“La donna immobile” di Natalia Aspesi: il diario di una atipica femminista
Scrivo a un amico: … sto leggendo “La donna immobile” di Natalia Aspesi: scrittura stimolante, pesantuccia, intrigante, a volte un po’ snervante, ma sempre assai espressiva….
E con questo, imitando le celebri Tragedie in due battute di Achille Campanile, potrei concludere ignominiosamente la mia reazione. Mancherebbe però l’ipotetica replica, non del mio amico, ma della Aspesi stessa che, sbucata dal nulla, s’è intrometterebbe dicendo: … son davvero contenta d’averti tanto interessato quanto tediato!
Si chiede la nostra amabile fustigatrice di costumi (termine che ammette il femminile, diversamente da censore), parlando delle “donne grate o docili, ripudiate o pentite, felici o disperate, a seconda del destino deciso dagli uomini…”: “Ma sono veramente esistite queste donne esemplari, le buone e le cattive, le sante e le peccatrici, tutte in via di dolorosa estinzione?” – abbozzo una risposta: spero di sì, perché il mondo (non solo quello femminile) è bello perché è vario, e tutto non può che scorrere in avanti, a destra e a sinistra, e non ancora all’indietro.
Il saggio è del 1973, quasi mezzo secolo fa, ma non aged, essendo sempre attuale, poiché dice cose ancora vere, anche se le cose sono mutate in alcuni luoghi del nostro pianeta, ma non ovunque, purtroppo. In certi paesi, anzi, sono tragicamente peggiorate. La donna è colà intesa non come un umano di serie b, ma quasi come un tipo di bestiame, da allevare con severità e intransigenza. Cesserà mai tanta nefandezza? Ne sono certo, ma quando?!
Tornando al libro, alla fine di ogni capitolo, l’autrice riporta vari spunti tratti da opere del passato, alcuni dei quali, allora usuali, oggi sono inaccettabili. Altri, per esempio uno di Jean Marlake (che scopro da zio o zia Google trattarsi di un maschio capelluto e al contempo stempiato, e non di un’angry girl), appaiono miracolosi. Nel 1972 Marlake scriveva che la donna celtica “poteva diventare capo di famiglia, regnare, essere profetessa, maga, educatrice, poteva sposarsi o rimanere ‘vergine’. Poteva ereditare una parte dei beni del padre e della madre.”
La rivista fascista Gerarchia, autore un misterioso e implacabile Ellevi, nel 1939 pubblicava il seguente orrore: “Perché non parlare di restaurazione della sudditanza della donna all’uomo, se il fine che perseguiamo è quello di restituire più madri alla casa, più uomini al lavoro e più figli alla Patria?” In questi penosi tempi, qualcosa del genere potrebbe ripresentarsi.
Modifico ora l’approccio al libro, che è soprattutto un’opera di narrativa, ricca di spunti, allegorie, metafore, immagini che sbalzano fremendo da ogni pagina, che andrebbero tutte raccolte e riportate. Un consiglio che do è di leggerlo al più presto per suggerne l’aspro nettare. Si finirebbe per scoprire che l’acqua tenuta a bollire su un fornello dapprima diventa tiepida e poi inizia a bollire: ogni tanto si riscopre l’esistenza di tale banale fenomeno.
In quel tempo, mezzo secolo fa, la moglie era principalmente destinata ai quotidiani lavori di casa e alla riproduzione, mentre alla prostituta era riservato un lavoro occasionale e un miserando Eros.
Lessi una volta che, in uno sperduto angolo del mondo esisteva la Sacra Prostituzione, per cui una pia donna, devota a non so quale nume era tenuta a vendere il proprio corpo una volta nella vita, per poi offrire il ricavato della sua prestazione a chi l’aveva creata (quel dio lenone, non la mamma).
Un esempio della scrittura di Natalia: “Dal parrucchiere le signore hanno le mani affaticate da gioielli troppo pesanti: a farsi la testa, i baffi, le sopracciglia, le ciglia, il pelo del braccio e della gamba, le mani, i piedi, la barba, l’attaccatura bassa dei capelli, le basette necessarie a coprire le cicatrici troppo fresche dell’ennesimo lifting ci vanno minimo due volte la settimana…” – e non si può dire che ella non sia abile a dare l’idea di quel fenomeno.
Pare che un uomo normale odi farsi la barba ma che mai accetterebbe un intervento estetico che inibisse per sempre la crescita dei suoi peli. Dubito che una donna sarebbe mai dello stesso avviso.
Natalia descrive la lamentela di una “signorina un po’ antiquata” a cui, a causa del mito della parità, nessuno più vuol fare da cavaliere. Facendo judo imparai che non riesci a proiettare l’avversario se non sacrifichi una parte dell’equilibrio che ti ha tenuto in piedi fino a quel momento. Devi rovesciarti all’indietro o in avanti se vuoi scaraventare il mondo dove vuoi tu.
