“Il gran bugiardo” di Ermanno Cavazzoni: mentire è il mestiere più vecchio del mondo

Mentire è il mestiere più vecchio del mondo come lo è scrivere. Ma il mondo è davvero strano.

Il gran bugiardo di Ermanno Cavazzoni
Il gran bugiardo di Ermanno Cavazzoni

Ricevo un consiglio da un amico: leggi Vite brevi di idioti. Ricevo il consiglio da un’amica: leggi Il gran bugiardo di Ermanno Cavazzoni. Ricevo il consiglio di un secondo amico: vedi su youtube un’incontro su Gianni Celati, in cui c’è Gino Ruozzi, il tuo compagno del liceo.

Decisi di obbedire a tutti e tre i consigli. Mi occorreva un piano d’azione. Non potevo fare come l’asino di Buridano, che doveva scegliere tra due mucchi di fieno. Ne avevo tre da consumare. Mentre sto pranzando e, ascoltando il meeting su quel misterico Gianni, scopro di avere un amico di cui non so nulla, se non che è esistito, che è morto e che ora giace nella libreria del mio garage. Ora so soltanto che presto leggerò quell’unico suo libro che ho, Recita dell’attore Attilio Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto. E poi si vedrà. Mi correggo: inizio ad ascoltare l’incontro su una poltrona, continuo a farlo camminando verso la casa della mia useful, anzi, essenziale sorellina, che mi prepara quotidianamente da mangiare e, desinando, finisco di ascoltare con lei gli interventi a proposito di questo fantastico individuo. Il giorno dopo avevo intenzione di leggere il primo libro consigliatomi, ma poi intuii che sarebbe stato meglio iniziare dal secondo, testé pubblicato.

Lo inizio (e fra poco forse ne parlerò) e come mia costumanza, memore di quand’ero ragazzino e avrei voluto un quèll, cioè un qualcosa, non necessariamente un libro, magari un’enciclopedia magica in cui la vita fosse scritta mentre accadeva… come mia costumanza vado su zio Google, mio recente consanguineo, come quell’altra, zia Wiki, e vedo una faccia che non mi è sconosciuta, ma dove cavolo l’ho vista?

Poi mi ricordai. Era quel Cavazzoni (non ricordavo affatto il cognome, e ho dovuto rivedere il video per averne conferma) che, quel mezzodì disse la cosa (per me) più importante, spiegando all’uditorio che per Celati, scrivere significa svaccare, deviare il proprio cammino, e su questo Borges sarebbe senz’altro d’accordo. Con me, quel sant’uomo sfonda una stalla aperta, con la pôrta môrta ch la stà drê al pòrtegh. L’importante, ammonirebbe il Ruozzi, è non ex-agerare più del consentito, anche se sia chiaro a tutti che non vi sono regole e che nessuno potrebbe mai sancirle.

Di cosa stavo parlando, ah… di quel gran bugiardo di Ermanno, uno che la sa usare bene, la fiction. Come per tutto, e qui già svacco la mia parte, non contano le dimensioni, ma il saperlo far penetrare bene nella mente del lettore. Il libro è leggermente ipospadico, circa 200 pagine, ma il suo lavoro lo porta a termine egregiamente. Anzi… È stata una goduria!

Prima bugia che ho scritto: l’informazione sull’incontro me l’ha fatta avere Gino stesso.

Seconda bugia: inizio a scrivere la mia reazione dopo aver concluso la lettura del capitolo 24 e non so ancora come finirà l’amplesso. Ho accuratamente evitato di iniziare a scrivere dopo il 23 per l’unica ragione che quel numero, nella Smorfia Napoletana, equivale allo scemo: nun fa’ ’o 23!

Quella che ho appena scritto è la terza bugia, non voglio però indicare in quale senso. Ogni scrittura ne racchiude una. I sensi, lo spazio, il tempo: sono tutte illusioni! Se non ci credi chiedi a Julian Barbour.

