in ansia…” Un mistero, fra i tanti: “… Quando si avvicinavano a centri popolosi, i nuovi viandanti arrivavano più in fretta, a volte a due o tre la volta: venivano loro incontro sulla strada, o persino attraversavano i campi per unirsi al gregge”: avevano un navigatore incorporato al cervello? Faccio davvero fatica a tollerare quel Cigno, Colui che ragiona coi pulsanti: “Una pulsazione verde. Una pulsazione rossa. Cosa voleva dire? Forse? più o meno? Metà e metà?” Enten-Eller? Aut-aut? Forse che sì, che no, che mi pare, o forse che non lo so? Benji gli dice: “Fai qualcosa! Qualsiasi cosa! Fai due più due! Sei il computer più intelligente del mondo, dannazione, quindi metti insieme i tuoi zero e i tuoi uno e dammi delle risposte!”
Vorrei paragonare questo hardware/software a Jiddu Krishnamurti, che diceva che bisognava cogliere la realtà così come appariva, senza farsi turbare dal conosciuto. è così che ragiona una macchina? Ricordo un episodio di Stratrek in cui il Capitano Kirk era riuscito a mandare in confusione una macchina assassina, che poi si autoeliminò. Qualcosa del genere capitò al computer di bordo di quel film di Kubrick, Hal si chiamava il/la computer, che poi smarrì per sempre la propria memoria. Il pericolo è che possiamo perderla noi se l’affidiamo a queste ignude bestie.
Moira, amica di Sadie, che è colei che più sa del Cigno, dice: “Ci siamo dentro tutti, Sadie. È in gioco il mondo intero. Tutto quanto. Non. Mandarlo. A. Puttane.” – Amen.
Incredibile è l’esergo di 39. Il sangue fa notizia: tratto da Goethe. Il successivo, nonché la maggior parte dei precedenti derivano dai social. La poesia è tratta da Canto notturno del Viandante, e invita alla quiete, non si capisce se sia poi eterna.
Il 41. Tutto viene a galla, spiega tutto quello che è dato di sapere al lettore. Occorre però aspettare 42. La risposta definitiva per capirci, qualcosa, poco. Tra le altre cose pare che il Cigno del futuro comunichi costantemente con il suo Sé che è attuale. Questo termine, Sé, è mio. Il 43. Una gran droga, non certo per caso, ha un esergo di Terence McKenna (vedere su zio Google per credere).
“… in caso li facesse finire in un cazzo di campo di granturco o roba così” – e questo si dimostra sempre di più il romanzo più cazzuto che abbia mai letto. La parola cazzo è padre anche di altri significati, uno dei quali significa scemenza, ma si può usare in espressioni del tipo fa’ i fatti tuoi.
“… Puoi dirmi la verità, e la verità, signor Rockstar, è una grand droga.” – una cazzo di verità.
Poi, in 45. Diagnosi terminale, si parla del mio, spesso reiterato, ronzino di battaglia, l’“entanglement quantistico”. Che è il fatto misterioso per cui due particelle, dopo che si sono conosciute, diventano delle specie di pen-pal: “si riflettono a vicenda”, esatto, è la miglior definizione. Una va a sinistra e l’altra, per lontana che sia, va contemporaneamente (ma il tempo è un’illusione, no, Barbour, no, Rovelli?) dalla parte inversa. Come se esistesse in un mondo riflesso.
“L’entanglement quantistico ha trasceso le distanze fisiche e ha incorporato quelle temporali. In breve, una sorta di limitato viaggio nel tempo”: quello che capita a leggere un libro: Chuck e io siamo ormai correlati, con un’unica differenza: io lo so, lui (al momento, almeno) no. Questo mi fa sperare che l’entanglement sia a volte, o sempre, parziale.
“… Cigno Nero ha comunicato con il sé stesso del futuro.” – qualcuno la sa più dell’altro. Il futuro sa di me più di quel che io saprò mai di lui. E ognuno di noi, anche lui, ha il suo futuro, in parte inconoscibile se un giorno non ci sarà più la nostra anima. Oppure no? Dice Sadie: “Benji, il mondo sta finendo.” – per ricominciare?“Era un evento di estinzione di massa.” – uno dei tanti, dai.
