La casa del Tarocchi #29: “Storia dei Tarocchi” di Giordano Berti
«Cara Valeria», scrive Giordano Berti, «in questo libro c’è anche un pizzico della tua storia personale con i Tarocchi. Sono sicuro che questa lettura ti darà lo stimolo per approfondire le tue pratiche».

Un dono più grande di questo, io non me lo posso immaginare adesso, perché del mondo dei Tarocchi Giordano Berti è ed è stato per me il riferimento principale, sin dagli albori, sin dai miei primi timidi approcci alla storia delle antiche carte e ai significati simbolici che impregnano le stesse, ed è con viva emozione e grande riconoscenza che mi addentro oggi nella lettura del saggio “Storia dei Tarocchi. Verità e leggende sulle carte più misteriose del mondo”, Om Edizioni 2022. Si tratta di una nuova edizione, aggiornata e ampliata, del libro uscito tanti anni orsono, manuale guida per tutti gli appassionati all’argomento.
Nato a Bologna nel ‘59, Berti è il più noto storico dell’esoterismo nell’arte. Già direttore dell’istituto Graf di Bologna, organizza da decenni mostre storiche e convegni, tiene corsi presenziali e online sulle più diverse tradizioni simboliche applicate alla vita quotidiana. I suoi saggi, pubblicati da diverse importanti case editrici, sono tradotti in varie lingue.
Relativamente all’argomento “arcani”, lo storico ha scritto numerosi testi e tre enciclopedie. Da molti anni si occupa di riproporre le ristampe, fedeli agli originali, di antichi mazzi di Tarocchi e Sibille con Rinascimento Italian Style Art, la casa editrice che ha creato con la sua compagna, l’artista e curatrice d’arte Letizia Rivetti.
Dove e quando nascono i Tarocchi?
Misteriosa verità – sussurrano alcuni.
Segreto avvolto nelle ombre del tempo è la loro origine – immaginano altri.
Non è così, sostiene Berti, che ripercorrendo documenti e tracce come un investigatore del simbolo ci conduce nei meandri iconografici degli Arcani con rigore storico. Ci istruisce e al contempo ci illumina, ci educa ai fatti concreti senza trascurare l’amplificazione immaginale che rende ogni argomento degno di interesse, ovvero quella trama affascinante che è necessaria alla psiche per destare l’attrazione verso qualsiasi cosa, sia pure un oggetto di studio umanistico.
Come un archeologo delle origini, Berti scava nel tempo ad estrarre i vagiti di un Matto, di un Mago, del Mondo stesso, e ci offre la Luna su un piatto d’argento, quando descrive le prime carte da gioco, quando presenta i Tarocchi di Filippo Maria Visconti, di Carlo VI, mentre ci apre la porta delle prime officine dei Tarocchi e ci invita ad entrare.
Come un Maestro di giochi, ammicca all’Universo che prende forma nei mazzi didattici, come quello cosiddetto “del Mantegna”. Gira le carte sopra un tavolo di osteria, ci socchiude il regno popolare dell’alterco in Italia e, poi, in Francia.
Dettagli, minuzie, spunti, trame e tracce: non una virgola sfugge a Berti, di Trionfo in Lama, di Tarocco in Arcano.
Trovo, personalmente, il mio pane quotidiano nei Capitoli 5 e 9, rispettivamente dedicati alla scoperta dei Tarocchi nei testi di narrativa e in poesia, e all’evoluzione contemporanea dei mazzi soprattutto nell’area della teoria e della pratica psicologica.
Come esperto dell’esoterismo, con la sua cultura attenta e viva Berti ci racconta il mito dietro i Tarocchi e la realtà dentro di essi, addentrandosi nella cartomanzia, prima, e nella tarologia contemporanea. Poi, senza vocazione all’idea di indicarci un maestro piuttosto che un altro, perché l’occhio “bertiano” è principalmente scientifico, lucido nell’oscurità che questo strumento solleva quando a prenderlo in mano per rimescolare le icone sono gli idealisti della lettura di un qualche futuro ignoto.