Leggo in Copula Mundi di Carlo Miccio che autofiction è quando in un discorso si mescola verità e finzione, come in questo libro, come nella mia reazione meta-letteraria.C’è poi chi (Hilary Putnam) ipotizza che noi non siamo reali, ma dei meri cervelli immersi in una vasca, che s’illudono d’essere vivi, e da quest’idea è stata tratta una celebre serie di film.

Interessante questione: al momento m’interessa di più affidare una parte di verità a quello che vedo, nonché una mia immaginazione su di essa. E tutto il resto è la vita, ‘sta birbantella sconosciuta.

È l’autofiction che ci permette di comunicare con noi stessi e col prossimo. Viva l’autofiction! È come il lambrusco, così ridente. L’importante è non eccedere. Un bicchiere o due sono consentiti (e consigliati). Come la birra che, se a uno non piace, mio dio!, c’è sempre il vino a darle il cambio.

Ultima banalità: io amo autocitarmi (citarmi addosso direbbe Woody), e infatti gli ultimi capoversi li ho tratti dalla mia reazione al libro di Miccio. Per nobilitare questo mio mezzuccio, dettato da indolenza, è che questo significa utilizzare un algoritmo che permette allo scrittore di snellire il proprio lavoro di enzima letterario. Scrivere è catalizzare, e poco altro. Ed è quel poco che conta.

Vorrei palesare il fatto che ho appena concluso la prima pagina del mio programma di scrittura, e sono già andato oltre i 3000 caratteri, spazi esclusi, e non ho ancora scritto nulla dell’ultimo (il primo, per me) romanzo di Ermanno, caro amico di due miei cari amici, uno purtroppo deceduto.

È occorsa, nel frattempo, solo poco fa consapevole, una quarta bugia, che al momento non me la ricordo più, avendo appena pranzato, e avendo sorbito più di 2 e meno di 4 bicêr ‘d lambrósch.

Se do l’impressione di andare fuori tema è soltanto un’illusione, come lo è, si diceva, il tempo, perché è il tema, nonché il tempo, che fingono di scorrere fuori di me.

Ultimo, anacronistico autobiografismo, ma poi vediamo, anche perché non c’è autobiografismo che scatti in tempo reale. Anch’io ne dico (ne narro) tante, di bugie, anche se cerco in ogni caso di non recare male al prossimo, ma non sempre il destino mi aiuta. Sono le cosiddette bugie bianche. Mi iscrissi a un concorso comunale (bibliotecario): andai a giocare a biliardino durante la prova. Azzardai un secondo concorso alla Regione, la prova era a Bologna, scesi a Modena, gran bella città, con una piazza unica al mondo. Nel secondo caso la scampai, nel primo quei perfettini di reggiani m’inviarono a casa la notizia che, non avendo partecipato alla prova scritta, dovevo considerarmi escluso dagli orali. Il fatto non piacque in ambito familiare, se ben ricordo. Mio padre scosse il capo, mia madre sbraitò per cinque minuti. Poi la rabbia le passò. La bianchezza è a volte solo apparente. È come indossare degli slip candidi ed emettere una mezza scoreggina.

La prima domanda che vorrei porre all’autore, a te, Ermanno, è perché non sia un io parlante e narrante a dire la sua. Che si tratti del suo (e del tuo) ennesimo travestimento?

“… non si era ancora tolto il barbone finto da povero che alla mensa metteva per risultare credibile.” – ed è per la mia ingenuità che una volta, a Venezia, per provare l’emozione, feci un primo tentativo, per altro fallito, di chiedere l’elemosina, e mi vergognai come un ladro di monetine, per cui cessai immediatamente quel mio sogno giovanile. Ero per altro vestito da turista, ovvio che nessuno mi evacuava. Era il 1978. Avevo letto poche settimane prima una frase celebre nella seconda pagina di un Tex: l’elemosina umilia più chi la fa che li la riceve, e m’ero illuso. Per certe cose occorre nascerci o esservi condotto dalla sorte, e io mendicante non lo nacqui, come avebbe discettato Totò. Peccato, perché il fisico emaciato, allora, lo tenevo anche.

