“Voltami” di Savina Dolores Massa: una vicenda ispirata dalla vita della scultrice Anna Coleman-Ladd
La danza ipnotica delle anafore su cui si apre “Voltami” (edito da Il Maestrale) l’ultimo, splendido romanzo di Savina Dolores Massa è un autentico sortilegio.
Prende le mosse da un gioco di ombre tra i ciottoli assolati di un lontano giugno parigino del primo 900. Davanti a una chiesa che emana misteriose capacità divinatorie, Saint Etienne du Mont, nel quartiere latino. E da lì prosegue, funambolicamente, su una fune aperta nella voragine del tempo. Passato, presente e futuro.
Ad avviarla un lontano avo di Danesia da cui Ophelia, la protagonista, ha ereditato il nome: Andersen. Era uno scrittore, uno scrittore di fiabe, e aveva già dipinto nelle sue storie i cigni e le ombre che, iridescenti e preziosi dettagli carichi di presagi, catturano nelle prime pagine lo sguardo del lettore, anche di quello più distratto.
Ma nessuno può distrarsi se un libro di fiabe, nel chiudersi, emette “il colpo di uno sparo di pallottola…”
Perché in realtà sono proprio le fiabe, lo sappiamo, a svelare la durezza dell’esistenza. A creare uno spazio magico in cui l’orrore del mondo deflagra senza mai cancellare la luce e la bellezza. E sarà proprio la fuga di un’ombra la soglia verso orizzonti altri e altre visioni della vita, oltre le rassicuranti aree delle verità convenzionali, perché l’ombra non è esattamente, come ammoniva l’avo di Danesia, “il riflesso di un corpo”.
Ma quella che Massa ci offre in queste pagine non è affatto una fiaba. È l’accesso a un intrico di piste capaci di risalire la dorsale della storia attraverso percorsi originali e sorprendenti. In un continuo via vai tra dimensione individuale e collettiva
La vicenda di Ophelia Andersen, nome di fantasia e di evocazioni, come rivela in exergo l’autrice, è infatti liberamente “ispirata ad Anna Coleman-Ladd”, la scultrice americana dal grande talento che a Parigi restituì un volto e una vita ai soldati sfigurati dalla Prima guerra mondiale.
È la vicenda di una donna che diventa la storia di una città, di più città, di un continente, di più continenti. Del mondo intero. Non una donna nella storia, bensì la storia in una donna. Nel solo linguaggio che può tentare di rendere l’ineffabile: la poesia.
Perché è poesia la sgargiante e caleidoscopica promessa dell’incipit, e poesia è il resto tutto dell’opera, nel suo indicibile viaggio oltre lo specchio. In quel fantastico e terribile luna park quale è il mondo: tra le vertigini delle montagne russe, l’inquietudine della stanza degli specchi, l’angoscia della casa degli orrori, le sorprese del tunnel dell’amore. E poesia è la sensualità di una percezione in perfetto equilibrio tra realtà e immaginazione, capace di muovere l‘unica emozione in grado di schiudere mondi sconosciuti, accendere passioni, indicare insoliti percorsi: quella estetica.
All’interno di immagini che si frantumano, si moltiplicano, si perdono e si ritrovano attraverso i sentieri più diversi. Per illuminare il buco nero della guerra e l’agonia di ciò che si chiama umanità.
Una notte dal buio fitto, sconfitta da una manciata di lucciole.
Perché solo Savina Dolores Massa sa usare la parola come bisturi e insieme bacchetta magica. Per incidere in punta di bulino oppure squartare, per sorridere e illuminare, rimodulare nel canto le ferite del mondo.
Ironica e caustica, umoristica e drammatica, lieve e profonda, enigmatica e irriverente, la sua narrazione è una continua e inflessibile lotta contro ogni forma di potere capace di ledere la dignità umana. Una voce poetica e rigorosissima pur nella dimensione affabulatoria di un procedere divagante. Che aggiunge vigore al ritmo, potenza al flusso, intelligenza al profondo equilibrio della struttura. In questo libro stratificato, inesauribile, generoso, denso di stimoli e intessuto di domande scomode e di verità urticanti, l’autrice attraversa la storia ed esplora la necessità e le difficoltà del restare umani in un mondo disumano.
Legando il passato a un presente pronto a ipotecare il futuro per ripercorrere, senza soluzione di continuità, le medesime orme in una circolarità disarmante: le guerre, le pandemie, le ingiustizie sociali.
Una sorta di caleidoscopio genera ad ogni movimento immagini che producono collisioni di senso e rappresentazioni simultanee di visioni diverse, di possibili ricomposizioni, in un aperto collage che ci costringe a fermarci su episodi, personaggi e piani diversi. Labirintici sentieri per un’unica lotta. Tanto contro la subdola eredità di angelo del focolare, capace di tarpare ogni accenno d’ala, quanto contro una Parigi incapace di comprendere chi vive la libertà artistica nella sua forma più alta: la solidarietà.