Ci dona, però, la possibilità di trovare un senso nell’oscurità del simbolo, come quando di fronte a una favola cogliamo la grande, enorme portata dell’inconscio.
Mi soffermo sul Capitolo 9, nel quale si trova anche la citazione del mio metodo. Soprattutto mi preme dedicare a voi la possibilità di una riflessione, riportandovi le parole di Berti relative a “Carl Gustav Jung e i Tarocchi”.
«Sempre più spesso, dalla fine degli anni ’90 in poi, nei manuali sui Tarocchi si fa riferimento all’idea che queste carte siano “archetipi”. Conviene subito chiarire cos’è un archetipo. Come indica l’etimologia, viene dal greco antico archétipos, composto da arché, cioè “inizio” e typos, “modello”. Dunque, un archetipo è un primo modello, la matrice di un concetto o il prototipo di un’icona. Questa definizione – continua Berti – è sufficiente per affermare che le figure dei Tarocchi, nel loro insieme, non possono essere considerate archetipi, né dal punto di vista iconografico, essendo l’evoluzione di allegorie medievali, né tantomeno dal punto di vista psicoanalitico, in quanto non corrispondono a tipi psicologici ben definiti. Va detto che nella serie dei Trionfi ci sono effettivamente figure archetipiche, come per esempio la Madre-Imperatrice, il Padre-Imperatore, la Morte, il Sole, la Luna, le Stelle. Tuttavia, nel loro insieme, i Trionfi dovrebbero essere considerati allegorie. Ma la tendenza attuale è un’altra e in modo sistematico è chiamato in causa il “padre” della teoria degli archetipi: lo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961).»
Da terapeuta junghiana posso solo concordare con Giordano Berti. Come il noumeno kantiano, gli archetipi in sé sono inconoscibili ed è un giochino limitante dare a un’immagine il peso di tanto ignoto, il Tutto essendo troppo ampio per fissarsi in un punto senza poterne fuggire.

Seguiamo ancora Jung, attraverso Berti, nelle pagine del saggio “Gli archetipi dell’inconscio collettivo” (1954):
«Sembra anche [sono parole di Jung] che l’insieme delle immagini delle carte dei Tarocchi discenda lontanamente dagli archetipi della trasformazione. Dunque, secondo Jung, le immagini dei Tarocchi non sono affatto archetipi, bensì loro lontani discendenti. In realtà il concetto di archetipo non era ben chiaro neppure allo stesso Jung, che infatti nel corso della sua vita cercò di definirlo in modo sempre più preciso collegandolo all’inconscio collettivo ma tenendolo separato dalla biogenetica, senza peraltro spiegare il meccanismo psichico del quando e come gli archetipi verrebbero accolti nella psiche di ogni individuo. Tra i problemi dell’assimilazione dei Tarocchi agli archetipi dell’inconscio collettivo c’è anche, ovviamente, il fatto che molte di queste raffigurazioni sono totalmente sconosciute, anche solo idealmente, ai popoli della natura; pensiamo per esempio alla Ruota, alla Torre e al Carro.»
Possiamo dunque certamente proporre il termine immagini archetipiche, non di archetipi, per definire i nostri Tarocchi.
«Il 1° marzo 1933 Carl Jung parlò dei Tarocchi durante un seminario che stava conducendo sull’immaginazione attiva: le carte originali dei Tarocchi consistono nelle carte ordinarie, il re, la regina, il cavaliere, l’asso, ecc. – solo le figure sono leggermente diverse – e inoltre ci sono ventuno carte su cui sono simboli, o immagini di situazioni simboliche. Ad esempio il simbolo del sole, o il simbolo dell’uomo appeso per i piedi, o la torre colpita da un fulmine, o la ruota della fortuna, e così via. Si tratta di una sorta di idee archetipiche, di natura differenziata, che si mescolano con i costituenti ordinari del flusso dell’inconscio, e quindi questo è applicabile per un metodo intuitivo che ha lo scopo di comprendere il flusso della vita, eventualmente anche di prevedere eventi futuri, prestandosi in ogni caso alla lettura delle condizioni del momento presente. È in tal modo analogo all’I Ching, il metodo divinatorio cinese che permette almeno una lettura della condizione presente. L’interesse di Jung per i metodi divinatori si collegava anche, ma non solo, al concetto di sincronicità che andava sviluppando in quegli anni.»
