“Parolepipedi e altre forme” di Simona Sentieri: scrivere pezzetti di vita
Io odio (come il Puffo che odiava)…! Io odio scrivere e leggere, lo faccio per necessità esistenziale.
Leggere è un assumere obtorto collo una medicina amara, ordinata da chissà chi.
Scrivere è evacuare qualcosa e che poi nasca una creatura o altro corpo aulente lo si sa dopo che esce, come capita al micino di Schrodinger che, quando è ammucciato nella scatola, nessuno, nemmeno lui, sa se respira ancora o se ei fu siccome immobile.
La lettura de Parolepipedi e altre forme di Simona Sentieri non mi è costata quasi nulla, dandomi quasi molto. Ci ho guadagnato, in effetti. Mi capita sempre dai libri. E se pur protesto o per la lunghezza (non è il caso in parola) o per l’ardua lettura, leggo per principio, per fede.
Poi occorre re-iniziare da qualche parte, e in questo caso, come m’è già accaduto, la mia reazione comincia dalla Postfazione di Paolo Briganti, Tra le righe, dietro le cose: il mondo sottosopra, sfruttando strategicamente una parte della sua energia che unirò alla mia.
Egli dice che “quei pochi versi iniziali” paiono inizialmente “non versi” e poi “diventano una sorta di loop strofico…” – un ritornello che genera un “poemetto” – molto “sui generis ma poemetto”.
Il tempo, per Rovelli, non esiste, e lo spazio è una girandola, un loop che eternamente si ripropone.
Il riferimento che viene a me (all’autrice, no?) è E lasciatemi divertire, la canzonetta di Palazzeschi che inizia con un “Tri tri tri /fru fru fru/ ihu ihu ihu, uhi uhi uhi!” Ma qui a parlare è l’anima di Simona e non quella di Aldo, anche se entrambe fanno parte della medesima costellazione in cui siamo correlati, come le particelle che i fisici definiscono entangled. Mi sorge ora un’idea.
Cos’è la parola, se non un messer messerino che vive, a mo’ d’elettrone, attorno a dei quark/oggetti, vivendo un’esistenza parallela, correlata ma indipendente? Un conto è quel che successe (forse) tra gli achei e i troiani, un altro, a esso collegato, è il poema omerico. In letteratura (e in filosofia) ogni paragone è lecito, non bisogna temere il confronto, il ravvisare qualcosa con qualcos’altro.
“Simona Sentieri ci costringe a vedere quel che di solito non vediamo…” – quel che crediamo di scorgere è il nostro mondo, così ci insegna Einstein con la sua relatività. Paolo forse intende dire che Simona riesce a scorgere un microcosmo che a noi umani sfugge. Beata o disgraziata lei.
Ho scoperto che Simona è anche un’artista visiva, oltre che olfattiva, uditiva eccetera. “Le sue indagini pittoriche…” – si legge nella fascetta della terza di copertina – “… sono rivolte all’utilizzo di materiali poveri e di scarto con un preciso intento evocativo personale.” – figurepipedi.
La poesia di Simona è fatta di “gesti e parole…” – che sono “spesso depistanti.” – e Paolo parla della “funzione ‘disvelatrice’, quella del candore.”
Candore, come la maggior parte dei termini provenienti dal latino, deriva da un’ulteriore radice sanscrita: ҁudh-yâmi, che significa sono purificato. Se tu hai dipinto dei colori in un cerchio e lo rigiri velocemente, esso apparirà candido, come discolpato dal peccato, dalle caduche differenze.
A leggere La vita del cosmo di Lee Smolin e alcune opere di Stephen Hawking, sembrerebbe che tutto il mondo dovrà, prima o poi, essere inghiottito dal buco nero maggiore, che si papperà prima o poi i suoi confratelli. Ciò recherà all’ordine assoluto, a una singolarità, a una fine del cosmo forse auspicabile rispetto a quella prevista dal secondo principio della termodinamica, che imporrebbe un’entropia finale, in cui tutte le particelle cesserebbero di vivere, d’agitarsi, perché prive di energia termica, immobilizzate dallo zero assoluto. Lee e Stephen ci donano una speranza: il buco nero diventerà bianco, e da esso sarà… stavo per usare un’odorosa parola… espulso da quel buco un nuovo mondo. La poesia, nel piccolo, ha il compito d’interiorizzare il fuori, ordinarlo e, rigirandolo, rimandarlo nel circolo.