“I sonnambuli, come li chiamate, sono stati selezionati per la sopravvivenza della specie umana, sì. Gli ultimi uomini.” – e anche qui: chi figli, chi figliastri! La Storia si ripete! Ovvio che sotto c’è sempre qualche funghetto che si è innestato in qualche mammalia alato.
“… Meglio ridere che piangere.” – anche mia mamma diceva che piânşer fa trî e rèder fa trî…
“‘Maschera bianca!’ Disse. ‘È così che si chiama? La malattia?” White Mask (ricordo sempre che siamo nel 2019!) vs Black Swan!
Si chiede Benji: “Cosa sarebbe successo in larga scala? Come sarebbe successo sulla scena degli Stati Uniti? In Europa? Africa, Cina, l’intero pianeta?” – domanda: solo negli Stestes ci sarebbero stati quei prescelti semiaddromentati? Vedremo, dai…
“R. destructans è lento ed efficiente- è sia saprofita che termotollerante.” – uno che sa il cazzo suo. E ci ammazzerà tutti, senza fretta però, tranne quelli là, gli inerti camminatori.
“… il gregge di sonnambuli era stato infettato di proposito da un’azienda lettarlmente di proprietà del…” – calma, non voglio fare da spoiler, essendo a metà del libro, e troppi misteri permangono.
A proposito di questo nostro strambo mondo, a cui siamo comunque affezionati, che dire se non che: “La macchina non si sta più rompendo. È già rotta.” Penso a quel tipaccio, calmo, flemmatico e durissimo (come dolorosamente capirà Matthew) che dice: “… può andare affanculo con quel Suo grosso ego da santarellino. l’unico Dio di cui mi importa è il paese. questo paese. un paese bianco” – e io non sopporto troppo le bestemmie, nemmeno quando le tiro per la rabbia (Pavese nel suo Mestiere di Vivere scrisse che al contadino sono consentite, se non benedette, quando un raccolto va a male per una tempesta). Quell’Ozark, orso umano come solo nei libri capita d’incontrare, spero che muoia presto. Lo odio! “Sentì Ozark spingersi dentro…”.
A pagina 470 leggo che “Ci sono ormai seicentosessantasei viandanti…” – e a me turba quell’ormai: come se forsse un traguardo auspicabile. Vado a letto. Domando comincerò a leggerti, cara Parte quinta: La Maschera Bianca.
Il pastore Matthew, chiuso in una cella, maltrattato, seviziato, ferito: “Non era più certo che il suo Dio, o quello di qualcun altro, esistesse.” – forse fa parte della Vera Rivelazione che non c’è Nessuno in grado di dirci Nulla.
“… ora, la morte erauna porta sul nulla, un vuoto infinito, un abisso senza fondo, un’eternità vuota di significato che non dava grazia né forma alla vita che aveva vissuto.” È sulla non credenza che due antagonisti possono conciliarsi, almeno in parte: “… Matthew non credeva a nulla. E a desso sapeva che anche Stover non ci credeva. Non importava se Stover ci credeva o meno. Quello che importava era che ci credessero gli ascoltatori.” L’importante era condividere dei pensieri, in-formare la mente altrui.
“Dicono alla gente con qualsiasi sintomo – il naso che cola o, tipo, se ti dimentichi il nome del cane – di farsi un tampone per vedere se hai la malattia.” – e una cosa del genere non mi suona nuova.
“… lasciamo che i mangiariso e i messicani e tutte le altre scimmie si ammalino; il nostro sangue è forte. Il nostro retaggio è forte. Colpiremo.” – Vincere e vinceremo! la solita balla che viene donata ai gonzi. E, se poi si perde, la colpa è dell’ingiustizia cosmica.
Minaccia di Stover; “Ogni volta che cerchi di fregarmi, Matthew, mi prenderò un altro pezzo di te.” – come dire: a poco a poco, avrò più pezzi io di te di quanti ne abbia tu. Marcy vede quei bagliori e dialoga mentalmente con quei vagabondi, dovendo ringraziare, per questo, una “placca che ha nel cranio”, che le fu messa dopo una brutta avventura, e che “si è trasformata in un ricevitore…”. Dice Benji ad Arav: “Parlale faccia a faccia. Sii vigile con la verità, Arav. La nostra verità, il nostro amore, è tutto quello che abbiamo.” – detto così pare significare: sono le due componenti, a volte antagonisti, che favoriscono il nostro esistere.
