“Missione in Oriente – Il brutto americano” di George Englund: un indimenticabile film con Marlon Brando
“Signor ambasciatore ha qualcosa da dire? Vuole fare una dichiarazione per la televisione americana? Perderemo il controllo del paese? Non lo abbiamo mai avuto.”
Ispirato al romanzo di William J. Lederer ed Eugene Burdick, Missione in Oriente è film realizzato nel 1963 dal regista George Englund.
Sua opera d’esordio e ascrivibile al genere drammatico è pellicola che gode dell’ambientazione del Sarkhen, paese del Sud Est Asiatico dal nome immaginario ma ipotizzabile come l’odierna Thailandia.
La situazione politica del Sarkhen, all’epoca dei fatti narrati, è particolarmente travagliata a causa di una forte opposizione al governo in carica di stampo militare. In verità, in antitesi fra loro, sono due le realtà politiche coesistenti sul territorio.
Il nord del paese è controllato da forze sovietiche e cinesi, mentre il sud è guidato da un’amministrazione appoggiata dagli Stati Uniti.
Quando il paese necessita di un nuovo ambasciatore americano, a raggiungere l’Asia è Carter MacWhite (Marlon Brando) che ha l’incarico anche di mediatore.
Ovviamente, il nuovo ambasciatore è un uomo di parte, che ha lo scopo non solo di mediare, ma di risolvere una situazione politicamente instabile convincendo Deong, leader popolare nazionalista, a legittimare il regime militare filoamericano.
Arrivato in città, Mac White è accolto da manifestazioni di violenza da parte dei ribelli che si oppongono a Kwen Sai, Primo ministro in carica.
Se in un primo momento il rapporto fra MacWhite e Deong (Eiji Okada), memori dei loro amichevoli trascorsi, è idilliaco, in seguito fra i due lo scontro sarà inevitabile, in quanto l’ambasciatore considera il leader Deong un comunista. Fatto questo che mette sulla difensiva MacWhite, che si prodiga affinché il paese sia oggetto dell’influenza americana.
Deong aspira, invece, per il paese e per il suo popolo, ad un’indipendenza politica e culturale.
E, non ultimo, un certo benessere economico. Schiacciato da forze politiche diametralmente opposte fra loro, l’Unione Sovietica e la Cina da una parte, entrambe tese a sobillare una rivolta contro le forze governative, e l’America dall’altra, Deong trova nella posizione comunista una certa corrispondenza agli ideali di giustizia in cui crede, e non si lascia convincere dall’opera di persuasione di MacWhite.
Nel frattempo, l’ambasciatore, animato da assoluta convinzione democratica, si spende oltre misura per offrire al leader soluzioni propositive, affinché il paese accetti sul proprio suolo la presenza americana nella figura di Kwen Sai.
E ciò, in sintonia con l’ingegnere Atkins (Pat Hingle), la cui presenza sul territorio è motivata dalla costruzione di una strada per ammodernare il paese; mentre sua moglie (Jocelyn Brando) ha organizzato a proprie spese un improvvisato ospedale, al fine di accogliere bambini feriti e senza alcun sostegno materiale.
Ed è fra vicende private e relazioni politiche sempre più tese, che MacWhite si dibatte per non far cadere il paese in mano ai comunisti. Nonostante la violenza accenda gli animi dei molti facinorosi, seguaci di Deong, ben determinati a far prevalere le loro ragioni di indipendenza, o di supposta tale.
Indipendenza presunta, purtroppo, in quanto il progetto di Deong, il cui fine è optare il meglio per il proprio paese, viene tradito proprio da chi gli dimostra assoluta fedeltà.
“Signor ambasciatore chi ha ucciso Deong?
