“Color Tex – Yavapai e altre storie”: cinque avventure del mitico ranger
Ogni recensione, che io chiamo vezzosamente reazione, si occupa di uno spazio/tempo a me sconosciuto, una pianura brulla e sterminata, una densa e infida foresta (dove si usa il machete per proseguire), una valle incantata e misteriosa, una magica e briosa sorgente, oppure, come in questo caso, un’idrosfera, cinque rivi strozzati che gorgogliano, per poi immettersi in un fiume texano che condurrà i nostri impavidi eroi e i loro attenti lettori nel mare nostrum bonelliano.
Il Color Tex “di 160 pagine!” – il punto d’interezione rosseggia fiammante in copertina – presenta cinque storie di vari autori, ognuna delle quali offre l’ennesima replica (repetita semper iuvant!) di alcuni temi texiani, ognuno col suo algoritmo, la formula narrativa necessaria per determinare l’esattezza del calcolo che conduce l’evento spazio-temporale al suo necessario compimento.
La prima avventura offre i disegni e i testi (e credo di aver capito anche i colori) di Majo (Mario Rossi), e s’intitola Yavapai.
Il viso pallido di quello spazio-tempo (west di fine ’800) tende a distruggere i popoli nativi, senza nemmeno guardar loro in faccia, senza distinguere, per esempio, fra i bellicosi apache e i pacifici yavapai che, come scopro dal sempre fedele pard Uncle Google, sono l’antico popolo del sole, residente da tempo immemorabile nella rocciosa e un po’ desolata Arizona.
Lo dico per chi non fosse Tex-addict come lo è il sottoscritto: il mitico ranger è nativo di quelle zone anche se viene talvolta definito texano, ma soprattutto “straniero” e, a volte, “bastardo”.
Al termine di semplici ma al contempo complessi calcolati basati sulla precisione del winchester di Tex e di Tiger Jack, a pagina 34, giustizia è fatta, espressione che pare ed è una formula di rito.
Accade qui, però, una rarità: il capo dei militari ammette di aver compiuto un tragico errore, per cui la sua colpa viene automaticamente cancellata dal suo pentimento.
Chi è morto giace e chi sopravvive passa al secondo racconto, che ha i testi di Moreno Burattini e i disegni di Frederic Volante e s’intitola Il Professionista.
Il padrone di San Francisco, come sovente capita, spadroneggia indisturbato, almeno fino all’arrivo del Nostro ma, dopo la solita, catartica, sparatoria è neutralizzato dai due ranger.
Questa volta Tex è assistito dal pard di sempre, Kit Carson, a cui si deve una funerea considerazione: “Hai fatto un bel cimitero!” – al che il virtuoso Tex ammette di aver sbagliato di un pelino i calcoli: “Purtroppo ce ne sarebbe servito uno vivo!”
Poco dopo, col suo solito genio, il sachem dei Navajos rimedia all’errore, per cui il killer del signorotto prepotente, “pur di non finire sulla forca sta già raccontanto come…”.
Passiamo ora alla terza storia, Falsa accusa, con testi di Claudio Nizzi e disegni di Giorgio Gualandris.
Solito signorotto prepotente, solita candida vittima, all’ultimo momento salvata dal capestro dal nostro eroe. Come in numerosi déja-vu, un’incredibile fucilata spezza il nodo scorsoio che stava impiccando il condannato innocente.
Poco dopo, dissimulando la propria identità, il nostro eroe gioca una partita a poker col cattivo di turno. Finalmente, dopo oltre 70 anni, Tex riesce ad ammettere, ma solo fra sé e sé: “Tu non lo sai, grand’uomo, ma hai invitato una volpe nel pollaio. Se fosse qui il vecchio Carson, ti spiegherebbe che sono un celebre baro che nessuno ha mai colto in fallo.” – nemmeno il lettore.
E qui sorge una questione morale: è lecito barare a fin di bene?
La risposta è come bucherellata sulla parete con la colt.
Il quarto episodio è Il sicario, con testi di Antonio Zamberletti e disegni di Emanuele Barison.
L’anima di un certo Banks, un presunto furfante (e che è tale se ne avrà la prova alla fine), viene curata e redenta da dei monaci (“fratello Estegan” e C.), mentre al suo corpo andrà un po’ peggio.
Ad altri lestofanti spetta una minor fortuna, in quanto i due pard li crivellano di colpi.
Si badi che per scelta esistenziale essi non sparano mai per uccidere se non sono a loro volta messi sotto tiro dai nemici.