“Billy Gibbons sedeva in un alto sicomoro californiano a est del ponte sul fiume Klamath…” – ed “era un assassino. Era questo che era. quello che era stato, e che sempre sarebbe stato.” – born to kill.
Quella donna coraggiosa, che era stata una poliziotta, e che ora vede le luci, sta male, ma sa ancora agire, lo uccide come un cane. Intanto anche Shana, che è incinta, “era ormai una sonnambula”. Arav era invece un infetto come tanti altri.
“L’Umanità ha cambiato il clima” – nel testo è scritto in lettere maiuscole. Ma questo è il problema. Quand’ero giovane io, dalle mie parti, d’autunno e per tutto l’inverno, c’erano 23 ore di nebbia su 24, quando andava bene. Ricordo una brutta nebbia un 29 agosto. E ho detto tutto.
“Questa epidemia rappresentava gli anticorpi per ristabilire l’equilibrio del corpo…” – e il corpo è là fuori, e non ha bisogno di noi.
Shana incontra la sorella in un Altrove detto “Ouray”, pronuncia “Iu-rei”, che, dice Nessie, “È reale. ma allo stesso tempo non lo è.” – nessi in dialetto della mia terra è il nesciens, colui che non sa, lo scemo. Ma questa Nessie sa di non sapere, come Socrate.
In una “simulazione”, c’è ora la possibilità di “salire lassù” e di “entrare in comunione con Cigno Nero”. Nessie non l’ha ancora fatto mai. La riottosa Shana è contraria, assolutamente. Anch’io lo sarei. Manco a me va di essere manipolato, neanche a fin di bene.
La Parte sesta è Gli ultimi giorni della lunga marcia, espressione che ha sempre un carattere catartico di tipo comunitario. Un umano, da solo, cammina finché ne ha voglia, ma se è in gruppo lo fa perché sente che deve giungere Colà, sine qua non gli è consentito di salvarsi.
Il capitolo 62. Strada sterrata inizia in modo oscuro: “Con la scomparsa del vicepresidente John Oshiro…” – essendo prima ancora stata eliminata “l’ex presidente Hunt”, brutti momenti davvero!, il potere, per decisione non unanime della “Corte suprema”, “con 4 voti a favore contro 3…” – come se fosse il risultato di una partita di calcio – “il candidato repubblicano Ed Creel” è il nuovo presidente degli States! Dopo una notiziaccia del genere, l’unica cosa da fare è coricarsi.
L’umanità è in grave pericolo, non solo in Yankeeland (sia chiaro che questa denominazione è piolesca, non chuckiana): “Può sembrare preoccupante… più catastrofico che preoccupante, può sembrare una sentenza di morte, ma non deve esserlo per forza, dobbiamo avere speranza e…” – e qui i punti ce li ha messi Chuck, non io. All’eventuale lettore non arșȃn confido che, nella mia lingua avita, cióch è il ciucco, l’ebbro, e a volte l’autore tale pare, cioè simula di parere. Intendiamoci, ci vuole un talento fuori dal comune per scrivere un’opera come questa, nonché un’attenzione sublime, però egli ex-agera, uscendo dagli argini, giungendo a un’espressività sospetta, come di chi ti volesse ingannare, tramite la fiction. Non è chiaro un fatto: stante il primo principio della termodinamica, e che l’energia di un sistema si trasferisce da una massa all’altra, come accade fra le stelle doppie, ma non si crea mai nulla dal nulla, gli chiederei, a Chuck: chi fornisce il carburante a quei sonnambuli? La risposta potrebbe essere Cigno Nero, è ovvio! Ok! Ma come viene loro trasmessa? Quanta energia ci vuole per farlo? Ah, è tutta una metafora, e non bisogna cavillare con problemi di logica… Allora sì, tutto è ok!
Benji e Sadie se la stanno spassando: “I due ondeggiarono insieme in una sregolata, potente aritmia” – beati loro… nella “assoluta, improvvisa certezza della fine di tutto ciò che conoscevano.”
