“L’amore nei pazzi e altri scritti” di Cesare Lombroso: i confusi studi possono essere china pericolosa
Il linguista e docente Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) nel novembre del 1852 scrisse in un taccuino: “Vidi oggi il giovane Lombroso, al quale i confusi studj possono essere china pericolosa. Sembra ingegno vivace. Gli consigliai quieti e profondi studj.”
All’epoca Cesare Lombroso (1835-1909) era un diciassettenne che bramava intensamente “il sapere”, irruento ed immediato cercava di soddisfare ogni curiosità fra i libri e di rendere reali i suoi sogni notturni quali l’aprire un giornale di antropologia ed il fare della propria casa un museo.
Animato da un irrefrenabile collezionismo e da quella necessità di andare oltre il velo, Lombroso divenne una vera celebrità e come tale fu adorato e disprezzato.
Un modo per fare i primi passi nell’estesa opera di Lombroso è leggere “L’amore nei pazzi e altri scritti” (Einaudi, 2022) in cui, grazie all’Introduzione firmata dal curatore Alberto Cavaglion ed al breve saggio Il Museo Lombroso firmato da Silvano Montaldo, è possibile delineare una personalità dal “multiforme ingegno” che sino alla morte dimostrò una totale dedizione alla scienza.
“Abitare una casa-museo fino a morirne, lasciare ai posteri il compito di fare di sé un reperto è un’idea rivoluzionaria che andava al di là di ogni immaginazione. Si sapeva che Lombroso lasciò ai suoi scolari il compito di sottoporre il suo cranio allo stesso esame cui aveva sottoposto Villella e di questa operazione si occupò personalmente il marito di una delle sue due figlie, ma se questo solo fosse il punto critico, non vi sarebbe molto da aggiungere.” – Alberto Cavaglion
Il coraggioso volume mostra quanto stratificato fosse il “sistema Lombroso”, quanti assemblaggi, pratiche, teorie ed esperienze eterogenee facessero parte di una struttura di pensiero organizzata ed al contempo esplosiva. I capitoli presenti sono ventinove, ognuno dei quali preceduto da una breve introduzione da parte del curatore e così denominati: Osservazioni sul mondo esterno e sull’io; Lettere alla fidanzata; Il mio museo criminale; Filologia; Cenni per una carta igienica d’Italia; L’igiene degli operai, dei contadini e dei soldati; Due dialoghi popolari sulla pellagra; Diario dell’Ospizio di San Benedetto di Pesaro; L’uomo delinquente; Il vino; L’amore nel suicidio e nel delitto; L’amore nei pazzi; Genio e follia; Sul mancinismo motorio e sensorio; Tre tribuni; Palimsesti dal carcere; Sulla medicina legale del cadavere; del delitto politico; L’uomo bianco e l’uomo di colore; Gli anarchici; L’antisemitismo; Grafologia; Delitti vecchi e nuovi; Articoli da «Il momento attuale»; A Torino; Di alcuni fenomeni ipnotici ed isterici; Medii e maghi fra i selvaggi, nei volghi e nei popoli antichi; Trucchi incoscienti e telepatici; Scelta di articoli dal «Corriere della Sera».
Un gigante schiacciato dalla sua stessa maestosa architettura, si delinea nelle pagine del libro “L’amore nei pazzi e altri scritti” una figura d’uomo caratterizzata da una mente che percorre velocemente qualsiasi disciplina sconfinando spesso da una all’altra, ed è forse questa attitudine che portò molti a dubitare del “modo di ragionare” di Cesare Lombroso ed a considerarne il “metodo” una sorta di dilettantismo.
Oggi, fortunatamente, si è mostrata maggiore pazienza nella volontà di comprensione di una struttura mentale che collegava speditamente ciò che era analizzato come simile o dissimile al di là delle separazioni che intercorrevano tra le differenti discipline. I confini, talvolta, sono dei limiti ed è necessario superarli per poter creare qualcosa di nuovo o, forse, mettere in luce ciò che fino ad allora è stato in ombra.
Il percorso proposto al lettore prende avvio mostrando una parte privata della vita di Lombroso: una selezione tratta dal suo journal intime, da un aprile del 1854 in cui si può intendere la velocità di pensiero del giovanissimo, non ancora ventenne, ed il suo particolare interesse sui sogni che non solo trascrive ma che esamina durante la veglia.
“Sogno in lingua ebraica, di essere a scuola di religione e di sentire il maestro sorgere all’improvviso e dire: «E v’hanno alcuni geni che preferiscono la prosa greca alla ebraica. Agli uni piace questo agli altri quello» e si alzava e guardava me che in parte mi godeva di essere chiamato.”