Se poi il bandito non capisce quel che gli conviene fare (arrendersi senza por tempo in mezzo), eventuali ricorsi giudiziari potranno essere presentati direttamente a Satana in persona.
Dopo la solita ammazzatina per legittima difesa, un allibito Padre Esteban, che se l’era vista brutta, domanda candidamente a Tex: “Vi ha forse mandato il cielo?” e, mentre un altro frate sta orando per un criminale caduto, Carson lo avverte: “Dite a quel fraticello di non darsi troppa pena, Padre! Vade e Stenton non entrerebbero in Paradiso neppure se qualcuno regalasse loro le chiavi!”
Il buon Padre Esteban tenta allora d’arrampicarsi su una scivolosa erta colma d’inutile commiserazione: “Erano due anime che avevano smarrito la retta via…”.
Al che Tex si limita a dire, con un certo cinismo: “E noi le abbiamo riportate su quella giusta… la via dell’Inferno!” – e tale inappellabile sentenza non ammette ricorsi in cassazione.
In genere i commenti dei vari personaggi terminano con un esclamativo, un interrogativo o con i tre puntini di sospensione. Il punto della frase non è mai definitivo, sovraccarico com’è d’energia.
Ora ai due ranger non spetta che incastrare il mandante per andare, subito dopo, a trovare la figlia di Banks, “… la misteriosa Charlotte!”.
Per quanto affranta per la morte del padre, assassino prima per mestiere e poi per amore paterno, ella ha l’animo di dire: “… mio padre cercava la pace e la serenità!… E, alla fine, anche se troppo tardi, il destino gli ha concesso di trovarle!”
E io accuso questo lestofante (non Banks, ma l’atroce destino) di errare sempre i suoi penosi tempi!
Quinta e ultima vicenda: Johnny e il mezzosangue, di Mauro Boselli, per i testi, e di Carlo Gomez, per i disegni, che narra dell’ennesima ingiustizia perpetrata contro il popolo rosso, che secondo il solito, encomiabile, Uncle Google, causò la morte di 18.000.000 di nativi, ma c’è chi dice che la cifra sia di almeno cinque volte più alta.
Questa variabilità statistica la dice lunga su quanto tale genocidio sia assurdamente, ingiustamente dimenticato, nonostante sia stato numericamente più grande dell’Olocausto ebraico.
Ora la vittima principale è una donna che, catturata dai Comanche, una volta liberata, viene rinnegata dal nonno: “il vecchio Jack Lindsay si rifiutò di riconoscere Sally e suo figlio”.
E la povera ragazza, sposata per la sua graziosità e poi abbandonata con disprezzo dal “padrone di mezzo paese”, pose fine volontariamente ai suoi giorni, appendendosi “a un albero fuori città…”.
Per tale infamia e per la conseguente legge del contrappasso, quell’anziano finirà anche lui per impiccarsi, mentre i figli della nipote, non si capisce con quanto entusiasmo, ne erediteranno i beni.
Come talvolta scappa detto a Kit Carson: Amen e così sia!
Tex, ancor più che un imbattibile pistolero, lottatore, pugilatore, pokerista, affabulatore, lanciatore di coltelli, etc etc, è un uomo estremamente dotato di capacità di giudizio.
Ogni volta soppesa moralmente i suoi simili, condannandoli o assolvendoli, talvolta donando loro un’insperata grazia. Questo è l’aspetto che più amo e più m’inquieta di lui, il vero motivo per cui la pur ripetività delle sue vicende riserva sempre una sorpresa al fedele lettore.
Egli conosce, per suoi tragici fatti familiari, cosa sia il male di vivere di montaliana memoria (e in quest’albo non manca, alle pagine 99-100, il cavallo stramazzato).
Egli tenta, ogni volta, di ridurre gli effetti di quest’angosciante destino umano, costi quel che costi. Usando la colt e il winchester, ed anche un affilato coltello, se serve allo scopo.
Mi chiedo: e se un giorno si sbagliasse, causando l’immeritata morte o la condanna di una persona onesta?
Finora non è mai successo.
Tex è sempre stato un uomo giusto, anche quando spedisce all’inferno, a spalar carbone, decine di nemici.
Di questo e di tanto altro vorrei ringraziare, uno a uno, i suoi formidabili autori.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
AA.VV., Color Tex – Yavapai e altre storie, Sergio Bonelli Editore – novembre 2022