Gilberto Rolla: da un vecchio libro in disuso uno Scrigno
Il 1951 dà i natali ad un diacronico Gilberto Rolla…

Il tempo, poi, lo vede crescere come eteroglossa Ulisse: polytropos, polymetis, polyphron, polymechanos.
Architetto di professione, spirito erratico nell’intimo, Gilberto Rolla realizza progetti architettonici, nel campo del restauro e nel design, affiancando, alla “ratio” di questi ultimi, la poesia di un ricordo errabondo e lungimirante.
Come racconta la Deledda, in “Canne al vento”, quando scende la sera e l’orologio segna il temine della giornata lavorativa, si animano i folletti: il sandalo dell’architetto calca, proprio in quel momento, la polvere di una clessidra, frantasi nella propria Itaca; ivi, inizia il viaggio nell’esotismo del quotidiano assurdo, laddove quest’ultimo è suolo reale.
L’ora del vespro lo vede, indi, “affogare” il pennino, come uno strale, nella china; la trafittura sanguina i liquefatti umori di un caro fìo, che l’artista ferma, indi, su brevi lembi di cartacee terre, disegnando i profili di ispirati versi. Essi divengono narrazione viva di istanti, vissuti o sognati, aneliti essenziali e immaginari di spazi preservati dal bailamme sociale. Custodisce, poi, quell’oscura e frugale lacrimazione, perché possa riposare e intridere la pagina, indisturbata, in una scatola di sigari.
Un giorno accade, invero, che il contenitore non si trovi, sicché Gilberto Rolla, intuitivamente, ricava, da un vecchio libro, una salvifica nicchia; affonda una sottile lama nelle sue “carni”, ricavando un penetrale, per deporre, come una vestale, la creatura. Il giorno seguente trova un all’unisono e comprende che quel senso di appartenenza deve essere suggellato. Inizia, quindi, a sposare ogni singolo foglio all’altro, con la colla; è un mestiere certosino, eppur necessario, per consolidare quel templum.
Un’edizione antica, ritenuta, ormai, superflua, muta, così, in uno “scrinium”, ove adagiare quelle delicate forme.
La parola libro deriva dal latino “liber”, che indicava, anticamente, la parte più nascosta dell’albero, la più tenera e duttile, sulla quale potere scrivere; “liber” significa, altresì, libero.
Gilberto Rolla concreta, quindi, il sintagma scrinium (contenitore di preziosità)/ libro (contenitore di concetti, parole, segni…)/ penetrale (la parte più nascosta e sacra della casa)/ liber (parte interna della tronco, libero)/ liberazione, in cui e il gioco di significati e la presenza di una dimensione ossimorica, sospesa tra il limite e l’infinito, creano uno stato conoscitivo, in fieri, di un diastema artistico/esperienziale d’élite e riservato, volto ad una maturazione sognante.
Nel tempo, Gilberto Rolla protegge, quindi, il pregiato “vagito”, utilizzando materiali che fortifichino il grembo, ma, medesimamente, studia come impreziosirne la veste. Ruba l’obrizo, in foglie, e ve lo sposa; sottolinea i profili dell’amato nome, per riempirli, poi, e mutarli in colorati pensieri plastici; contraddistingue e certifica nel dettaglio ogni singola pagina, con la devozione del “buon padre di famiglia”. Nero, oro e colori danzano, invero, tra i righi di un pentagramma cromatico, dove certezze e sfumature determinano un’euritmia atemporale.
La gestazione vede, ogni volta, l’arricchirsi della “neonata Penelope”: Ulisse torna, a quest’ultima, come un magio, un genitore, un amante, l’amore… per onorare e ammannire il loro desco.
Un’inedita intuizione lo vuole, invero, anche, come un moderno Leonardo: l’autore congegna, attualmente, “una capsula del tempo”, inserita addentro quel cosmo. Quell’infinitesimale nicchia farà da Hermès, per i posteri.

Dicevo, nell’incipit, dal multiforme ingegno (polytropos), dal grande intuito (polymetis), dai molti pensieri (polyphron) e dalle molte astuzie (polymechanos): Gilberto Rolla parte e fa rientro, sfidando marosi e quiete rade del mare esperienziale, come il mitologico eroe, creando “epifanie” artistiche, la cui cifra è sofisticata, altamente intellettuale ma squisitamente familiare.
Il più astuto di tutti gli eroi greci, dal multiforme ingegno, ma anche il più umano e la personificazione stessa del coraggio. A lui che fra tutti mi è il più caro, a lui che di tutti è il più fico, dedico la parte finale di questo libro.
“Ulisse aveva tutti i pregi e tutti i difetti che un uomo deve avere: era coraggioso, bugiardo, amante dell’avventura, attaccato alla famiglia, e allo stesso tempo traditore, curioso, imbroglione, astuto, farabutto, intelligente, e, come dicono i milanesi, caccia balle. Omero, a seconda delle situazioni, definisce Ulisse polytropos (dal multiforme ingegno), polymetis (dal grande intuito), polyphron (dai molti pensieri), polymechanos (dalle molte astuzie), polyplanes (dalle molte avventure) e via di questo passo. Lui, insomma, era un «multiplo», qualunque cosa facesse.” – Luciano De Crescenzo, Nessuno, 1997
Written by Maria Marchese