“Serie Blu” opere di Antonio Felice La Montagna: la forza della luce ed i suoi umori
Antonio Felice La Montagna nasce a Udine, nel 1960. Docente di Analisi chimica nonché appassionato di design di interni, nel tempo, s’innamora della materia trasparente: quest’ultima diviene, per lui, oggetto di studio e corteggiamento.
Dal vetro, il suo interessa scivola sul plexiglas, che addiviene, tra le sue mani, sintesi plastica luminosa, dalle forme eclettiche. La Montagna è un ricercatore e un profondo osservatore del mondo circostante; questo lo porta ad elaborare sinossi scultoree, la cui cifra è elegante e fortemente personale.
In particolar modo, si sofferma ad approfondire la forza della luce e i suoi umori, esaltati durante l’attraversamento del plexiglass dipinto.
Ritrova, ad un certo punto del proprio percorso conoscitivo, nella pietra, la medesima duttilità della ialina realtà, ‘sì che il suo ingegno lo spinge a sposare queste due condizioni, suggellando la nobiltà delle caratteristiche di entrambe, seppur, apparentemente, così diverse.
Individua la loro radice comune: seguendo un’intuizione e approfondendone, altresì, i contenuti, lo scultore udinese trova il fil rouge tra queste due concretezze.
Nell’etimologia della parola petrolio, di cui il plexiglass è un derivato, distingue la fondatezza di una comune appartenenza; il temine “petra oleum”, ossia olio di pietra, serba, infatti, in sé, il loro materializzarsi e apparire al ciglio, seppur in tempi diversi.
In questo pensiero è insita, di per sé, la “metamorphose” ma, anche, una dottrina dai valori più alti: la continua gestazione viene plasmata, e dall’ingegno e dalle competenze dell’autore, in opere, dove egli indova, alfine, raggiungimenti conoscitivi, che allignano le proprie radici nella terra, per celebrare il futuro di una memoria, pregna di trascendenza.
Questo percorso esperienziale evolve addentro un “ipse dixit”, insito nelle verità della natura stessa, quale indiscussa e sempiterna “magistra”, e della naturalezza. Vi è, in un certo qual modo, un ritorno al rispetto del divino, che era caposaldo e oggetto di venerazione, da parte dei sacerdoti e dei popoli, letto attraverso i fenomeni naturali.
Questo legame ancestrale è preservato e rinnovato da Antonio Felice La Montagna; lo scultore sublima quest’ultimo mediante un ricercato lavoro speculativo intimo, frutto di peregrinazioni riflessive multidisciplinari, che, peraltro, permette all’uomo di riappropriarsi della propria parte sacra e superna.
Dal 2009, espone nelle gallerie d’arte e in luoghi di incontro culturale, con esposizioni personali e partecipa a numerose collettive.
Il 2016 li vede esperirsi la nelle installazioni, per coinvolgere il pubblico in suggestive ambientazioni, dove le opere possano esercitare profonde riflessioni sul senso della vita.
Dal 2019, diventa, poi, allievo di Elena Faleschini Decorato, Maestra di scultura su pietra: nascono, da questo momento in poi, opere in pietra e plexiglas dagli effetti unici e spettacolari.
Nel 2021 partecipa al 24° Simposio Internazionale di scultura del Friuli-Venezia Giulia: qui realizza un’opera monumentale in marmo con inserti di plexiglas dal titolo “Evoluzione”. Nel 2022, progetta ed esegue un’altra opera monumentale, intitolata “Maravee”, dedicata al Cav. Ing. Marco Fantoni (Marmo Lipiza Unito).
A gennaio 2023, prende parte alla collettiva “Seme”, curata dalla poetessa e critica d’arte comasca Maria Marchese, espressasi, presso Spazio San Vidal, nella città di Venezia.
La “Serie Blu”
“Aveva gli occhi blu e quel blu mi entrò nel profondo e lì restò. Ero ipnotizzato. Uscii da me stesso e mi tuffai in quel blu.” – Charles Bukowski
Bukowski racconta un colpo di fulmine subitaneo e rapinoso; l’artista udinese subisce un’eguale fascinazione, transustanziandola nella “Serie blu”.
Il 2022 vede nascere i 4 elementi di questa stagione: “Blu” (2 opere),” Ancora blu”, “Sempre più blu”. Essa è un concepimento quadrigemino, in cui La Montagna racconta l’individuo, quale infinitesimale punto, nella “blutitudine” cosmica.
Lo scultore coglie, qui, il marmo nero del Belgio, la cui struttura vetrosa gli regala un temperamento fragile e raro, come la sua lucentezza, lumeggiata da un manto unico, di un nero intenso e incontaminato; l’artista lo sceglie per interpretare la corporeità umana. Vi “contrappone” una cristallinità in plexiglass, indovandovi la parte spirituale.
Nella rettitudine di quest’ultima, l’autore infonde liquidi e cilestrini vapori, il cui calmo movimento, in espansione, suggerisce un’attività interiore, in totale armonia e distensione. Essi sono sorgente, da cui sgorgano, con la medesima forza di strali, lanciati per figgere, fendere e innamorare, sottilità blu; accade, quindi, una sorta di trasveberazione estatica, al contrario: la sua genesi nasce dall’interno, trapassando le severe carni. A contatto con l’atmosfera, le decise levità si flettono, mutando in sinuose spirali, proteste verso l’espansione e il rinnovamento.
La distanza tra l’oscuro polpa e l’ingenuità viene frantumata dal fondamento secondo cui non esiste nitore senza buio, yin senza yang, l’io senza l’altro, olio senza pietra…
Antonio Felice la Montagna elabora una consecutio plastica, nella quale l’osservatore comprende appieno mutevoli sfumature. Nella diade scultorea “Blu”, l’anima, preponderante, si impadronisce di inquiete carni, la cui lineare, seppur morbida, asimmetria scrive pagine di incerte esperienze. È la leggiadria trascendentale che conquista la materia, mentre essa scivola, via via, riconoscendosi e ricongiungendosi. La Montagna vi carezza la levità di un cauto dinamismo. La centratura avviene nell’opera “Ancora blu”, in cui perfette simmetrie esprimono equilibrio e incorruttibilità. Il rigore viene annullato dall’impalpabilità degli accordi, creati dallo scultore, nonché dalla costante sensazione, che avvolge e gli atti plastici e l’osservatore, di trovarsi sospesi, in mezzo al nulla.
Il gravame si perde, infine, nella scultura “Sempre più blu”; ivi, la marmorea severità lascia il posto alla duttile argomentazione. L’inconscio meditativo rappresenta il liquido gestazionale, che libera l’individuo dalle fatiche e, medesimamente, è nutrimento e cura.
Le opere dello scultore udinese fascinano per grazia e semplicità: poche linee celebrano suoli metafisici di grande rilievo, umano e culturale.
E se il blues è un canto triste Antonio Felice La Montagna elide il termine, per ridisegnare i profili di una dimensione feconda e gioiosa, tutta da scoprire.
Written by Maria Marchese