Il protagonista è un tipo che, mentre respira, racconta bugie: una specie di mio avatar. Potrebbe scriverci un romanzo se solo ne avesse il talento. Incontra Mirta su un autobus, se ne innamora, le conta delle fole. Si finge scrittore, un tale di nome Luc Barbaresco, il che mi dice qualcosa di poco allegro; lei si beve la storiella come se fosse un aperitivo.

Ne incontra una seconda, Ester, che pare quasi la prima, ma è quel quasi che lo frega: ora le dice di essere un direttore d’orchestra. Lei ci crede.

“Ma cosa gli era venuto in mente di insistere! cosa ne sapeva di orchestre e del fatto che vanno scaldate!” forse il fatto che, come previsto nella fisica particellare, esiste l’effetto tunnel… L’effetto tunnel quanto-meccanico consente una transizione a uno stato impedito dalla meccanica classica. Si tratta di un paradosso quantistico, un andare oltre la comune opinione da parte della realtà in cui si vive. Una particella non può superare una barriera, se è priva della necessaria energia. Poiché le funzioni esponenziali non sono mai riducibili a zero, deve pur esistere una pur minima possibilità che essa, prima o poi, riesca a passare. Spari un protone contro una barriera supermassiccia: il 99,99% delle volte essa sarà bloccata. L’ultimo 9 però non è infinitamente periodico, e la misura delle probabilità non sarà mai uguale a 100%: nulla lo è, ‘n coppa a ‘sta terra. Tutto prima o poi può necessariamente accadere. Ergo, accadrà. È tutto chiaro, o devo ripetere?

Nick… sei riuscito a convincere un po’ tutti: l’orchestra (soprattutto i percussionisti, meno gli archisti), il direttore artistico, il direttore titolare, che tu sei il sostituto. Non potrebbe essere, ma è.

E tutto per poter esibire alla seconda donna un fatto indiscutibile: egli è il maestro Olgiati Parenti”. A quel punto le prometti di omaggiarla di un biglietto per la prima serata del concerto.

Ermanno Cavazzoni
Ermanno Cavazzoni

“Era un immigrato in città…” – e questo serva da lezione a chi crede di essere un autoctono. In qualunque indigeno, per quanto si definisca tale ab-origine, sonnecchia, in una pur vetusta radice etnica, un immigrato doc.

Nicolino mio, emulando oppure ripetendo involontariamente la scelta esistenziale di un noto capo-popolo, almeno a quanto assicurava illo tempore al settimanale Oggi (o era Gente?) la di lui prima moglie, fingi di essersi laureato in medicina, col massimo dei voti. A me non capitò tanta gloria, perché mi limitai semplicemente a non frequentare più l’ateneo felsineo, e i miei se ne accorsero quando mi arrivò a casa la cartolina precetto: dovevo partire di lì a un mese per il CAR di Fano. Papà mio scosse la testa, mamma non disse nulla. Entrambi si erano ormai rassegnati.

Un’idea sublime ti balzecca in testa: presentare alla madre le (due) donne come le tue (due) promesse spose.

“Ecco, mamma, mi sposo, però ne sposo due, per farti ancora più contenta”: du is mej che uan!, giurava, non so quanto mentendo, una pregressa pubblicità. Dipende dal punto di vista: dalla marca di gelato, dai diversi punti di vista del gelataio e del cliente, e dalla sua glicemia, nonché dal peso del suo portafoglio.

Obietto su una tua affermazione, ragazzo. Vorresti proporre un “referendum, abolire la monogamia”, confidando nel voto “degli sposati dotati di amante” – bada bene che (moglie + amante) ≠ (moglie + moglie)! Per cui un nuovo risultato si affaccerebbe alla ribalta (moglie + moglie + amante). Brrrr….

Dopo l’ennesima smargiassata, avverti un senso d’impotenza: le tue balle ormai mentono a te stesso.  – “Questa aggiunta gli era di nuovo uscita di bocca, e lui stesso era spiazzato”.