Un malinteso e l’incomprensione hanno ucciso Deong. Mi riferivo alla mia incomprensione. Deong aveva dentro un fuoco, un particolare sentimento che come tutti i rivoluzionari ha sbagliato ad interpretare…”
Momento clou della pellicola è il discorso politico pronunciato dall’ambasciatore dopo la tragica conclusione degli eventi. Durante il quale fa un’analisi quanto mai puntuale e precisa sugli interventi di alcune superpotenze che in passato, così come nel presente del racconto filmico, hanno messo in atto forme di imperialismo e di colonialismo, non certo edificanti per il genere umano. Lì, dove i paesi più ricchi si sono ingeriti in faccende politiche interne dei singoli paesi con scopi non soltanto umanitari.
Una denuncia coraggiosa quella dell’ambasciatore, nelle intenzioni ovviamente del regista, in cui dichiara i molti errori commessi da coloro che intervengono in territori anche lontani dal proprio ambito di competenza.
Ed è attraverso un’analisi attenta che il regista pone l’accento sulle criticità di alcune zone del Sud Est Asiatico sottoposte a ingerenze di realtà politiche in antitesi fra loro. Con scopi quasi certamente predatori, o con il fine di occupare zone d’influenza strategica con l’obiettivo di possibili espansioni geografiche.
“Ho imparato che noi siamo odiati soltanto quando smettiamo di essere quello che volevamo essere un tempo, 200 anni fa. Ora, io non me la prendo con il mio paese. Io me la prendo con l’indifferenza che alcuni dimostrano per questi principi. Se la guerra fredda terminasse in questo momento, il popolo americano continuerebbe la sua guerra contro l’ignoranza, la fame e l’intolleranza, perché è giusto combattere…”
Ottima l’interpretazione degli attori, tutti, il cui ruolo è stato sapientemente disegnato dal regista affinché si calassero a dovere nei panni dei diversi personaggi presentati in scena.
Degno di nota è l’approccio registico, peraltro coraggioso, tenendo conto del momento storico e politico in cui il film è stato realizzato. Che mette in luce il rapporto, non proprio idilliaco, fra USA e Unione Sovietica degli anni ’60, conosciuto come il periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’.
Momento, durante il quale le relazioni diplomatiche fra le due superpotenze sono state sottoposte a un continuo stato di tensione, che più di una volta ha rischiato di trasformarsi in uno scontro bellico a livello planetario. Basti ricordare la questione dei ‘missili di Cuba’ tra il 1961 e il 1962, che erano in procinto di essere installati dai russi in prossimità delle coste americane.
“Vuol dire che l’America sta perdendo la guerra fredda? Non ho detto questo…”
Missione in Oriente è pellicola finita in un oblio perché trascurata dal pubblico, e la critica non è stata troppo benevola nei suoi giudizi, stigmatizzandone alcuni aspetti; non ultimo l’interpretazione di Marlon Brando, da sempre riconosciuto come un grande interprete del cinema, definito non adeguato a interpretare il ruolo di MacWhite.
Tuttavia, a Missione in Oriente va riconosciuto il compito di aver anticipato successivi eventi politici, quale per esempio l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam, che ha determinato una guerra dall’esito catastrofico con un cospicuo numero di vittime, sia da parte americana che asiatica. Molti dei quali civili, dichiarati semplicemente quali ‘effetti collaterali’.
In buona sostanza, della pellicola Missione in Oriente si può affermare che beneficia inoltre di un contenuto di assoluta attualità. Nonostante l’ambientazione degli anni ‘60, con le questioni sociali e politiche proprie di quel periodo, la già citata guerra fredda fra USA e Unione Sovietica innanzitutto, è inevitabile un parallelo con altre situazioni politiche degli anni Duemila e oltre.
In quanto i contrasti ideologici fra le grandi potenze continuano anche oggi ad inasprirsi.
Infine, in conclusione, una curiosità.
Il primo ministro in carica nella narrazione filmica è stato anche consigliere politico per la realizzazione del film. E successivamente, nella realtà, ha ricoperto la carica di Primo ministro.
“La sua missione è stato un pieno fallimento? È stato un parziale fallimento…”
Written by Carolina Colombi