I nessi simbolici evidenziati dal padre della psicologia analitica transitano nei decenni successivi dalle mani di Jung alle opere dei suoi seguaci, la Von Franz e, negli anni Ottanta, fino ad Arthur Rosengarten, il quale ne fece una tesi di dottorato e
«condusse un esperimento simile a quello descritto da Jung, in cui confrontava i Tarocchi con l’interpretazione dei sogni. I risultati dei suoi esperimenti sono raccolti nel libro Tarot and Psychology: Spectrums of Possibility (St. Paul, 2000), ristampato col titolo Divination, Synchronicity, and Psychotherapy (2002).»
Oggi, ogni junghiano che si rispetti, e non solo, non può evitare di leggere anche il saggio ricco di amplificazioni di Claudio Widmann, dal titolo Gli arcani della vita. Una lettura psicologica dei tarocchi, Edizioni Magi, 2010.
Possiamo utilizzare i Tarocchi in psicoterapia? Certamente, scrive Giordano Berti, e nella rosa dei vari modelli da lui descritti, fa capolino anche il Metodo Tarotdramma, da me creato.

«Vale la pena dire qualcosa anche del Tarotdramma, creato a Torino dalla scrittrice e psicoterapeuta di orientamento junghiano Valeria Bianchi Mian. Questo metodo ha cominciato a prendere forma a partire dal 2000 partendo dal presupposto che i Tarocchi sono attivatori per l’esercizio creativo. La Mian ha coniugato il modello formativo e terapeutico del Sociodramma e dello Psicodramma con le icone degli Arcani maggiori e minori. In pratica, accompagna i partecipanti ai suoi gruppi nell’esperienza del “diventare un Arcano”. In questo “teatro psichico” viene messa in scena la complessità del Sé e delle relazioni tra l’Io e l’Altro. Nei workshop tematici, invece, il Tarotdramma si sposa al Tarot-Telling per far risuonare nei gruppi storie di Matti e Bagatti, per supportare la scrittura poetica (Tarot Poetry) e la creazione di carte originali. Si tratta dunque di percorsi espressivi assai vicini all’art therapy della quale si è già parlato in questo capitolo. L’obiettivo della Mian è far vivere un’esperienza globale con le immagini archetipiche dei Tarocchi, anche grazie alla pratica della Mindfulness. Quindi non si tratta soltanto di fare “risuonare le immagini” per accendere il processo creativo, ma soprattutto di aiutare il soggetto a concentrarsi sul momento presente. La pratica assume in questo caso il nome di Tarotfulness.»
«Ognuno – conclude Berti, prima di invitarci a giocare questo “gioco della vita umana” – seguendo il proprio percorso, troverà nei Tarocchi ciò che va cercando, inclusa l’esaltazione del proprio ego, come dimostrano le biografie di alcuni esoteristi, capaci di sconfessare e persino di denigrare il lavoro svolto da altri studiosi venuti prima di loro, pur di imporre il proprio pensiero. Va detto che la storia dei tarocchi si alimenta costantemente anche grazie alle leggende, alle teorie più bizzarre, ai nuovi codici di interpretazione, oltre che alla reinvenzione artistica e all’uso psicoterapeutico di queste carte. Da parte mia, come storico dell’esoterismo nell’arte e appassionato “taropedista”, non posso che ringraziare chiunque contribuisca ad aggiungere un nuovo capitolo a questa storia tanto varia e avvincente. Con l’umiltà di chi accetta ogni innovazione e con il rispetto dovuto a tutte le sensibilità individuali ho scritto e riscritto questo libro cercando di abbracciare tutti gli aspetti culturali emersi dal Rinascimento ad oggi.»
Grazie Giordano Berti, per queste 370 pagine ricche di illustrazioni e di stimoli.
E buona lettura a tutte e tutti voi.
Written by Valeria Bianchi Mian
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articolo ben fatto, complimenti