Quando la battaglia, ancora in nuce, si profila in tutta la sua neclèinsa (cachessia) l’unica è scappare al più presto al licit (al cesso, dove tutto è lecito) o, qualora, sia ipotizzabile “in Sudamerica”, al fine di poter “seppellirsi in un termitaio”, o in na trusêra (composta di letame vaccino).

Non l’avevo ancora detto perché, a forza di sparare stupidaggini, capita di scordarsi l’essenziale: il protagonista, cioè tu, ti chiami Nicola XY, per la privacy XY, ma avresti potuto anche dire YX oppure WC, parlando poco fa del licit. XY, in un condominio dove vivacchia a sbafo e dove esercita l’attività di medico dei poveri (dei quali il primo è lui) si chiama Oscar, e secondo qualcuno è Gesù, perché raddrizza gratis non i torti ma i gobbi. Così si vocifera. Quando qualcuno vuole pagargli la prestazione, lui risponde, cristianamente: “Niente, siamo a posto.” – tutto è gratis amoris Dei. Oscar è il consanguineo di tanto Nume.

E se Ester cercava su Internet?”tra! Id est: in quel tempo, zio Google andava ancora alle elementari. Ora non ce l’avresti fatta. O tempora o balles! I social a questo servono: a fare da cassa di risonanza alla bugia popolare, ma su scala industriale. I tuoi sofismi sono fatti uno a uno a mano e dovrebbero essere protetta dalle Belle Arti, nonché dalla Lipu, nonché archiviati in un romanzo.

Stendo un velo penoso e pietoso su quanto ti accade. Sappi che io sono a ogni momento in cardacia per te (espressione pixuntiana che vale per angoscia, da cardium). Stai troppo male quando sei a un pelo dall’essere scoperto. E io m’immedesimo sia in te che in lui, Ermanno, il cui etimo da crucco è uomo d’arme, sai quello che se la dà a gambe di fronte al nemico, scagliando in terra corazza, armi e scudo, per dileguarsi più in fretta che può. Davanti a lui ci siamo soltanto tu e io.

Con Ester ce la potresti fare, potresti “darle il bacio rituale che tutto il giorno avrebbe desiderato…” – tu, che, per Ermanno, è un finto lui, “… e che forse lei si aspettava con tutte le conseguenze. Dico forse perché non ci sono prove testimoniali, e voglio dire solo la verità e i fatti accaduti.” – viviamo in un locum, ah ah ah, in cui le prove, cioè, per costruirle, occorre molta tecnologia, eh eh eh. E pure dei soldini da spendere a fin di bene, il proprio. E tu non ne hai a sufficienza, caro Ermanno. Non ne hai quasi.

Riporto le ultime righe di pagina 95, che sono fruibili anche in quarta di copertina: “I sogni sono come le bugie, che ci caschi dentro senza preavviso e non vorresti svegliarti mai più.” – la mattina dopo hai due possibilità, o vai a lavorare o sei in pensione. Ne hai tre, puoi morire di fame. Quattro, puoi rubare. Cinque, puoi raccontare bugie. Hai più tempo per raccontare balle che vita davanti a te.

Ora ti incontri con il direttore d’orchestra Olgiati Parenti, e quello che Ermanno racconta fa venire tante cose, fra cui l’orticaria e la fobia della verità, che poi entrambe passano, ma fanno venire in mente un film di Bunuel. Sono indeciso fra Il fantasma della libertà e Il fascino discreto della borghesia. Consulto i miei parenti telematici e scopro la verità: in un caso e nell’altro c’è Michel Piccoli, ma solo in uno di essi egli recita la parte del secondo questore. Analoga sensazione provai a vedere la foto in cui due papi, uno più biancovestito dell’altro, conversavano amabilmente e apparentemente. Ad Amalfi dicono far ‘a parata: esibirsi in un ruolo che non è frutto di sincerità.