In quest’ottica va letta, a mio vedere, la frase: “Diventare femminista è difficile proprio per le ragioni per cui una donna deve diventarlo.” – se Parigi val bene una messa, l’eguaglianza val bene l’apertura della portiera di un’auto.
Mi sconcerta il pensiero che, se i maschietti “amano una donna bella è solo nella speranza non di possederla ma di distruggerla…” – il che non vale per me, che troppo di rado ho avuto a che fare con tali sublimi prede. Forse perché m’interessavano poco, preferendo una compagna di vita che ogni tanto mi rompesse l’anima. E anch’io a lei.
Ecco quel tipo di prosa che non te la manda a dire: “È naturale che è meglio lo schifoso sessantenne da sopportare ogni tanto e mica tanto, che tutta una vita onorata da commessa intristita e prostrata tra golfini di terital.” – il beota che sta vergando queste righe, Natalia, ignora cosa sia il terital… zio (o zia?) Google gli viene in soccorso: altro nome commerciale del terilene, al che il beota decide immediatamente di desistere da ogni ulteriore ricerca.
Me fai morì d’une petite mort, che così chiamano i francesi l’orgasmo, quando scrivi: “Certo era sommariamente lugubre e meschino tenere la propria verginità in cassetta di sicurezza come buoni del tesoro da far fruttare…” – e poi continui sempre molto ex-agerando. Il genio è colui che esce dagli argini, e lo sai bene.
Sarei curioso se 49 anni dopo il tuo libro, la scienza ha finalmente scoperto se i due orgasmi femminili (vaginale e clitorideo) esistono entrambi. Prego chi sa rispondere al quesito, adducendo prove, di comunicarmelo in privato. Grazie.
“Ecco, questo vuole dire fare la casalinga: dover rifare gli stessi gesti continuamente cancellati.” – è senz’altro così. Mia madre, nata in campagna, mai ha messo in dubbio la sua funzione di resdòra, che in arşân, reggiano, sta per reggitrice della casa, domitilla dicevano i latini, per cui diceva: non sarò mai dipendente in una fabbrica. Pur svolgendo le sue funzioni con scrupolo e dignità, non c’era sera che non si lamentasse: E ora che faccio da cena?! Un quesito esistenziale a cui doveva ogni volta trovare una risposta.
“Guardando oggi l’orrore di ieri!…” – quello che definisci il “solito infernale 800”, ti fa pensare che, a forza di cicli e ricicli storici, si potrà addivenire a una totale parità. Ci siamo vicini, spero!
Accenno en passant a un refuso occorso a pagina 124: “Orietta Berti guadagna milioni e ha l’aria dell’entusiasta mangiatrice di tortellini”: io, a Reggio, lei, a Cavriago, mangiamo soprattutto i caplêt in brôd, cappelletti in brodo, a meno che tu non intendessi riferirti ai turtlêin dôls con la marmelêda, che le resdòre ci propinano sotto Natale.
A volte esibisci delle affermazioni a cui non riesco a non obiettare, per esempio che l’amore per i figli non sia un fatto naturale. A quella perfida creatura (dal sesso incerto: oggi si dice genderfluid) che è la Natura non importa nulla dell’uomo e della donna, e manco del bambino, né dei loro diritti. Se un asteroide colpisse la Terra distruggendo ogni forma di vita, Lei se la caverebbe con una mezza risata e subito rivolgerebbe il suo empio sguardo altrove.
Non occorre parlare di naturalità, quanto di giustizia umana e, per quanto vai scrivendo, ti do ampia ragione: la donna è stata, non innaturalmente, ma ingiustamente violentata dall’egoismo maschile. Provo orrore per alcune citazioni che riporti, per esempio quella del Lombroso, a cui non voglio manco accennare, in quanto mi schifa.
La giustizia è un’invenzione umana e tale va intesa per essere gestita al meglio. Non so se sia politically correct che la mantide religiosa accoppi il marito per sfamare il figlio: sono insettate loro. A noi basta la nostra semper in itinere humanitas.
Un pensiero svolazza però all’ape regina, e a quei porno-fuchi pronti a donare la loro vita e quant’altro a lei, nonché alle eroiche e infaticabili femmine operaie che provvedono ai lavori di casa e fuori casa! Ti consiglio a proposito, se già non la conosci, di leggere i saggi di Edward O. Wilson, valente entomologo.
In quell’infernale secolo, il lavoro spersonalizzante che toccò all’uomo, danneggiò indirettamente, ma non meno dolorosamente, la donna. E qui non è possibile non concordare. Oggi entrambi i sessi lavorano e, talvolta, all’uomo può toccare la cassa integrazione, la disoccupazione e lo sbandamento psicologico a essa connesso. In tali disgraziate occasioni è al maschio che tocca fare il mammo. E spetta alla donna il recarsi al lavoro.
