“La sposa della seta” di Oswald Wynd: il valore della tradizione in Giappone durante la Seconda guerra mondiale

Tra il terzo e il quarto decennio del secolo XX il Giappone vive una stagione insanguinata dalla guerra contro la Cina, confluita nel 1941 entro l’alveo della Seconda Guerra Mondiale.

La sposa della seta di Oswald Wynd
La sposa della seta di Oswald Wynd

Le fioriture dei ciliegi si avvicendano; intanto, il conflitto si protrae e sfibra il Paese, logorato da ingenti perdite umane, la popolazione stremata dalla fame. Il Sol Levante oppone al rischio di disfacimento la forza di uno spirito millenario e ritrova sé stesso grazie alla tradizione, declinata come instrumentum regni.

Oswald Wynd nasce a Tokyo nel 1913 da genitori scozzesi; egli vive in pieno le contraddizioni di questo momento storico che ispira il suo romanzo d’esordio, scritto durante la prigionia tra il 1945 e il 1946. La sposa della seta (Garzanti, 2022, pp. 347, trad. di Valeria Bastia) è il ritratto di una donna incredibilmente moderna, protagonista di un racconto di coraggio e intraprendenza, ambientato nelle magiche atmosfere del Giappone, entro la cornice plumbea della guerra.

Autunno 1939. Un vento freddo scompiglia i capelli di Omiko Tetsukoshi, appoggiata al parapetto della nave. Sta tornando in Giappone, dopo cinque anni di studio negli Stati Uniti, ed è impaziente di raccontare alla famiglia la propria esperienza. Ma, quando fa scorrere il fusuma, trova un clima molto diverso da quello che ricordava: sua madre indossa un kimono tradizionale, sua sorella ha rinunciato agli studi preferendo il matrimonio, suo padre vorrebbe darla in sposa al figlio del barone Sagami. Omi, invece, si sente a proprio agio solo quando indossa attillati abiti parigini e scarpe con i tacchi alti. Quando il Giappone entra in guerra e la città diventa sempre meno sicura, ella non ha scelta: per proteggere la famiglia diventa una sposa della seta.

Nel momento in cui rivede la costa della sua terra natale, Omi già sa che il Giappone che troverà non è lo stesso che ha lasciato, sa che una guerra infuria e quel vento soffia cambiamento entro i confini dell’Impero, delle città, delle case. Ciò che non immagina, che non può e non vuole immaginare, è che quello stesso vento è penetrato anche dentro la sua casa, una casa in cui si viveva all’occidentale; la famiglia consumava i pasti seduta a tavola, i piatti colmi di cibo straniero, e a lei era concessa un’intimità insolita per una ragazza giapponese. La sua cameretta è come la ricordava, nulla è stato toccato; l’occhio ritrova ogni particolare eppure qualcosa stride in quella normalità: è una sensazione difficile da mettere a fuoco ma palpabile.

Omi nota il cambiamento nei volti, nei modi, nelle parole dei genitori e della sorella; essi vivono come appesi a un filo, come se quel filo potesse spezzarsi da un momento all’altro e, per restarvi aggrappati, hanno adottato la strategia di sopravvivenza dei connazionali: hanno ripudiato ogni contaminazione straniera e si sono rifugiati nella tradizione. Omi ha respirato per cinque anni l’aria americana e le idee di cui essa è satura, è in quella terra che è cresciuta ed è diventata donna ma questa donna non conosce le proprie radici. Il suo dovere, come figlia del Sol Levante, è quello di impararne i costumi, le maniere, la lingua; Omi deve imparare a vivere da giapponese, a sentirsi giapponese: a essere giapponese.

Ella è la mogaru che indossa rossetto, ha studiato, si esprime in inglese e sa pensare; il gesto di sbarazzarsi delle bambole, tradizionali simboli femminili, assume un forte valore simbolico. Esso rappresenta il rifiuto delle imposizioni che vorrebbero relegarla al ruolo di fantoccio inespressivo e la rivendicazione della propria identità di donna e di essere umano. In America Omi ha imparato la più intima forma di rispetto, quella verso sé stessi; forte di questa lezione, ella sfida apertamente il padre, il quale l’ha promessa in sposa a Ishii, rampollo di una dinastia di baroni attivi nella produzione della seta.

Oswald Wynd
Oswald Wynd

Non accetta l’imposizione del matrimonio con un uomo per cui è stata scelta ma che lei non ha scelto; l’incontro con l’intermediario dei Sagami è un esame mascherato da garbata visita. A ogni sguardo, a ogni domanda dello sconosciuto monta il furore di Omi, la quale dimentica la compostezza e l’obbedienza richiesta alle ragazze giapponesi e vomita la propria rabbia. La chiacchierata contessa Kamaibashi, attiva nel sociale, fiuta in quella giovane appena tornata dall’America un’intelligenza viva rispetto alla diffusa degenerazione dei cervelli di cui soffre il Giappone. La signora è stata al centro di accese polemiche per le campagne sul controllo delle nascite ma i guai con la polizia non ne hanno spento lo spirito battagliero; la sua organizzazione ha bisogno di donne dotate di buonsenso e acume: donne come Omi. Tutte le menti brillanti della capitale prima o poi si ritrovano nel salotto della Kamaibashi; anche Ishii, lo sposo mancato.