Scrive Ermanno, a pagina 103:Voglio essere preciso, per non distorcere la verità.” Gli credo. Andiamo avanti, dai!

E poi, a pagina 111,Oscar, continuo a chiamarlo Oscar per comodità” – e la strada più breve, vero, Guglielmo d’Occam?, secondo la tua novacula, è l’unica corretta. Il più è trovarla, ammucciata com’è, in fondo al cosmo, oltre che giù nel pozzo. Secondo Einstein, lo spazio è curvo e la via più breve è la geodetica, che tanto retta non è. Per Artaud, “l’arte non è l’imitazione della vita, ma la vita è l’imitazione di un principio trascendente col quale l’arte ci rimette in comunicazione.” Per me ciascuna cosa è imitazione di un deja vu, e l’arte è il mestiere di chi insegue ‘sto mirabile miraggio. E lui sì che se ne intendeva, di doppiezze.

Ogni tanto hai paura di essere ricondotto alla tua condizione iniziale, che era di barbone, ricordi? Ora sei un medico, uno scrittore, un sostituto di direttore d’orchestra e, per il tuo originale, per il vero Olgiati Parenti, potresti essere un diavolo. Tu questo temi, di tornare a esser un povero diavolo, cioè un pauvre chrétien, un miserabile cretino, dopo quest’illusione che il mondo intero s’è accanito a farti vivere.

Si stabilisce una (mezza) sinergia fra te e quel mezzo doppio di te stesso, quel sedicente titolare della predella di direttore d’orchestra, che ormai è alla tua mercé, messer satanasso, ed è disposto a pagarti, ma tu, onestamente, lo avverti che non puoi far tutto: se ti “chiedeva ad esempio di superare la velocità della luce, non si poteva” – in realtà, spiegava sempre Albertino, si potrebbe anche, solo che, primo, non è per nulla facile e, secondo, si tornerebbe indietro nel tempo e questo non è che sia sempre un piacevole evento spazio-temporale.

Secondo la doxa di una bisbetica, Olgiati Parenti “si sdoppiava”, sì, è vero, quella “era una donna ignorante”, però… un po’ ci aveva preso. Anche secondo te, cioè secondo quel tuo alter ego, quel Nicola XY, ormai rischio di non raccapezzarmi più!, pareva che “ci fosse un astratto direttore d’orchestra, e lui e Olgiati potevano essere interscambiabili”.

Nicola “non si voleva nascondere, ma neanche farsi vedere” – dalla sua amata. Il problema, con una donna non è quando ti dice no, è quando ti dice sì, sarò tua, per sempre! Tipo un ergastolo! L’ideale sarebbe un sempiterno ni. Ecco, Nicolino, tu sei quello del ni, perciò tanto mi piaci, ché non crei alcuna dipendenza.

Vedi l’uomo di Ester: “Un moroso solido, faccia quadrata, fisionomia non artistica” – riesci a gabellare, in arşân è gablêr, anche lui. Dopo di cui lei ti “sembrava trepidante, e tutta sovreccitata, molto più di prima, tutta molle, odorosa e liquefatta, i baci moltiplicati.” – e l’amore è quell’energia alchemica per cui alla fine siamo tutti fusi.

Ottima la chiusa di 23.

Lei: “Mi piace dire la verità.”
Tu: “Anche a me.”

Di 24 non dico nulla: basta leggerlo.

Che distopia! Di certo lo è la storia narrata da Ermanno. Un mondo alla rovescia. Il buon e coerente Nicolino va dallo psichiatra e quello “era un uomo con la faccia da matto, e un tic che lo sfaceva gli occhi e la guancia destra.” – e le istituzioni, che dicono? Non possono biasimare l’autore? Ma com’è possibile immaginare una cosa del genere? È come affidare a un ciucco Bukowski la campagna contro l’abuso della birra. A dire il vero, una volta andai a trovare un affine ricoverato in un reparto psichiatrico, e mi capitò di conversare con un primario obnubilato da chissà quale recalcitrante spettro.

