“Il mito dell’alchimia” di Mircea Eliade: il processo di spiritualizzazione del corpo

“Ora, nelle società industriali moderne, lavorare diviene un’attività completamente secolarizzata. Per la prima volta nella storia, l’uomo si è assunto il compito di «fare meglio e più in fretta della natura», senza però poter più disporre di quella dimensione sacra che rendeva sopportabile il lavoro in altre società.” – Mircea Eliade

Il mito dell’alchimia di Mircea Eliade
Il mito dell’alchimia di Mircea Eliade

Che cosa intendeva Mircea Eliade con “dimensione sacra” ne “Il mito dell’alchimia”?

E perché ciò che denomina come “dimensione sacra” rendeva sopportabile il lavoro? Questa affermazione sottintende che nelle società industriali moderne non sia sopportabile il lavoro che porta l’uomo a “fare meglio e più in fretta della natura”? L’uomo è diventato “schiavo” del lavoro perché si è prefissato il compito di “fare meglio” del suo “creatore”, che potremo in questo caso chiamare Natura?

Queste domande danno avvio ad un ampio e lungo discorso e non si potranno trattare in questo articolo ma è stato importante leggerle per iniziare a contrapporre “sacro” e “lavoro”, “società” e “natura”.

Lo storico delle religioni, antropologo e scrittore romeno Mircea Eliade (1907-1986) nel saggio Il mito dell’alchimia seguito da L’Alchimia asiatica(Bollati Boringhieri editore, 2014) traccia gli albori dell’alchimia e diversifica i vari percorsi di una disciplina controversa che ha suscitato, a torto, lo sdegno di un gruppo di intellettuali e scienziati sino ad essere considerata una superstizione od ancor peggio un inganno.

Da alcuni considerata come una disciplina prescientifica – una sorta di proto-chimica – l’alchimia nella prima metà del ‘900 è stata riesaminata e, grazie alla storiografia contemporanea, ricollocata tra le grandi arti millenarie. Certamente non si deve sottovalutare il contributo degli alchimisti nella pratica scientifica visto e considerato, ad esempio, il grande interesse nei minerali connesso al progetto di modificazione della natura ma, risulta evidente che, ovunque nel Mondo, l’alchimia sia stata legata maggiormente alla tradizione esoterica e/o mistica.

“È in questo modo che, nel corso del XIX secolo, l’uomo è riuscito a sostituirsi al tempo. Il suo desiderio di precipitare i ritmi temporali degli esseri organici e inorganici comincia a realizzarsi, mentre i prodotti di sintesi dell’alchimia organica dimostrano la possibilità di accelerare e addirittura di annullare il tempo, attraverso la preparazione in laboratorio e in fabbrica di sostanze che la natura avrebbe impiegato migliaia di anni a produrre.” – Mircea Eliade

Mircea Eliade nel primo saggio del volume “Il mito dell’alchimia” riporta le indicazioni utili per i lettori per una veloce analisi del taoismo in Cina, lo yoga ed il tantrismo in India, del periodo ellenistico in Egitto, del Rinascimento in Occidente, dell’ermetismo, nel misticismo cristiano, nella cabala ebraica.

Tutte queste tradizioni sono accomunate dalla pratica alchemica e tutte partecipano di grandi maestri e di insegnamenti celati ai più e riservati ad una cerchia selezionata di allievi. Ma questo non deve né stupire né essere analizzato come un qualcosa di negativo per la società del tempo, piuttosto bisogna riflettere sulla tipica tendenza di insegnamento occulto riservato per qualsiasi “mestiere” dell’antichità, l’alchimista al pari del falegname, qualsiasi conoscenza era soggetta ad iniziazione. Questo è un dettaglio fondamentale per comprendere alcune “critiche negative” che furono effettuate dall’Illuminismo in poi, dunque del tutto immotivate.

È importante tenere sempre a mente che quando ci si imbatte in qualcosa del passato, soprattutto del periodo che precede il Cristianesimo, si deve prendere in considerazione una serie di fattori che determinavano quella società senza contrapporre quella attuale o semplicemente quella successiva. Con questo non si vuole dire che non si possano fare considerazioni tra due epoche ma che queste devono, forzatamente, essere considerate senza svalutare “usi e costumi” cercando, per quanto sia possibile, di essere oggettivi e questo lo si può avere solo con un’analisi attenta di ciò che circonda il tema che si intende valutare. Bisogna esercitare pazienza con i “ragionamenti” perché anche il più piccolo dettaglio può cambiare la propria ipotesi su un argomento, bisogna saper quando sottoporli al fuoco e quando, invece, lasciare che si riposino.

