“Il cappotto” di Nikolaj Vasil’evič Gogol’: un racconto che insegna a risparmiare
“Il cappotto” di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ fa parte dei “Racconti di Pietroburgo” o pietroburghesi, ambientati nella città omonima.

La raccolta fu pubblicata successivamente alla dipartita dell’autore, condensando tre racconti confluiti nella raccolta “Arabeschi” e due immediatamente successivi.
Sono dunque cinque: La Prospettiva Nevskij, Le memorie di un pazzo, Il ritratto, Il naso e Il cappotto.
Racconto, quest’ultimo, pluritradotto, da cui è stato realizzato un film nel 1952, diretto da Alberto Lattuada e interpretato da Renato Rascel, in panni insolitamente drammatici, rispetto alla sua identità da mattatore della Rivista: ambientato, stavolta, nella Pavia degli anni ’30. Lattuada motivò la sua scelta proprio fondandola sull’universalità ed esemplarità dei caratteri del racconto, e dunque sull’esportabilità cronologica e geografica del tema della tirannia e cecità burocratiche.
Veniamo al racconto.
Akakij Akakieviĉ incarna il piccolo impiegato abitudinario, divenuto quasi un oggetto d’arredamento nel suo ufficio e dalle abitudini “kantiane”: gesti ripetuti, vita costruita interamente su un lavoro routinario e mal pagato, scherno dei colleghi e indifferenza dei superiori.
Necessitando di un cappotto nuovo in sostituzione di quello liso che gli altri scherniscono come “la vestaglia”, Akakieviĉ racimola i risparmi di anni di rinunce per commissionarne uno nuovo al sarto: rinviene nell’idea del nuovo indumento una linfa vitale che lo ravviva.
Gogol’ rappresenta così con estrema maestria il concetto del “progetto” inteso come spinta motivazionale dell’esistenza.
Il protagonista viene addirittura celebrato in una festa a casa di un superiore, in occasione dell’acquisto: peccato che il soprabito gli venga rubato da alcuni brutti ceffi sulla strada di casa.
Il nostro eroe si attiva per recuperarlo, perorando la propria causa presso un non meglio precisato “personaggio importante”, che, tuttavia, non lo degna di attenzione, non fosse altro che per salvaguardare la propria immagine di superiorità gerarchica agli occhi di un visitatore presente all’appello.
Akakieviĉ muore di freddo e di dolore nell’indifferenza generale, venendo subito sostituito.
Si prenderà la sua rivincita: vagherà per le strade di Pietroburgo nelle vesti di fantasma, scippando i cappotti ai malcapitati di turno e infine appropriandosi proprio di quello del “personaggio importante”.
Il racconto, di fine umorismo, ha molti punti forti che lo rendono godibile anche al lettore odierno: la caratterizzazione fisica del personaggio, in linea col suo anonimato esistenziale: basso, calvo, rossiccio e debole di vista, persino un modo di esprimersi titubante che rasenta la balbuzie.
E ancora la goliardia crudele dei colleghi; la disumanità dei superiori, dettata dal contegno imposto dal ruolo, che li distanzia dal loro essere privato.

L’autore mostra il volto più vivace e brillante della letteratura russa. Ecco un estratto:
“Akakij Akakieviĉ aveva l’abitudine di mettere, per ogni rublo che spendeva, un centesimo in una cassettina chiusa a chiave, con una fessura intagliata nel coperchio appunto per infilarci i soldini. […] ormai, dopo diversi anni, la somma era arrivata a più di quaranta rubli. Ma dove prendere l’altra metà? Dove prendere gli altri quaranta rubli? Akakij Akakieviĉ meditò, meditò, e decise che non c’era altro da fare che ridurre, per almeno un anno, le spese abituali: eliminare l’uso del tè la sera, non accendere la candela dopo buio; camminando per strada, procedere più leggermente e cautamente possibile sui sassi e sul selciato, quasi in punta di piedi, per non consumare prima del tempo le suole; dare assai raramente da lavare la biancheria e, perché non si consumasse, levarsela subito ogni volta che tornava a casa…”
In tempi di austerity come i nostri, tutto ciò non vi suona familiare?
Written by Barbara Orlacchio
Bibliografia
Nikolaj Vasil’evič Gogol’, Racconti di Pietroburgo, Feltrinelli, 2020, Il cappotto