Nicolino dovrebbe dire di sé, della sua mitopoiesi acuta e al contempo, assurdamente, cronica e invece… gli dice solo che tutto quanto tocca diventa oro… e quel beota gli crede!

“Di nuovo si era cacciato in un vicolo cieco.” – si dovrebbe però dire non vedente.

“Perché?” – si chiedeva, chi è il responsabile di tutto ciò? La mia risposta è: la società. E qui annuirebbe Marcuse che, consumato un sano onanismo psicologico, diventava il filosofo più lucido di tutti. Diciamo la verità: tutti i bimbi, mio cognato per esempio, che è più bugiardo di me, qualche balla la raccontano. Trattasi spesso di una scorciatoia per salvarsi la vita. Non c’è nulla di male: è un atto dovuto. Quante bugie si dicono agli ammalati terminali? Un’assurda infinità! E sono solo parole, cantava il Moro. In inglese scherzare, sparare antifrasi, è to joke. In napoletano è: sto a jucà, ma poi quel parte-nopeo aggiunge: jamme, aggio pazziato!: cioè, per un attimo ho finto di inventar un mondo che non esiste. In reggiano si spara la verità che fa male e poi ci si difende, dicendo e schêrs, da cui deduco che il confine tra realtà e finzione è sempre sub iudice, solo che quel giudice non sta buono con ‘a capa!

Diagnosi finale del cerusico, appunto, della capa: “Complesso di re Mida”. E già quello sogna il Nobel per la medicina, per aver scoperto una nuova patologia.

Emozionante la (quasi) chiusa del capitolo: “Il saluto è stato cordiale, come due commilitoni che su due fronti diversi hanno fatto la stessa guerra.”un’inversa forma di transfert.

Questo libraccio è terribile, perché ti costringe a ogni passo a un riporto. Non mi era mai accaduto (ennesima bugia, ormai non le conto più). Finalmente ho il coraggio di affrontare il perché di quel nome dello scrittore originale, rappresentato da Nick: “Luc Barbaresco” – poi si scopre che è anch’esso uno pseudonimo, per quanto ufficialmente depositato da qualche parte. Col risultato che ora non riesco più a distinguere la smilza verità dall’obesa fantasia.

Io leggo i libri principalmente per conoscere il significato di nuove parole. A pagina 142 ri-scopro un termine che avrò sentito in vita, come minimo, dodici o tredici volte, senza mai individuarne l’esatto valore. Scommetto, caro mio trecentesimo lettore, che anche tu non lo sai.

Dico solo che, qualora un giorno dovessi affrontare un interrogatorio da parte di San Pietro, la simulerei. E vada poi come deve andare. E il lettore vada a cercare di quale parola si tratti.

A pagina 146 si assiste a un vero e proprio atto erotico: “di fatto si sono e non si sono baciati”.

A pagina 151 c’è la mia descrizione fisica e un pochino anche quella psichica.

Non era un truffatore, la sua era debolezza.” – come dire, Hitler non ce l’aveva con gli ebrei, no, lui si limitava a sognare un mondo migliore.

“… quell’ispettore che dice di essere il diavolo…” – e, in fondo, quale uomo non è composto di una parte, anche solo in dosi omeopatiche, di natura demoniaca? Gesù era solo in quel resort desertico, vero?

Io amo questo scrittore arşân! come lo vorrei invitare in Costiera se solo avessi ancora l’appoggio! Oppure a Pixuntum!

Si pensi che il 32 inizia così: “Sono corso avanti col resoconto e me ne scuso”. Amo l’estremo tentativo di Nick di rinunciare al premio, così farò io quando mi concederanno il Nobel. Ci manderei la mia con-sorte, la quale urlerebbe a squarciagola: è soltanto merito mio!, mandateli sul mio iban i soldi!: io lavavo e pulizzavo tutt’o jorno, e isso se ne steva ‘n coppa al divano a lègge!

Da casa io mi alzerò in piedi in piedi e, commosso, applaudirò…

“… gli scrittori veri sono malfermi e sensibili ai dispiaceri degli altri…” – se quelli ne fossero privi, di cosa si scriverebbe?

