“Manifesto dei conservatori” di Roger Scruton: l’originalità esiste e vive all’interno della tradizione

“Una società di cittadini è una società in cui gli estranei possono fidarsi gli uni degli altri poiché tutti hanno obblighi stabiliti da un insieme comune di regole. Ciò non significa che non vi siano ladri o truffatori: significa che la fiducia può svilupparsi fra estranei e non dipende da legami familiari, lealtà tribali o favori, siano essi concessi od ottenuti.” – Roger Scruton

Manifesto dei conservatori di Roger Scruton
Manifesto dei conservatori di Roger Scruton

“A Political Philosophy” (tradotto da Raffaello Cortina Editore con “Manifesto dei conservatori”) è un saggio del 2006 del filosofo britannico Sir Roger Vernon Scruton (1944 – 2020) facente parte dell’ampio corpus di oltre cinquanta libri pubblicati nel corso della sua vita (testi di filosofia, musica, letteratura, cultura, arte, religione, politica). Scruton è stato un esponente del conservatorismo tradizionalista ed, in quanto tale, si adoperò per difendere i valori che attribuiva alla cultura occidentale.

Il saggio scritto con passione ed arguzia, seppur datato, è di notevole interesse per il lettore odierno perché le tematiche affrontate sono diventate fonte di profonda divisione per le popolazioni di ogni nazione dell’Occidente. Divisione che sempre più sta degenerando in un sentimento simile all’odio per il quale, se non invertirà la rotta nel salutare dia-logos fra posizioni opposte, si potrà presto incorrere a fatti simili a quelli che hanno macchiato di ignominia le pagine dei libri di storia.

Anche se non si è in accordo con le tesi enunciate da Scruton non si può marchiare il libro come “estremista” perché i ragionamenti discussi cercano l’incontro con l’altro e mostrano possibili vie di integrazione per la salvaguardia della cultura europea (dalla Grecia antica ai nostri giorni). Quasi pare quel cigno che, nell’aspro suolo parigino, tende il collo al cielo alla ricerca di acqua.

Il volume è suddiviso in undici capitoli così denominati: Conservare le nazioni; Conversare la natura; Mangiare i nostri amici; Morire dolcemente; Il significato del matrimonio; Spegnere la luce; Religione e Illuminismo; La tentazione totalitaria; Neolingua ed eurocratese; La natura del male; Eliot e il conservatorismo. Si denota un ampio spettro di indagine che non nasconde una scontentezza per il modo in cui l’Unione europea (da intendersi come una unione sovranazionale di carattere politico ed economico) agisce con gli Stati membri. Basterebbe la battuta sul poeta latino Terenzio Afro[1] per far capire il tono dell’autore ma ciò che forse si vuole evidenziare è il profondo dualismo esistente nell’essere umano verso il quale è necessario porre considerazione: anche i “guardiani” possono essere corrotti e possono corrompere come qualsiasi altro essere umano.

“Kant è l’autorità abitualmente citata in difesa del governo transnazionale: nel suo “Per la pace perpetua” ha propugnato una Lega delle Nazioni come mezzo per garantire una pace permanente nel mondo civilizzato. Gli stati membri della Lega, nazioni sovrane, avrebbero dovuto sottomettersi a una giurisdizione comune, fatta rispettare da sanzioni, con il proposito di assicurare l’appianamento delle controversie con la legge e non con la forza, di rimediare i torti e punire le ingiustizie, nell’interesse di un ordine a vantaggio di tutti. […] Kant ha anche sostenuto che il tipo di diritto internazionale necessario alla pace «presuppone l’esistenza separata di molti stati indipendenti [… uniti in] una federazione per evitare che si scatenino le ostilità». Questo stato di cose è da preferirsi a un «amalgama di nazioni separate sotto un singolo potere».”

Roger Scruton
Roger Scruton

Ciò che Scruton evidenzia, citando il filosofo Immanuel Kant, è il punto in cui siamo arrivati, cioè una giurisdizione subissata da leggi che non appartengono a coloro che dovrebbero rispettarle, e questo non può che degenerare in dispotismo e successivamente in anarchia.

L’eutanasia è una delle spinose tematiche affrontate nel volume, spinosa perché c’è un grosso divario fra coloro che sono a favore del praticarla ed inserirla in un apparato concreto di leggi e coloro che invece sono sfavorevoli. Ammetto che personalmente è stato illuminante leggere il capitolo Morire dolcemente perché ho realizzato di aver portato avanti negli anni una opinione superficiale della possibilità o meno di eutanasia; superficiale in quanto non mi sono mai posta il problema di un possibile crimine nei confronti di una persona gravemente ammalata. Ritengo ancora che sia “corretto” che una persona sia in grado di decidere della propria vita perché io stessa vorrei poterlo fare (e la tradizione di questa pratica è insita nella nostra società, basti pensare ai compiti di una figura della Sardegna: s’accababora) ma solamente in un mondo in cui tutto procede nell’educazione all’amore si avrebbe un esito positivo. Scruton, invece, pone la questione dal punto di vista “reale” e cioè di una famiglia interessata ad ottenere l’eredità della persona sofferente.