“La tecnica base di Parolepipedi è questa: straniamento. Puntare sul mondo uno sguardo ingenuo non pre-strutturato, dilavato d’ogni sovrastruttura, per svelare gli inganni…” – il mondo sarebbe una cosa seria, dove non sono previsti né giochi, né amenità?
Mi oppongo: il mondo è quel che è e ci si può disperare, giocare, amare, tradire, e lo si può far esplodere con una bombetta che, per gioiosa pazzia, può mutarsi in un grazioso copricapo.
La poesia, seriosa oppure stravagante, classica o romantica, è il risultato di una visione sempre eroica e fallace, ma è l’unica cosa che ci collega all’Altro, di cui siamo una minuscola ma correlata parte.
E ora, leggermente esausto, mi alzo e vado alla ricerca della pesca noce perduta, anzi, semiperduta, perché, tolto quello spigolo marcio, in gran parte me la sto ora pappando.
Conobbi Simona durante una lettura di poesie al Centro Orti Spallanzani di via Toscanini, a Reggio Emilia. Me la presentò il comune amico, il regista Luca Carretti, che me ne aveva magnificato le qualità di artista polivalente. Ed eccomi ora ridotto (sto pazziando, direbbe Andrea, mio affine amalfitano) a un “posacenere”, che è “nero/ frastagliato/ che sta fermo/ rotondo/ vuoto/ in silenzio…” – e null’altro che “un amico che mi ha fatto compagnia/ una sera.”
Santi numi! – “… i pensieri pensano…” – è il loro infame mestiere, qualcuno lo deve pur fare.
Una siepe è “finta” – ma “sembra vera e lei lo sa/ perché vorrebbe davvero/essere vera…”.
Attenzione però, che “anche le siepi finte muoiono…”.
Per sopravvivere occorre allora trovare “un quaderno coi fogli a quadretti/ come le tue camicie…” – che io uso portare sotto al maglione, così evito di stirarle – “su cui scrivere pezzetti di vita/ che è fatta di tanti pezzi che sono fatti di vita…”.
Ricordo! – “… a quei tempi miei… non c’era ancora la carta igienica…” – anche ai miei e per fortuna che papà leggeva il Carlino!
Monella, tu scrivi che “non esiste un bello scrivere in poesia/ possiamo scegliere di scriver versi/ come scegliere di farci cremare/ senza commettere peccato” – ma se si cade in quella péca, a risalire quel gradino, la speranza di rialzarsi ce la regala Keats: “A thingh of beauty is a joy for ever.”
Ti innamori per sempre, beata te!, quando trovi “bombato/ con quel suo bellissimo maniglione cromato/ ispirato agli anni 60/ i nostri anni/ il mio nuovo frigorifero rosso/ laccato lucido” – per fortuna, per equità cosmica, anche le donne vale il detto tót i cajòun a gh ân la só pasiòun.
Tralascio di commentare Il suicidio della siepe, poverina, quella finta, perché nulla c’è da aggiungere alla tua elegia ed è d’obbligo almeno un eone di silenzio.
Tu volevi “sposar la solitudine/ che gli uomini chiamano mal di vivere…” – se lo farai non posso che augurarti una separazione consensuale.
Tre versi concisamente essenziali per comprendere la tua poetica: “minimale/ menomale/ mifamale.”
Simona, poche balle, tu sei un’animista (e con me siamo in due): animista/ amimamista/ animamia: mio orgoglioso e demenziale verso.
Ne ho la prova leggendo Rosse laccate lucide, le scarpe in che ti vanno strette e che tu usi come reggi libri. Prima scrivi che le “file di scarpe/ in offerta speciale/ mi ricordano/ i cumuli nei lager…/; e poi: “io sento il loro pianto/ la loro solitudine…”; e anche: “… le accarezzo lieve/con la punta delle dita…”; infine, essendo svanite nel nulla forse eterno, auguri loro d’essere “libere finalmente di andarsene/ in giro a zeppa alta” – come fra poco capiterà a me e a mia figlia, che andremo in centro, perché tu m’hai fatto scoprire uno dei tanti Misteri di Reggio (sappi che mia madre diceva sempre che a gh’è Gavâsa e po’ Parigi… – figuriamoci l’intera Città del Tricolore!): l’enigma a cui la Storia, con la S più enorme che si può, non potrà forse mai rispondere: “quanti erano i fanti/ di quel XXIV Maggio?” – (il loop!) – lo ignoro, di loro c’è rimasta soltanto quella sperduta piazzetta!
Simona, promettimi che, quando scenderai per l’ennesima volta “per la statale 63”, andremo insieme a salutarla…
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Simona Sentieri, Parolepipedi e altre forme, Consulta librieprogetti
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