Seguono alcune lettere d’amore scritte alla fidanzata Nina De Benedetti che sposerà in sinagoga nel 1870; il terzo capitolo, invece, tratta del museo criminale e del recupero dei teschi nelle varie regioni; il quarto è un articolo di filologia scritto a 17 anni; il quinto tratta della scoperta dell’arretratezza del sud dell’Italia; e così via ogni capitolo tenta di esplicare una dimensione del vorace studioso.
Il capitolo L’antisemitismo è tra i più interessanti sia perché Lombroso fu tra i primi a denunciare il fenomeno di odio che stava nascendo in Europa ed in particolar modo in Germania sia perché riporta citazioni di altri studiosi che avevano trattato il tema della “particolarità” degli Ebrei, ad esempio Edmond Picard, Ernest Renan, e Anatole Leroy-Beaulieu.
“«Non Sono – scrive Leroy – passate che poche generazioni da quando, dietro il segnale della Francia, sono cadute le barriere del ghetto, e già un gran numero di Ebrei francesi, tedeschi, austriaci, inglesi, italiani, ecc., non solo si è stabilito nelle nostre vie e nelle nostre città, ma ha invaso le cattedre dell’Università, le scene dei teatri e perfino le tribune delle nostre assemblee politiche. In questa lotta nuova l’Ebreo appena affrancato ha preso un posto di primo acchito; egli rivalizza con noi, sul nostro terreno, nelle arti e nelle scienze più moderne, e perfino in quelle che gli eran più estranee; e, fenomeno senza precedenti nella storia, non gli è stato necessario, per questo, neppure di passare per due o tre generazioni. […] Questo successo dei Semiti nei campi più diversi sono certo uno dei principali fattori dell’antisemitismo. Per essere così pochi gli Ebrei tengono dappertutto troppo posto; essi hanno il torto di dimostrare che il numero non è tutto; e il numero non lo perdona».”
Al lettore di questo breve cenno su un volume così esteso si lascia un piccolo cadeau: qualche citazione tratta dal capitolo Genio e follia ed, infine, il consiglio di approfondire con “metodo lombrosiano” uno dei personaggi più intriganti dell’Ottocento italiano.
Citazione tratte da “Genio e follia”
“[…] Chi ebbe la rara fortuna di convivere con uomini di genio è colpito subito dalla facilità che essi hanno di interpretare, male, ogni azione degli altri, di credersi perseguitati e di trovare, dappertutto, cause profonde, infinite, di dolore e di melanconia. A tutto ciò contribuisce l’ingegno maggiore, che è più atto a trovare i lati nuovi del vero, così ad inventarsene dei falsi a conferma delle dolorose illusioni. […]
Per questa esagerata e concentrata sensibilità così difficile ci riesce il persuadere o dissuadere tanto i pazzi come i grandi uomini. Gli è che le radici dell’errore, come quelle del vero, piantandosi in essi più profondamente e più numerose che non negli altri uomini, pei quali l’opinione è come una veste, un affare di moda o di circostanza. […]
I pensatori hanno comune coi pazzi anche, la costante iperemia del cervello, il maggior caldo del capo e il freddo all’estremità – e la tendenza alle malattie acute del cervello – e la minore sensibilità agli stimoli della fame e del freddo; essi dividono coi monomaniaci la strana abitudine d’inventare delle parole speciali e delle frasi a cui annettono un tutto loro significato, come certo era vezzo di Vico, Marzolo, Bacone. […]
Anche del genio, purtroppo si disse, come del pazzo, che nasce e muore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famiglia e ai convegni sociali. Michelangelo spesso ripeteva: «Io ho troppa moglie che è quest’arte». Goethe, Heine, Byron, Cellini, Napoleone non dissero, ma fecero peggio. […]
Parecchi fra gli autori, che studiarono se stessi e parlarono del loro estro, ce lo dipinsero come una dolcissima febbre, durante la quale il loro pensiero diviene involontariamente e rapidamente fecondo, e scoppia come scintilla da tizzone squassato. […]
I concetti più grandi, dunque, dei pensatori, preparati, per dire così, dalle già ricevute sensazioni e dallo squisitamente sensibile organismo, scoppiano d’un tratto – svolgonsi quasi involontari, come gli atti impulsivi dei maniaci. […]
È verissimo, d’altronde, che nulla somiglia più ad un matto, sotto l’accesso, quando un uomo di genio, che mediti e plasmi i suoi concetti. […]
Written by Alessia Mocci