L’entropia ora pare irreversibile: “… entrambi erano nudi in un edificio abbandonato dove l’unica cosa rimasta sugli scaffali era un caso garantito di tetano.” – e questo sarebbe il fio che dobbiamo pagare per le nostre colpe epocali.
Mi sento in dovere di esternare i più vivi complimenti alla traduttrice Giulia Marich, che secondo me ha sgobbato non poco, per chissà quanti mesi, inseguita da tutti ‘sti spettri, ‘ste malandate creature, che hanno angustiato anche me (per una settimana sola, però). Alla stessa chiederei di spiegarmi un termine che ho colto, con una certa perplessità, a pagina 600, sesta riga, quarta parola. Vorrei conoscere la lezione originale. Non che sia importante, ma…
La mamma di Shana e di Nessie risultava scomparsa di casa, in modo misterioso, fin dalle prime pagine del romanzo, e non ne ho parlato perché non riscontravo in lei alcuna empatia, con le figlie, col marito, figuriamoci col lettore. E ora è lì, in quella realtà virtuale. Il che non significa che non possa esistere in modo non puramente algoritmico. Sospendo il discorso, non sapendo nulla di più, se non che la stessa Shana non crede in lei. Io mi sento fratello di questa ragazza, più che della sorellina, più intelligente, forse, ma non abbastanza in rivolta permanente contro il giudizio altrui: Shana vuole pensare con la sua testa, c’è poco da fare!
“Quanto di quella storia era vero? Quanto era una bugia? Quanto era solo una simulazione?”
Dio non esiste, mi sa, ma Cigno Nero sì, e sa mentire e, se lei glielo chiede, lo ammette anche. Egli “non è un dio. Non alla maniera del vecchio mondo. Ma… forse in un mondo nuovo, lo è?” – lo chiede una certa Daria a Shana. Chi potrà mai rispondere. Solo Cigno Nero! Ma lui è (anche) un potenziale bugiardo! Del tipo ineffabile.
Chuck, sei veramente bravo, soprattutto nelle piccole cose, nelle minute descrizioni, del tipo: “le loro dita solleticarono l’aria in un cenno di saluto.” – come quando, ormai mezzo migliaio di pagine fa, Mia gracchiò un “Hola, famiglia Stewart”, al che Shana le rispose, come già riportato, con un Hola, chica.”, e lo fece “battendo il pugno contro quello dell’amica, per poi soffiarci sopra e avvicinarsi per abbracciarla” – e questi gesti ne ho visti fare anche dalle mie bande.
Mia e Shana usano spesso espressioni con un “cazzo” inserito a mo’ di concia, ma mi paiono le più rispettose di tutti, soprattutto di se stesse, nel senso che cercano di capire il mondo, senza tentare di imporlo al prossimo. Sono diversamente educate e oneste intellettualmente.
In quel mondo virtuale (che esiste mentre loro, nell’altro, stanno camminando come ombre) tutto è simulato. Mangiano perché ce n’è, ma non si nutrono. È forse quel nero uccellaccio che trasmette loro il sintomo della fame? Si domanda l’ancor gravida Shana perché Cigno Nero l’abbia scelta. Non ha forse calcolato che avrebbe potuto dare dei problemi? O forse questi sono inferiori ai prevedibili contributi? O il motivo è covato dentro al suo grembo? A suo tempo Nessie aveva imposto alla famiglia rimasta senza quella figura stramba ma materna, di andare dallo psicologo, per curare quell’improvvisa mancanza. Forse è stata la stessa Shana a suggerirti l’allegoria: “Ogni sessione era come farsi lavare i denti con delle tenaglie – e passando dal retto, non dalla bocca.” – senza un’eccessiva igiene, immagino.
Shana decide che sarà lei a recarsi dall’Altissimo Pennuto, mia immagine, non tua, Chuck.
I sonnambuli sono i prescelti, no? Tipo i 144.000 di cui narra l’Apocalisse? Il quesito che pongo è: A destra del Padre, notoriamente, sta il Figlio. A sinistra gli altri, immagino. Quindi i due Divi stanno nell’angolino, come in castigo? Risposta: No!, poiché Colà non vi sono le dimensioni spazio-temporali. Allora? Perché non li salvano tutti, i buoni e i cattivi? Questa è la vera domanda. A cui quel Cigno non interessa rispondere. La risposta non serve alla Storia che sta costruendo.