Una Parigi… “di esistenzialisti in erba, imberbi critici e censori o espressionisti o surrealisti, dannati narcisi che mai avrebbero capito lei, se affaccendati nello strazio dell’ispirazione…” Ma tra creature enigmatiche, meteore e falene iridescenti ritroviamo tutte le coordinate culturali di un mondo irripetibile nella sua agonia. In un panorama intellettuale denso di colpe e di grandezza scrittori, poeti, pittori, testimoniano modi diversi di abitare il mondo. E ricostruiscono insieme il volto di un’epoca e il pantheon di riferimento dell’autrice. Studium e punctum, avrebbe sintetizzato Roland Barthes.
Più un lungo omaggio a chi, allora, aveva scelto il rifiuto e la solitudine per denunciare le trappole dell’ipocrisia di tutta una civiltà: Louis Ferdinand Destouches, alias Céline, che brilla di luce propria in tutte le sue contraddizioni.
Tra inciampi e colpi di coda si percorrono sensi vietati con irridente leggerezza, mentre
l’autenticità disincantata di un surrealismo colorato e ludico, costellato di pensieri corrosivi, di provocazioni spiazzanti, di un humor graffiante ma anche tenero e malinconico, ci radica in una realtà ben precisa.
Dove, libera da ingombri ideologici, Massa dialoga con un preciso momento storico accogliendo ogni spunto possibile per indagare con forza le ragioni e le deviazioni dell’arte. Abilmente ma non impunemente riportata alle sue necessità da una scultrice americana capace di scombinare le carte della vita per cambiare il corso del destino. Il proprio dapprima, e poi quello di ben 185 reduci della Prima guerra mondiale, devastati dagli effetti delle vecchie e nuove armi letali.
La lezione verrà dal basso, di fronte all’immenso… “muro quale sa apparire l’oceano quando non concede indulgenza a nessuno…su un piroscafo pieno all’inverosimile di gente migrante, irlandese e italiana del sud nella grande parte, stipata in buiore e lumini di stive…”
Semisommersa dalla potenza dei flutti quale risonanza dell’ordine del cosmo e delle stagioni, ma anche della gioia e del dolore, prende vita l’avventura di Ophelia, colei che aiuta. Perché nel ventre di una nave transoceanica scoprirà da che parte stare. Colpita dalla maestria di un raccontare “quando si sa cosa dare e a chi…”
In un immaginario che affianca magistralmente la documentazione storica, viviamo lo scintillio fasullo della belle epoque parigina. Tra tetti di ardesia e abbaini pieni stelle dove l’ala di una rondine rimanda ai baffi a manubrio di amori sognati, tra lune prigioniere e gatti dalle sette vite, tra meretrici rattoppate dal labbro come “una rosa di carne da macelleria” e bancarelle di cappelli nuovi, libri e occhiali usati da vendere “per confondere le vite, per far sbagliare direzioni e stagioni…”
Ma i trionfi della modernità non impediscono una “strana inquietudine… degli strani lividi al midollo osseo … un inganno appostato alle spalle, pronto a sbranare ogni illusione… l’intuizione che una gioia è sempre a termine, quanto la pace tra gli esseri umani…”
Nel mondo divenuto “placenta di cenere” le atrocità e le devastazioni del primo conflitto mondiale vivono attraverso l’esperienza ineffabile delle emozioni e dei sentimenti, l’indicibilità del dolore privato che riassume il male collettivo, le strade diverse che può percorrere il dolore e i contorti sentieri cella consapevolezza. Nell’alternarsi calviniano del fuoco e del cristallo l’autrice affida a metafore e visioni l’inestricabile complessità del mondo. E di un mondo. Dove persino ogni oggetto ha una memoria su cui poggiare e una vita da inventare e soffrire. Perché… “i cervelli spesso possiedono teche con tesori dentro, serrate con lucchetti, smarriti chiave e senso…”
Ma in arte ogni finzione è verità, e ogni verità è una finzione.
La ricostruzione degli eventi si intreccia così alle memorie individuali, la documentazione si mescola all’artificio, al lato oscuro delle nobili storie di battaglie importanti, ai terrori e alle sofferenze di chi perde se stesso per diventare carne da macello. Angosce individuali per smascherare la strumentalizzazione ideologica dalla guerra.
Individui travolti dalla storia.
Soldati semplici, ufficiali, becchini, storici, suonatori di armonica. Di sette soltanto si racconta l’anima, le battaglie fisiche e interiori, il dramma umano, gli sforzi e le cadute per tradurre la lingua del dolore in quella della rinascita. E le nudità dell’anima di fronte ai sentimenti.
In un eterno, infinito ritorno dello stesso numero per una simbologia sotterranea che emerge in ogni dove come un fiume carsico: l’unicità nell’essere di tutte le cose, così come diceva Ippocrate secoli fa.
A un libro come questo non si finisce mai di chiedere. Perché se è vero, come afferma la splendida Désirée dalla rosa rossa sul labbro superiore, “… I libri non son poi nella sostanza granché diversi da una prostituta… si desiderano, si comprano, si sfogliano o si leggono… si giudicano, ma non saranno mai davvero tuoi…” sono i grandi romanzi quelli che ti segnano o ti creano. Ma, come diceva qualcuno di cui non ricordo il nome, sei tu che devi andare da loro.
E “Voltami” è un grande romanzo, di grandi visioni e grandi desideri. Qualunque cosa chieda, restituirà sempre molto, molto di più.
Written by Anna Maria Capraro