“Il conflitto sull’aborto si focalizza sulla natura e il significato della vita; quello sull’eutanasia sulla natura e il significato della morte.” – Roger Scruton

Se si è ragionevolmente scossi dall’acuta riflessione sull’eutanasia, non si riesce a simpatizzare per la relazione con l’aborto, perché i due argomenti hanno “natura” diversa e, in questo caso, ritengo che Scruton sia stato superficiale nel trattare della libertà del corpo della donna, perché la gravidanza non è sempre un gioco a lieto fine, bisogna prendere in considerazione le aspirazioni di una donna, la sua necessità di maternità, la sua propensione al voler far parte di una famiglia, e tutte quelle ripercussioni fisiche e psicologiche che avvengono durante e dopo la gestazione. Similmente all’eutanasia, l’aborto è una pratica della società che prima avveniva in modo illegale e con dubbi metodi che garantivano pericoli per la donna, oggi essendo “legale” si ha maggior attenzione e minor rischio. Detto questo non ritengo che le donne prendano alla leggera l’interruzione dello stato interessante: la τέχνη anche in questo caso ha prodotto i contraccettivi per evitare il “problema”. Uno Stato che aspira ed opera nel bene comune di ambo i sessi deve dare la possibilità di scelta, perché bisogna ripeterlo: non viviamo in un mondo nel quale ogni essere umano fa coincidere il proprio interesse con quello altrui.

Un plauso per l’ironia presente nei capitoli Religione e Illuminismo e Neolingua ed eurocratese, purtroppo il libro “Imposture intellettuali” di Alan Sokal e Jean Bricmont, edito da Garzanti nel 1999, consigliato come lettura in una nota non è disponibile in commercio ma presente solo in versione scannerizzata su Monoskop.

La parte finale del volume è quella che bramavo maggiormente perché dedicata al poeta e saggista statunitense (naturalizzato britannico) Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965), della quale vorrei sottoscrivere la quasi totalità del pensiero espresso da Scruton che mi ha portato al cogente bisogno di leggere “Il bosco sacro – Saggi sulla poesia e la critica” (Bompiani 1967; titolo originale “The Sacred Wood” del 1920) che, a sua volta, mi ha disposto alla rilettura delle opere di William Shakespeare in mio possesso.

“Secondo Eliot non è un caso fortuito che critica e poesia spesso si accompagnino nello stesso intelletto, come nel suo caso o in quello di Coleridge, che egli ha eletto a migliore dei critici inglesi. Come il poeta, il critico si preoccupa di sviluppare il ‘buonsenso’ (sensibility) del suo lettore, un termine con il quale Eliot intendeva una sorta di intelligente osservazione del mondo umano. […] La vera originalità è possibile solo all’interno di una tradizione e ogni tradizione deve essere ri-costruita dall’artista mentre crea qualcosa di nuovo. La tradizione è qualcosa che vive e, proprio come ogni scrittore viene valutato paragonandolo a chi lo ha preceduto, così il significato della tradizione cambia man mano che vi vengono aggiunte nuove opere. […] Il suo rifiuto di indossare la veste del bohémien, di porsi sul capo la scintillante corona dell’artista o di deridere lo stile di vita “borghese” lo contraddistingue dalla tradizione continentale per la quale si era tanto adoperato: aveva ben capito che, nel mondo moderno, il vero compito dell’artista non consiste nel ripudiare, bensì nel riconciliare. […]” – Roger Scruton

Riconciliare.

Il consiglio per quanto riguarda gli interessi della società (e dunque la politica) è di evitare un atteggiamento che mira allo sbeffeggiare gli esponenti dei partiti avversari sia perché è un “cattivo” esempio verso i più giovani sia perché non reca alcun vantaggio per la società intera. È bene che in uno Stato (ed in una comunità) ci siano pareri diversi, ma non è un bene che non sia dialogo fra queste posizioni o che si prenda di mira una persona per l’abbigliamento, il corpo, l’inflessione linguistica, la professione et cetera perché sono espressioni dell’ego che possono essere tollerate in età puerile (seppur denunciate come errate da un insegnante) ma che non dovrebbero essere presenti con il manifestarsi dell’età adulta.

I partiti politici non sono squadre di calcio, e coloro che sono chiamati al voto dovrebbero poter scindere il proprio pensiero da quello della persona che di mestiere fa il politico; l’unico modo per attuare la creazione e la protezione di una società fondata sulla tolleranza delle diversità è un portamento critico, all’interno della fazione politica di appartenenza e di quella avversaria, in virtù della volontà di arrivare ad una “sintesi”.  

“Tacuit et fecit”

 

Written by Alessia Mocci

 

Note

[1] Scruton cita la famosa domanda di Terenzio Afro “Quis custodiet illos custodes?”, in traduzione: “Chi farà la guardia a quei guardiani?”.

 

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