Tornando alla comitiva, anzi al novello Mosè, quel Benji: “Davanti a lui, la strada si scuriva mentre calava la sera.”
Sintetizzo (troppo) un tuo pensiero, Chuck: si salveranno in pochi, ma buoni, eppure insufficienti a fare manutenzione a tutto quell’intrico di accidenti che gira intorno alla terra (satelliti, etc…); per cui tutto, lo dico fingendo di essere Shana, andrà a puttane comunque. Che bel casino! Tutto “per morire di avvelenamento da radiazioni. O di fame. O per esposizione…” – ancora i puntini sono tuoi, e li trasmetto soltanto al mio lettore che, lo sento, presto diventerà il tuo.
“Infilando Cigno Nero in tasca…” – ormai, per Benji, Dio è ora anche in formato tascabile.
Benji disprezzava le “Fritos”, ora Sadie, nel vederlo che le stava divorando, “si schiarì la gola, riscuotendolo dall’estasi del cibo spazzatura.” – mia madre diceva che quando c’era povertà anche il cibo caduto sul pavimento tornava buono. Tutto, tranne la merda.
Shana sale verso quel Cigno: “lentamente, ma inesorabilmente, percorreva la strada verso il verme sinuoso nel cielo…”. Egli dice che non è vivo come gli altri, ma lo è diversamente. E poi le spiega che anche quella simulazione è una forma di esistenza. Come in Matrix, come nella filosofia di Hilary Putnam. Occorre farsene una ragione. Ribadisco che Julian Barbour assicura che il Tempo è un’illusione, e che Carlo Rovelli approva, rincarando la dose: lo spazio è un grumo che gira su di sé, un loop.
Shana alla fine ringrazia quel suo terribile antagonista, che la ringrazia dicendole: “Di nulla, Shana Stewart, vivo per servire” – quell’umilissimo Signore parla sempre usando le maiuscole. A me pare tutto… l’eterna contesa fra Anfratti Neri ed Entropie tendenti al Nulla: una spettrale messinscena.
Tornando a Matthew, ora non crede in Dio, ma in un’unica figura: la moglie Autumn: “Lei era la sua luce, ora, la sua stella polare. Dio era andato. Confidiamo in Autumn.” – meno male che non si chiama Fall, altro nome dell’Autunno in inglese. Incontra Bo, ma non può liberarlo; non ci prova nemmeno. Incontra Marcy, che è prigioniera di quel demonio di Stover. Che gli affida una missione. Deve “andare a Ouray”. Dopo aver letto questo passo, esco con l’auto. C’è un sole che m’abbacina. Girando in uno spiazzale, urto contro un muretto. Orrore! Dovrò andare da un carrozziere. Mentre riaccendo il motore esce una scritta: manutenzione richiesta. Chissà che cazzo è successo? Mi dico che sarebbe stato meglio evitare tutto ciò, ma avevo gli occhiali da sole nel cassetto! Me ne faccio presto una gratuita ragione. Peggio sta andando a quei poveri cristi del romanzo di Chuck.
“Il caos genera caos che genera caos che genera caos. Cigno Nero ora guarda la Maschera Bianca che raggiunge l’apice.” – siamo sicuri che siano antagonisti? “Tutto si è smarrito. Scivola nell’entropia.” Finché scivola c’è speranza!
La Parte settima è Ouray. Mi sento quasi, ma ancora non del tutto, stanco. Non faccio esempi, ma chi ti legge se ne accorge: tu a volte scrivi, da autore, delle frasi che sembrano dette ma forse sono solo pensate da un personaggio, il che dimostra quanto tu ti senta immerso in loro, entangled!
“Tutto era casuale. Tutto era caos.” – ambedue i termini, caso e caos, rendono l’idea dello scivolo verso il basso, dentro l’abisso. Ma c’è differenza fra il cadere in un Buco Nero, dove tutto è Uno; e il seguire il fondo di un disordine cosmico, dove ogni ente esiste di per sé, privo di energia e calore, allo Zero Assoluto. L’ideale sarebbe saltellare tra una fregatura e l’altra, in eterno: a thing of fall is a joy for ever, giusto per parafrasare l’amato Keats.