La contessa ne tesse le lodi, con sottile malizia; è un giovane assennato, ha studiato e vissuto a lungo in Inghilterra, ha partecipato alla guerra ed è di bell’aspetto. Questo ritratto lusinghiero risveglia l’interesse di Omi, convinta di averlo perso per la propria impulsività; o forse quello spirito indomito lo ha incuriosito? I due ragazzi si conoscono presso l’ambasciata britannica; Omi si sente la persona sbagliata, nel posto sbagliato, nel ruolo sbagliato di moglie inadeguata all’uomo che ha davanti. Sicuramente egli la trova troppo audace, troppo poco timida; non le resta che scusarsi e scappare. Alcuni giorni dopo Ishii, tutt’altro che deluso, si presenta a casa Tetsukoshi; è un giapponese insolito, non nasconde i propri sentimenti, mostra un senso dell’umorismo tutto occidentale. E poi è così bello… Omi non ha più dubbi: lo sposerà. L’arresto della contessa Kamaibashi addensa nere nubi sul capo della ragazza, sospettata di collaborare con l’organizzazione; in mancanza di prove schiaccianti, Omi non viene arrestata ma esiliata nella casa di famiglia sul monte Rokko.

Durante la lunga parentesi espiatoria ella si dedica a costruire la propria identità giapponese: studia l’alfabeto, legge e scrive un libro sulla storia nipponica; l’eco della guerra appena scoppiata in Europa penetra nel suo isolamento. Dopo l’attacco di Pearl Harbour la situazione in Giappone si fa incandescente; qualcuno trama nell’ombra per approfittare della congiuntura storica e assurgere al potere.

Con la pazienza di un ragno l’abate Abono, zio di Ishii, tesse da anni la propria tela; primogenito e vero erede dei Sagami, egli scelse la vita monastica non certo per vocazione ma per aspettare, nascosto al mondo, che la propria profezia si avverasse. L’uomo aveva intuito che la nuova casta militare, erede dei guerrieri aristocratici del feudalesimo, avrebbe trascinato il Giappone in un immane disastro; il tempo è arrivato, l’America sta per schiacciare la testa della tigre. La missione dell’abate e della sua organizzazione, Resistenza in pace, è quella di ricostruire il Giappone dalle sue stesse macerie e farne la potenza egemone dell’Asia; la rinascita passerà attraverso il recupero dello spirito di consanguineità e coesione nazionale innato nel popolo nipponico, una realtà più antica del bushido, il codice militare corollario del feudalesimo.

Ishii, erede dei Sagami, è chiamato a farsi apostolo di Resistenza in pace perché la loro dinastia diventi la testa della tigre; il giovane è turbato dal progetto dello zio, che non risparmierà spargimenti di sangue. La prigionia di Omi è terminata; sola con sé stessa ha imparato dai propri errori, ha capito che per prendersi ciò che vuole deve deporre le armi e mostrarsi docile: deve fingere. Accetta la richiesta di matrimonio di Ishii; con lui si sente a proprio agio, entrambi sono stranieri in patria e condurranno una vita molto occidentale. Una vita che si rivela più felice di quanto Omi si aspettasse; ama suo marito con un’intensità che non credeva possibile, diventa madre del piccolo Ichiro, al quale si mostra come un essere umano, non come un’entità astratta e fredda a cui è attribuita l’etichetta di genitore.

La guerra prosegue, il Giappone brucia, divorato dal fuoco nemico; l’Imperatore annuncia di aver ordinato la resa ai comandanti dei suoi eserciti per porre fine a un estenuante logorio. L’abate sta per sferrare il colpo; è tempo che Ishii scriva il primo libro dell’epopea dei Sagami intingendo la penna nel sangue e nel terrore. Lo zio che pianifica omicidi per sete di potere è una radice marcita della famiglia; il suo disegno ne consegnerebbe il nome all’infamia, non certo alla gloria. La legge morale che Ishii ha in sé è più forte dell’obbligo di obbedienza dovuto al capofamiglia; egli sa come sfuggire a questo laccio per liberare il suo Paese dalle trame ordite dall’allucinata esaltazione di uno solo. Ishii è un irresoluto, si è sempre nutrito di dubbi; questa volta la decisione prende forma da sé, chiede di essere afferrata: ed egli la afferra d’impeto.

La sposa della seta di Oswald Wynd - Photo by Tiziana Topa
La sposa della seta di Oswald Wynd – Photo by Tiziana Topa

Inizia la guerra di Omi, una donna; quella che ha l’obbligo di tacere e obbedire, quella a cui è proibito pensare, quella che deve essere una bambola. Ella non ama il Giappone, non prova nemmeno affetto ma scopre di appartenervi; la lealtà verso la propria terra la spinge a combattere pur sapendo che sarà maledetta come traditrice.

Omi e Ishii introducono un elemento di crisi, nel senso etimologico di punto di svolta, rispetto alla fissità ieratica del mondo nipponico. La rigida adozione di rituali è un mezzo sacro per impedire alla gente di pensare; tutto deve restare fermo perché qualsiasi cambiamento potrebbe scatenare disordini sociali. La tradizione attinge il proprio vigore dalla paura; ogni concessione allo sviluppo occidentale è il prezzo pagato per mantenere la stabilità.

“Nel nuovo Giappone, un paese che finalmente aveva aperto gli occhi e stava tornando alla vita e alla sua designata grandezza, il fine giustificava qualsiasi mezzo. Le azioni disoneste di cui ci siamo macchiati per una cinquantina d’anni, collettivamente e individualmente, erano spronate da motivazioni sacre. Ed è proprio a causa di questo dualismo insito in ciascuno di noi, la compresenza di nobili motivazioni e gesti discutibili, che ci siamo persi come esseri umani”.

Omi e Ishii sono come i gigli arancioni e le campanule che la donna scorge sul sentiero; questi i veri fiori tipici del paese: essi crescono all’ombra del solenne crisantemo ma esprimono l’autentica anima popolare.

 

Written by Tiziana Topa

 

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