Intervista di Emma Fenu a Ilenia Costa, autrice di “La voce del silenzio: le donne native americane scomparse e vittime di violenza”

La violenza sulle donne è antica come il mondo, ma oggi avremmo voluto sperare che una società avanzata, civile e democratica non nutrisse le cronache di abusi, omicidi e stupri.”
– Helga Schneider

La voce del silenzio di Ilenia Costa
La voce del silenzio di Ilenia Costa

Ilenia Costa, nata ad Acquapendente, in provincia di Viterbo, 22 anni fa, è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed è stagista attualmente alla Camera di Commercio Belgo-Italiana a Bruxelles.

Scrive per la Radio universitaria ed è l’autrice e conduttrice del podcast “Ma che generə di linguaggio!”, disponibile su Spotify. Fa parte del Tavolo di Lavoro sul Linguaggio di Genere per l’Università di Siena.

È autrice del saggio La voce del silenzio: le donne native americane scomparse e vittime di violenza di genere negli Stati Unitiedito da Scatole Parlanti nel 2022.

Ho il piacere di intervistarla per Oubliette Magazine su un tema che ci sta molto a cuore.

 

E. F.: Come hai iniziato a interessarti alla violenza contro le native americane?

Ilenia Costa: Come la gran parte delle ricerche che finiscono per diventare qualcosa di importante, anche in questo caso ho cominciato ad interessarmi al tema della violenza sulle donne indigene quasi per caso, quando la mia migliore amica, americana, mi ha parlato un po’ meglio della comunità indigena negli Stati Uniti. Da lì, ho iniziato a ricercare maggiori informazioni sulla loro realtà. Così, mi sono resa conto che due sono le problematiche che affliggono la comunità indigena in Nord America: la scarsa tutela della sovranità indigena sulle loro terre ancestrali e la violenza di genere. Nel momento in cui ho deciso di focalizzarmi su quest’ultimo spettro, ho appreso che le due questioni erano strettamente correlate tra loro.

 

E. F.: Che quadro sociale e psicologico è emerso dai tuoi studi?

Ilenia Costa: Il quadro sociale che è emerso dalle mie ricerche è una tela bianca sulla quale il popolo americano ancora non ha iniziato a tracciare segni di consapevolezza. La violenza di genere sulle donne indigene è un tema che la popolazione americana non ha interiorizzato, anzi. Preferisce passarci accanto e girarsi dall’altra parte. Lo vediamo anche nella trattazione che i media fanno dei casi di violenza di genere. Quando la vittima è di etnia indigena, i giornali nazionali tendono a colpevolizzarla, associandola ad alcolismo, prostituzione, tossicodipendenza. E la chiarezza sulla violenza di genere e l’identità nativa viene sempre più opacizzata da un quadro mediatico distorto e stereotipato. Di conseguenza, il quadro psicologico rimane privo di una cornice sociale in grado di sorreggerlo. Le donne native americane non si sentono sostenute, nonostante siano in prima fila per i casi di violenza subiti.

 

E. F.: Ci sono differenze fra le violenze perpetuate contro le donne non native?

Ilenia Costa
Ilenia Costa

Ilenia Costa: Per rispondere a questa domanda bisognerebbe orientarsi verso un’analisi comparata che non è stata oggetto delle mie ricerche. Quello che mi sento di dire è che la peculiarità della violenza perpetuata nei confronti di queste donne è lo sfondo etnico all’interno del quale si realizza. Quella sulle donne native americane è infatti una duplice violenza. Dapprima come donne, e poi come persone di etnia indigena. Inoltre, con il quadro distorto che emerge dai media, la violenza viene inferta non solo nel momento in cui viene vissuta dalla vittima, ma anche dopo, sulla sua famiglia e sulla comunità indigena di appartenenza. Dal punto di vista giuridico poi, c’è sicuramente una enorme differenza nelle modalità con le quali i casi di violenza vengono giudicati. Quando la vittima appartiene alla comunità indigena, entra in gioco la competenza giuridica non solo dei tribunali federali e statali, ma anche quella dei tribunali nativi americani. E la legislazione non sempre è chiara su chi abbia competenza a giudicare la fattispecie, in base alle circostanze della violenza e all’identità dell’aggressore. Questo provoca un atteggiamento disilluso nelle donne native americane verso il sistema di giustizia americano.

 

E. F.: “La voce del silenzio”. Il tuo titolo mi ha sedotto perché porto avanti tramite seminari, rubriche su radio e sul mio sito, eventi culturali e laboratori un progetto intitolato “Voce alle Donne”. Il silenzio è esso stesso un abuso? Cosa imbavaglia le vittime e tutela i colpevoli?

Ilenia Costa: Il silenzio diventa abuso nel momento in cui la possibilità di agire lascia spazio all’indifferenza. L’indifferenza diventa poi violenza tramite il reagente dell’ipergeneralizzazione. Ed è proprio dalla paura di rimanere incastrate in questa reazione che le vittime perdono la loro voce. Perché sentono che, se parlassero, rimarrebbero inascoltate da un sistema legislativo, giuridico e sociale che rafforza – direttamente o indirettamente – i loro aggressori.

 

E. F.: Sei giovanissima. Come ti immagini Donna e come immagini l’universo femminile fra dieci anni?

Ilenia Costa: Vorrei rispondere dicendo che la mia immagine di Donna corrisponde alla realtà, dove Donna significa valorizzazione delle differenze di genere, ma anche uguale dignità tra essere maschile ed essere femminile. Purtroppo però, allo stato attuale delle cose, questa idea fatica a prendere forma completamente. Sono consapevole che dovrò fare più fatica di un uomo di fronte ai miei obiettivi lavorativi, ad esempio. Fortunatamente, è evidente che l’universo femminile si sia stancato di un sistema sociale che asseconda il patriarcato da secoli. Le rivendicazioni di genere portate avanti in tutto il mondo, dall’Iran agli Stati Uniti, fino ad arrivare da noi in Italia, sono sintomatiche dei diversi femminismi uniti dal desiderio- bisogno di abbattere una società maschilista. Fra 10 anni, mi immagino un universo femminile valorizzato e tutelato, dove il femminismo della differenza sia alla base delle scelte che la società globale pone in essere.

 

Written by Emma Fenu

 

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