“Frammenti di storia” di Francesco Pais: incanto e stordimento in un viaggio di accordi e versi
La chitarra sembra tracciare un sentiero nel bosco. Accordi che raccontano la penombra frondosa e voce da cantastorie. Sì, una voce da cantastorie come una volta. Che striscia sul velluto e poi sa di miele. Aumentano i toni, e sa di miele amaro.

Avanti così; incanto, stordimento, viaggio. Avanti così a sessanta battute al secondo, al ritmo cardiaco di un cuore. Di un cuore che soffre.
E poi fermo, dolcemente piano fino a stare fermo. Ferma la musica, si prosciuga la voce, tutto fermo, anche il grande orologio di legno appeso nel fondo di questa sala strapiena si sospende.
La corista fa vibrare la sua voce in un muto sussurrato che vola. Vola per tutta la platea ad altezza d’uomo, arriva dalla pancia al battito che riparte. Ma la chitarra aveva già indicato un laggiù. Un laggiù profondo dentro di noi. E ancora il cantastorie ci prende per mano, uno ad uno, e ci porta dentro le ombre del bosco. Che le ombre fanno anche paura, ma la musica ci ha preso per mano e ci salva.
Sono entrato quasi per caso a sentire questa presentazione. Siamo nel salone di una libreria storica di Sassari, “Messaggerie Sarde”, nelle giornate dedicate alla cultura e all’arte nell’ambito della manifestazione “1000 artisti per la pace” della “Fondazione Daga, unità nella diversità”.
Lui, il cantastorie che ci sta trascinando via, è Francesco Pais, avvocato, scrittore, poeta, musicista, interprete. No, non lo cercate sui social perché non lo trovereste. Anche su google non ci può incontrare. Perché a Francesco Pais piace stare un po’ in disparte, nell’intimità dei suoi accordi e dei suoi versi. Astemio di internet e di frenesia di apparire perché non è contaminato da quella nostra malattia dell’esposizione a tutti i costi. Lui sta nel bosco ombroso di ispirazione e arte, e non gli sembra educato tirare per la giacchetta il pubblico.
Allora stiamo lì, incantati, a sentire le sue storie in poesia e musica, con la sensazione di essere quasi dei privilegiati che vengono ammessi alla corte della musa di Francesco Pais.
Ritorniamo al presente nel salone delle “Messaggerie Sarde” per ascoltare ancora chitarra, suoni, voci, corista, emozioni. Le sensazioni sono forti perché tutta la sua rappresentazione affonda nella nostra storia di ieri. Ci racconta di un mondo vicino, ma così tanto lontano. Ci racconta di un mondo anche atroce, passato attraverso il fuoco della grande guerra.
Non si giudica: è musica. Non si condanna: sono versi; e la storia è storia. Storia di vita, di vita vera, trascorsa, bruciata, dimenticata. Ma non si può e non si deve dimenticare. Così l’autore ci porta dentro, a farci sentire il cuore in subbuglio, a raccontarci le ferite della terra, come le trincee.
“Dalla trincea vedo solo le nuvole, e il filo/ spinato./ Da qualche parte c’è un cecchino che aspetta!/ Anche lui, come te, è soltanto un/ soldato.”
Il titolo dell’opera è Frammenti di storia, perché l’ispirazione viene proprio dalla storia. Dalla storia atroce di bufere di guerre e di sangue della prima metà del Novecento. Ci può essere poesia lì? Ci possono essere accordi che bagnano il cuore tra le bombe?
Francesco Pais ci sussurra, ci canta e ci racconta, di sì. Nei campi di sterminio o sotto il fungo atomico di Hiroshima ci possono essere paesaggi musicali, devastazioni che strozzano versi, o sensazioni di dolore miste a poesia?

Mentre me lo chiedo la musica si ferma per una parte recitata. Parole, pausa, silenzio nella grande e affollata sala della libreria. Parla il silenzio, con una voce individuale, che ognuno fa sentire solo a sé stesso. Silenzio fuori, dolore nei polmoni: è la magia di un grande artista.
La musica riprende con un nuovo brano ancora affondato nel dolore, nelle persone che quel dolore lo hanno vissuto. Eccolo intatto spedito a noi dentro le vecchie cartoline in bianco e nero che ci sta cantando l’autore. Immagini d’epoca anche nel libro; nelle ultime pagine per documentare quello che già stiamo immaginando mentre ascoltiamo.
Un ascolto che mi fa venire in mente Fabrizio De Andrè, un modo simile di porgere il racconto con una voce morbida, avvolgente, ma appena serve, tagliente. Come con il cantautore genovese, ma sardo d’adozione, troviamo nelle canzoni di Pais le storie degli ultimi. Il soldato disperato in trincea, o quello che teme di incontrare la morte mentre si lancia nel drammatico sbarco in Normandia, in un mare rosso di sangue.
C’è poesia qui, tra i campi di sassi, le città distrutte, e la sabbia di El Alamein. Come De André che cantava che: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…», così il nostro cantastorie ci racconta del soldato in ritirata nelle lande innevate: «In questo immenso sfondo bianco/ dobbiamo sempre/ camminare,/ senza mai/ fermarci,/ dobbiamo sempre/ andare,/ senza mai/ voltarci».
Nella postfazione l’autore ci spiega che tutta l’opera è ispirata e dedicata ai suoi genitori che sono vissuti negli anni di questi eventi, e che fatalmente ne sono stati segnati. Così è giusto che anche a noi arrivi un’eco di quegli orrori che ancora sanguinano, di quel male dove può nascere fiore, appunto, o una poesia. Una poesia che sussurra con la forza di un silenzio di morte, che bisbiglia forte, di tenere sempre la barra dritta, lontano da guerre e dittature che sono comunque un flagello per l’umanità intera.
Written by Pier Bruno Cosso