Ogni bugia è “una verità amorevolmente modificata” – un’umanissima e preziosissima OGM.

A pagina 172 è descritta la mia vena poetica (anche l’arteria).

“… la sua era sincerità assoluta, era uno che non sapeva fingere…” – un po’ tacendo, senza manco esercitare il mestiere di sparaballe.

Quanto leggo a pagina 175 mi fa venire in mente l’interpretazione dei multiversi di Hugh Everett III. Una particella che sta viaggiando nello spazio può finire ovunque e le equazioni della meccanica quantistica posso solo predire le probabilità che la sua direzione finale avvenga in un luogo anziché altrove. Hugh si chiese che bisognava farsene delle altre possibilità, se non ipotizzando un mondo multiplo in cui a ognuna di esse fosse concessa la chance di esistere. Anche alle quasi improbabili. È con quel quasi che si strozza la disperazione. Quesito intermedio, che fine hanno fatto Hugh Everett I e II?

Considerazione finale: ogni cosmo ha la balla che si merita.

Se non sono stato chiaro, sono disposto a ripeterlo davanti a una coda d’aragosta con cappuccino, paga Ermanno.

Intanto il cerusico meditava sul fatto dell’oro:sapeva che il piombo bombardato con neutroni può perdere tre protoni e mutarsi in oro…” – si prega di non giocarci a casa, primo perché mi sa che sia una delle storielle quantistiche che si vanno raccontando, secondo perché non vorrei che saltasse in aria il condominio.

Nick capiva di essere a un passo da un’altra catastrofe, sul filo del rasoio, tremava in cuor suo, ma le parole gli arrivano in bocca già confezionate, anche se un piccolo tremito nella mascella…” – una specie del sostituto padroncino del cane di Pavlov. Non so come mi sia venuta, questa.

Oggi è l’11.09.2001, l’euro c’è già? Sì, c’è, ma è al momento invisibile (zio Google). Ammucciato dalla banda di Francoforte.

Secondo la mia doxa, in questo libro c’è un microscopico errorino storico-economico e un impalpabile refusino (ma ci sta!) grammaticale a metà di pagina 14 è come dire: ci voglio bene a mamma! Ci sono dei puristi della lingua che non transigono su queste bagatelle. Il Gianni Celati ci avrebbe riso. Per informazione: bagatelle era un gioco di biglie in voga ai tempi di Re Sole. E così ho fatto pari e patta con quel termine assunto per sempre a pagina 142. Una parola pregna di bellezza, come ogni altra cosa, è una gioia per sempre. Così almeno scrisse John.

A pagina 204 c’è, inattesa, l’ultima cripto-agnizione (a proposito di “Fantini Dimio”).

Alla fine tutti i nodi vengono al pettine, perché sono i pettini che vengono inesorabilmente al nodo. Un po’ come l’energia e la massa, vero Albert? Come la gravitazione universale e l’entropia…

Ammirevole, infine, è l’attestata premura da parte di Ermanno di non svelare l’identità di Nick. Ora egli è felicemente sposato e, come me, tutti credono sia una persona quasi normale. Ma c’è sempre quel fatidico quasi di mezzo.

Mamma che era la più bassa filosofa del XX secolo, quando, mentre io stavo uscendo, notava che avevo la maglia alla rovescia, mi diceva: girala, dai, lo so che sono i coglioni che la mettono alla dritta, ma per una volta fai finta di essere un coglione. Col quel brioso carattere mi ha trasmesso tanta allegria, ma non vorrei che m’avesse rovinato la reputazione. Ma non credo. Anche la mamma di Nick un po’ di responsabilità ce l’ha. L’amava troppo!

Tutto è bene quel che finisce in un modo o nell’altro.

Ma come vorrei che Pirandello leggesse un giorno quest’inclito romanzo!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Ermanno Cavazzoni, Il gran bugiardo, La nave di Teseo, 2023

 

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