La russa Valentina Tereškova, dieci anni prima del tuo saggio andò in orbita. In questi anni la milanese Samantha Cristoforetti ha fatto e sta facendo molto di più. Quarant’anni fa si scuoteva il capo dicendo che in URSS le donne guidavano gli autobus, mentre in Italia stentavano a fare la retromarcia. Ora sono autiste di mezzi pubblici anche a Reggio Emilia, città nemmeno più tanto rossa. Quando ci sarà la prima donna a guidare un pullman da Salerno ad Amalfi e viceversa (e chi pratica la costiera riesce a capire la battuta) potremo finalmente gridare: Vittoria!
Quando accenni al marito che obbliga la moglie al sesso ai fini della procreazione, vorrei narrarti (in privato) di quel consorte a lungo violentato dalla mogliettina per la medesima ragione.
Ora ti deluderò. L’unica volta che non ho espresso il mio voto fu in occasione del doppio referendum sull’aborto, non riuscendo a decidermi. Non mi andava di avallare un diritto che pur giudicavo sacrosanto, pensando che, se mia madre ne avesse usufruito illo tempore, non sarei nato. Ti chiedo scusa, ma non posso tornare indietro nel tempo, anche se lo vorrei (anche per altre ragioni).
E il casalingo? Conosco un ominide che nel 1992 domandò alla propria metà (più uno) se gli poteva insegnare a pulire un bagno. Risposta: Chi? tu… Ma fammi il piacere! Gli chiese poi se poteva insegnargli a stirare… Risposta: Ci doveva pensare tua mamma! Al che quel poveruomo fu costretto ad adagiarsi (per sempre) sul divano, e leggere tanti bei libroni, e ad assumere un certo Andy Capp come personal trainer. Sono certo che, qualora un giorno egli vincesse il Nobel (ormai lo danno a tutti) manderebbe a ritirarlo la consorte che esalterebbe, nel suo discorso di accettazione, le proprie miracolose funzioni di capofamiglia tutto fare, ché senza di lei, col cavolo che avrebbe vinto qualcosa quel verme parassita!
Si tratta di un’evidente distopia. L’unico fatto certo è che quel lurido essere ha finito per acquisire un certo grado di cultura.
Pare che nel 1973 le laureate in ostetricia fossero rare come le mosche bianche. Trent’anni dopo nacque mia figlia Anna, e ad assistere mia moglie c’era un tipo che somigliava in maniera singolare al cantante Malgioglio. Ah, cara, tranquilla, è arrivato l’ostetrico!, dissi alla mia metà sempre più uno, mentre quello stava avvicinandosi al lettino, il quale m’apostrofò dicendo: pur essendo un uomo io sono e rimango un’ostetrica…
Cos’è la Meloni, un Presidente del Consiglio? E Beatrice Venezi, un Direttore d’Orchestra?
Scrivi ancora: “Solo quando le donne sapranno sino a che punto sono state ingannate, forse la resistenza diventerà armata.” – ma forse le loro armi non sono mai state convenzionali.
In un corso universitario di chimica, due mie amiche furono le uniche a raggiungere il 110 e lode (con annesso abbraccio accademico) in appena 5 anni. Sto parlando del 1981. Nessuna delle due fu mai assunta dall’industria (temevano forse delle loro gravidanze, che mai ci sarebbero state). Entrambe si adattarono a umili lavori fino a che non riuscirono a vincere un concorso per la cattedra di matematica, per cui per tutta la vita si guadagnarono da vivere insegnando alle medie inferiori. Quel che nell’800 era soltanto un mitico sogno per lo più negato alle donne, divenne per loro una cogente necessità. Sempre il solito e inevitabile panta rei!
Leggo con piacere (anche perché è l’ultimo capitolo e ti giuro che ormai sono spossato) Dopo la rivoluzione. La finzione che adotti è che sia tratto dal diario di un’anonima femminista nel 2033, che narra di una mitica lotta sindacale (svolta dalle sole donne, coi colleghi maschi contrari) del 1981, con 5.000.000 lavoratrici in sciopero generale, a cui si aggregarono poco dopo ben 8.000.000 di casalinghe. Non è mai accade nulla di tutto questo, però qualcosa è finalmente cambiato.
E ora che ho finito d’interagire con te, che posso dirti, se non grazie!
Ah, aspetta: in Proposta per una bibliografia, scrivi che si dovrebbero cercare ovunque, anche “sulle bancarelle di libri vecchi” opere utili alla causa femminile. Il tuo lo scovai a Tutto per Tutti, salvifico mercatino dell’usato, e ti posso garantire che sono stati i 50 centesimi meglio spesi della mia vita! Un bacetto, cara! E a presto!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Natalia Aspesi, La donna immobile, Fratelli Fabbri Editori, 1973