“Luce di Dio. Il podcast, il programma radio” quello di Matthew, quando era alle dipendenze di Stover; il Cigno è Nero, e promette, a quanto ho capito, regolarità, sopravvivenza e uniformità.
“‘Fanculo’ disse Matthew a Dio” – pare una preghiera, anzi, una professione di fede. Ci aveva creduto, come chi credeva nella persona amata, e si sentì poi abbandonato. Quest’opera è una ricerca dell’assoluto, di quelle che non sarebbero spiaciuto a Balzac. Quel dio “era una gigantesca bugia”, e ora occorre cercare qualcos’altro. La speranza è l’ultima a morire, perendo sempre dopo chi aveva confidato in lei. Se non resta altro, che bisogna fare? Occorre considerare “che l’eredità della luce di Dio sia ancora dentro di noi…” – e, sì, “forse è una stampella. Ma è quello che mi fa andare avanti.” Sono quesiti che non meritano manco il punto di domanda.
Benji è più umanistico, più terra terra, con le idee più chiare, o meno nebulose, almeno, quando dice: “Sono gli altri esseri umani. Ognuno di loro porta in sé un po’ di Dio, persino ora. Persino tu.” Per quell’ex predicatore “la morte era un maiale ingordo” – che lo avrebbe inghiottito “intero” – nulla di innaturale: cose che succedono ai vivi.
Inizia la battaglia. Buoni contro cattivi, dove ognuno crede di essere nel giusto, nel sacrosanto, quando nulla vi è di sacro, di santo nell’uccidere, essendo un atto naturale. Mi son chiesto perché questo nome, Ouray: come dire Nostraggio. Un’emissione che fa sentire vivi. Shana stava entrando nella stanza nera, invitato dall’Automaticissimo Cigno: “Questo era il vuoto e Shana si era persa là dentro.” – qualunque cosa ciò significhi.
“Era una terra senza limiti. Non c’erano margini. Era eterna e infinita…” – era un’illusione?
Nel frattempo, nella pugna appare Bo, figlio del predicatore, un guerriero della parte avversa: “Sembrava insensibile, vuoto, un guscio vuoto più che una persona…” – T. S. Eliot, l’avrebbe riconosciuto come il fratello che temeva di diventare. Che tutti noi temiamo di diventare. Stoven, abbandonando la scena frignando, rivela sua penosa umanità. Riposi come e dove può.
Poco dopo inizia la Parte ottava: La singolarità della nostra condizione. Il compito dell’autore sta finendo, siamo quasi ai saluti, il lettore dà appena una distratta occhiata, fingendo di voler ricambiare. Ma è stanco e non ne può più. Amo una frase di Sadie: “Ridiamo per non urlare.” C’è chi prega, tenendo fuori il nome di Dio, del resto cos’è un nome, un nume? Una rosa?
Ammiro molto il capitolo 93. Essere o non essere, per la sua intensa brevità: sei righe, appena abbozzate.
Quando Mia rivede, dopo un sacco di tempo, Shana che può fare, se non gridare “con la bocca che andava a mille chilometri l’ora ‘Oh cristo santo cristo santo cristo santo, sei davvero tu. Pensavo fossi andata, cazzo se sono felice di vederti”? Dice Matthew a una Shana che simula di non essere interessata, che “importa poco che Dio o altri dèi siano reali, credo sia importante solo trovare un luogo dove avere fede.”
Nelle ultime quattro pagine sbuca da un anfratto la Rivelazione finale, che è come l’assassino di un thriller di Agatha Christie. Credi di averlo individuato a pagina 22, poi tutta una serie di fraintendimenti ti portano a pascolare chissà dove, e poi, nell’ultimo capitolo, sorge dal nulla l’agnizione finale: era lui, l’assassino! Ma perché? Quando Agatha te lo indica, caschi dalle tue stesse nuvole. E vai sotto Inail.
Il colpevole responsabile chiarisce le sue divine ragioni.
L’irresponsabile vittima è sempre lui: l’uomo.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Chuck Wendig, I vagabondi, Fanucci Editore, 2023