“Sul margine” di Maria Allo: una parola nuova per le fragilità umane
“Ho il peso dei sogni nelle mani
e il fuoco sulla terra” – Maria Allo
L’ultimo libro di Maria Allo, “Sul margine“, è uscito poche settimane fa per le preziose Edizioni di Interno Poesia (nella collana Interno Libri), con prefazione della scrittrice Franca Alaimo.
Maria Allo è docente, poeta e traduttrice, fortemente impegnata dal punto di vista culturale, sia nell’ambito della ricerca poetica personale, sia nella valorizzazione della poesia contemporanea, soprattutto quella greca di cui è traduttrice.
Quest’ultimo libro, di ottantotto pagine, si divide in tre sezioni: Carte sparse, C’è come un dolore, Frammenti, Resistenza; nella seconda sezione i testi poetici sono intervallati anche da piccole prose.
Come nei precedenti lavori, è possibile rinvenire nella materia poetica dei suoi versi numerosi riferimenti alla Sicilia e in particolar modo all’area etnea e del catanese, dove la scrittrice risiede. Area geografica che ha dato i natali al grande scrittore Giovanni Verga e scenario privilegiato dei Malavoglia ‘Ntoni acquista a credito un carico di lupini da vendere alla fiera dei Morti di Riposto’.
Si sente in tutta la silloge un legame indissolubile con la terra, una terra incisiva dai forti contrasti, dove domina il mare, ma anche il vulcano e la vegetazione mantiene la sua essenza selvatica. Dunque, un’isola di acqua, terra e fuoco, che è madre, a tratti accogliente, a tratti severa.
In questo scenario nasce e si compie la poesia di Maria Allo, che traspone nei suoi versi il malessere esistenziale dell’uomo contemporaneo, affrontando la solitudine e l’angoscia che minacciano l’esistenza, la precarietà umana assillata dal tempo che passa inesorabile.
“Tra noi ardono falesie chiodate/ trappole sul petto e una sola via/ scorre in verticale mentre cresce/ la contraddizione condivisa” (p.20);
“Impariamo da soli con questi corpi/ rappresi alle vertebre/ i dettagli dei nostri abissi/ rivelano chi siamo/ ombre incustodite tra atomi dispersi/ cardi smemorati sul pendio” (p.23)
Il linguaggio, a tratti aspro e contratto, ma sempre vorticoso e in costante tensione, è come se risentisse di questa sofferenza e della fatica di questo scavo interiore. L’uso della metafora e di tutta un’ampia gamma di figure retoriche, le consente di creare immagini di forte carica espressiva, con traiettorie interpretative sconfinate.
Ciò che colpisce sono i legami e le correlazioni con gli elementi che la circondano, soprattutto l’ampio corollario di vegetali (betulle, ciclamini, ortiche, asfodeli, boschi, mandorli in fiore, magnolie e radici) che diventano simboli, presenze sostitutive o in accordo con i suoi stati d’animo. Una natura che non è esteriore o contemplata dunque, ma in un rapporto di fusione viscerale con l’autrice, carica di energia e di forza vitale, fertile e creativa, nutriente e rigogliosa, e che racchiude in sé sia i caratteri poetici di grembo materno che accoglie la vita e la nutre, sia quelle più concrete della costanza, della pazienza, della forza.
“Vedi la pomelia/ pulsa con forza/ più intensamente della terra/ tra le foglie/” (p.26)
All’interno di questa matrice di dolorosa sofferenza “il dolore è un buco che divora” si delinea, un’urgenza di positività. Una speranza di salvezza, una grazia riservata a chi saprà fuggire da se stesso e dalla propria chiusura. La ricerca di un “varco”, di un cedimento che mostri il lato segreto delle cose, che disponga alla “resistenza” (“resistere è il nuovo confine”, “resistere come la ginestra sotto/ il peso franoso della luna”) e permetta di intravedere una ”luce”, nuove vie tra gli alberi.
Come scrive anche Franca Alaimo nella prefazione “Maria Allo offre, dunque, se stessa come un territorio devastato che tuttavia è chiamato dalla poesia a far fiorire luce nel buio, consolazione dallo sconforto”.
E tra i versi della raccolta si fanno strada radici pronte a germogliare “in chi ha visto tutto”:
“Cercare (…)/ in ogni fenditura o in una pagina vuota/ quando da una gioia nasce sulle gote/ una piega musicale da assaporare” (p.31)
“e anche se gli occhi non riescono a vedere/ una feritoia di luce schiude un volto/ prima della parola a metà strada” (p.27)
“i frammenti su cui costruire un riparo richiedono un inizio e la pietà aleggia velata di premonizioni” (p.39).
Si tratta di istantanee illuminazioni che possono essere indagate solo attraverso la ragione, lì dove il senso di compassione e di consapevolezza spingono da un lato alla partecipazione, dall’altro alla condivisione. Ed ecco allora l’affacciarsi e il bisogno di parole nuove (“ci vorrebbe una parola nuova/ per le fragilità umane”, “versi che imparano/ a reggere il risveglio di una luce nuova), per dare voce a quell’“io” profondo che come un fiume sotterraneo scorre dentro di noi, con i suoi bisogni e le sue urgenze. Parole orientate verso l’accoglimento di sé, dell’altro, della memoria e del mistero in cui ogni essere umano può riconoscere l’eco di sé ed identificarsi:
“Anche nella devastazione germoglia la forza/ se umana la compassione urge e ti rincorre/ se dalla bocca fruttifera la grazia/ Vedi anche i piccoli virgulti fluttuano/ nel sottobosco degli inverni senza fine/ ma il suono brizzolante di rugiada/ risveglia l’alba con la trasparenza del girasole/ che straripa nella luce di settembre/ Staccarsi da tutto per accostarsi al tutto/ forse il segreto più grande per custodire/ la vita che indomita ci appartiene” (p. 45).
Written by Maria Pina Ciancio