“Infatti non pensare che questa Scienza sia giunta a qualcuno di noi per caso o per immaginazione fortuita, come crede stupidamente il volgo ignorante. Invece abbiamo penato molto e a lungo, abbiamo passato innumerevoli notti insonni, abbiamo sopportato pazientemente molta fatica e molti sforzi per conquistare la verità. Perciò, apprendista studioso, sappi per certo che non otterrai nulla senza sforzo e fatica, specie nella prima opera, mentre la seconda è realizzata dalla sola natura senza usare le mani, solo applicando un moderato fuoco esterno.”[1] Eireneo Filalete

Nel secondo saggio dell’opera, “L’alchimia asiatica”, Mircea Eliade cerca di mostrare ai lettori le differenze e le somiglianze delle vie dell’alchimia cinese ed indiana da quelle più “occidentali” (alessandrina, iranica, araba e medievale che probabilmente hanno avuto origine dagli influssi babilonesi). Eliade cita lo Shiji (trad. “memorie storiche”) redatto dallo storico cinese Sima Qian (145-86 a.C.) nel quale si racconta della raccomandazione del mago Li Zhaojun all’imperatore Wu (141-87 a.C.) della dinastia Han riguardo il prolungare la vita con l’evocazione di esseri soprannaturali che danno la capacità di tramutare il cinabro in oro giallo. Cinabro ed oro sono ricorrenti in alchimia, così come la ricerca dell’immortalità. Mircea Eliade sottolinea che questa particolare ricerca era da intendersi come processo di “spiritualizzazione del corpo”.

“Il cinabro è sempre stato considerato in Cina una sostanza dotata di un potere talismanico e particolarmente apprezzato per le sue virtù rigeneratrici. Il suo colore rosso era ricco di proprietà vitali, essendo simbolo del sangue – il principio della vita – e svolgeva per questo un ruolo fondamentale nell’accesso all’immortalità. Fin da epoche preistoriche, il cinabro veniva utilizzato in Cina nelle tombe dei ricchi aristocratici nell’intento di assicurare loro l’immortalità. Ma non era soltanto il suo colore a fare del cinabro un veicolo per l’immortalità; era importante anche il fatto che, messo sul fuoco – «il fuoco capace di trasformare gli alberi e le piante in cenere»[2] – producesse mercurio, cioè quel metallo che era considerato l’anima di tutti i metalli.” – Mircea Eliade

Si lascia il lettore libero di intraprendere la lettura dell’interno saggio per comprendere meglio i due elementi essenziali quali lo yin (femminile) e lo yang (maschile, e la successiva identificazione con il dao), ed anche gli usi di giada e perle, di cui non si parlerà in questo articolo ma la cui spiegazione è necessaria per afferrare il discorso.

Agire senza agire, purificare il soffio, assorbire energia, lavorare a riposo, scandire la respirazione così come lo scrittore e filosofo cinese Ge Hong (283-343) consigliava: “Nel momento in cui si comincia a imparare l’autentico controllo della respirazione, si deve respirare dal naso, quindi turarlo stringendolo fra due dita e contare mentalmente i battiti del cuore. Dopo aver contati centoventi, si deve espirare attraverso la bocca. Questa tecnica di respirazione serve a evitare di udire il rumore dell’inalazione e dell’esalazione dell’aria […] Una pratica costante permetterà di aumentare la durata della sospensione del respiro […] fino a giungere a mille battiti del cuore. Nel momento in cui un vecchio giunge a questo stadio, si trasforma in giovane.”

Mircea Eliade citazioni alchimia
Mircea Eliade citazioni alchimia

Il nostro debito nei confronti di Mircea Eliade è incalcolabile, la sua dedizione alla ricerca ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con quest’arte millenaria e di poter accedere alle indicazioni di esseri umani saggi che ci hanno lasciato nozioni e “ricette” per perseguire “l’abbandono della valle e la salita nella vetta”[3].

Quando anche per te verrà il tempo destinato alla conoscenza di queste questioni essenziali, potrai riflettere attivamente e comprenderai allora cosa devi fare in contraccambio. Alla tua età non sei ancora obbligato a sdebitarti della tua esistenza. Oggi non devi pagare il debito della tua esistenza, ma per il domani ti devi preparare agli obblighi che convengono ad un essere tricerebrale responsabile. Nell’attesa, lasciati esistere.”[4] Georges Ivanovic Gurdjieff

In chiusura si sussurra nuovamente: “Nell’attesa, lasciati esistere”; ma si sottolinea: “per il domani ti devi preparare agli obblighi” del contraccambio.

 

Written by Alessia Mocci

 

Note

[1] Eireneo Filalete, Opere, Edizioni Mediterranee, 2001, pag. 38. Leggi la recensione cliccando QUI.

[2] Ge Hong, Baopu zi.

[3] Lo spirito è il picco, l’anima è la valle. Scalare una vetta è propriamente muoversi in cerca dello spirito, dell’astratto, dell’unificato, del concentrato, è allontanarsi dalla valle, l’anima, “concreta, molteplice, immanente” che intralcia con la nebulosità che contraddistingue il suo essere archetipo della vita, la scontentezza che fa agire, la creazione di illusioni, di speranze, che ci ingarbuglia sino a portarci ad una reazione, alla follia come momento opportuno per “considerare in un modo nuovo le proprie necessità”. Continua a leggere la recensione de “Saggi sul Puer” di James Hillman cliccando QUI

[4] Georges Ivanovic Gurdjieff, I racconti di Belzebù a suo nipote, Neri Pozza, 2017, pag. 70.

 

 

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