“È da Wall Street che si espande la morte” di Reclus Malaguti: chi teme la verità nasconde la colpa
Reclus Malaguti è un autore di cui già lessi Lo scontro di classe: un grande uomo, un partigiano, un eroe. Non un valente storiografo né un acuto analista delle vicende politiche, eppure, in tutto quel che dice, pare un uomo sincero.

Rolando Cavandoli scrive nella Presentazione: “Questo continuo alternarsi di fatti e di considerazioni generali, di eloquenti, drammatiche descrizioni di violenza e di valutazioni morali e politiche, produce un inevitabile appesantimento del testo ma risponde d’altro canto a una precisa funzione che Malaguti ha inteso dare a questo lavoro, quella cioè di essere esatto, convincente fino al limite del puntiglio.” – questa frase non mi trova granché d’accordo. Per giungere a tanta disamina, egli ha sicuramente “raccolto una somma così vasta di informazioni e di notizie sparse in diversi testi che, necessariamente, sono noti soltanto a un piccolo numero di lettori particolarmente impegnati e che qui si ritrovano in una stesura unificata e di più comoda consultazione.” – su questo non vi sono dubbi.
Il termine banale deriva dal germanico ban, nonché dal latino medioevale, bànnun, da cui anche bando, legge). Comincio a scrivere questa reazione dopo aver letto il capitolo XXIV, che tratta del malcostume in Italia. Le affermazioni dell’autore sono spesso banali, in quanto vere e conosciute ai più; quando non lo sono, esse appaiono dubbie (il che non significa che siano errate).
Un esempio di banalità (vera, che però necessita di un banditore che abbia il coraggio di dirla): “… le religioni propagandavano l’immortalità dell’anima umana dopo l’estinzione terrena, come pure predicavano la propaganda dell’affratellamento degli uomini alla cieca sottomissione e subordinazione alle caste sfruttatrici.”
L’autore concepisce l’idea di questo saggio (che è in realtà una raccolta variegata di articoli, non pubblicati, forse, ma che avrebbero potuto esserlo) durante un viaggio aereo effettuato insieme a una “numerosa delegazione” di cui Malaguti faceva parte, diretta a “Volgograd (Stalingrado)”, durante il quale “si è prodotto entro di me un senso di piacevole emozione”, e “all’altezza di diecimila metri la rotondità della terra è alquanto più appariscente, l’orizzonte infinito del cielo è di un azzurro cupo”. Da quell’altezza, un turbinio di pensieri lo prende, per cui “di quel globo terrestre visto dall’alto, che tanta impressione ha fatto alla mia mente, scriverò in base alla mia conoscenza di diversi eventi remoti…” – buon viaggio, caro Reclus!
Mé a sûn cunpâgn a té, Reclus, anca se a sûn mia un cunpâgn! Traduco per gli eventuali fenici, achei e illiri: io sono uguale a te, anche se non sono un compagno. In dialetto la stessa parola identifica due persone uguali, due cunpâgn, anche ma non solo in senso politico. Come vedi, ho messo la n davanti alla p, diversamente da quanto avrei fatto anni fa. Il grammatico arşân Denis Ferretti mi ha da tempo convinto che da noi, anche se sul Ferrari-Serra si è italianizzato in cumpâgn, nuêter ed Rèş, essendo fatti a môd nôster (dal véri téste quêdri, delle vere teste quadrate come ci battezzò per primo il buon Tassoni) e ci va d’inserire la n, fregandocene dell’eufonetica. Ho cambiato idea sulla pronuncia perché è degno dell’uomo poterlo fare, essendo un’opportunità che diventa un obbligo quando la realtà lo impone.
Perché a sûn cunpâgn a tè? Perché amo la verità. Perché a sûn mia un cunpâgn? Forse l’esistenza ha deciso per me, facendomi nascere in una famiglia credente in quel Dio più che in un altro. La grande differenza fra me e te è stata il coraggio: non credo avrei mai avuto l’animo di fare il partigiano, né di combattere contro chicchessia, come hai fatto tu e il tuo disgraziato ed eroico fratello Posacchio, rimanendo a casa a leggere i miei amati, e solo in apparenza innocui, libroni.
Per prima cosa raccolgo una perla: “nelle campagne chiamavano ‘prete’ il porta scaldino e braciere per il letto” – cosa che già sapevo; ignoravo però che “la tradizione di quel nomignolo dato a quell’arnese fosse derivato dal diritto che avrebbero avuto i preti, durante l’oscuro medioevo, di riscaldare per primi il letto degli sposi…” – una specie di ius primae noctis di campagna. Il fatto mi pare dubbio, poiché parrebbe che il vocabolo derivi dal latino prætepeo: intiepidisco prima, formato dal prefisso præ-, prima e tepeo, tiepido. Via che andiamo, col volo, che è ora!
“Una buona parte dei congegni umani studiati e manipolati abilmente per rapinare i popoli hanno sede a New York ed è in questa sede che pochi uomini dell’imperialismo americano possiedono più della metà della ricchezza e dei beni del globo terrestre” – un’assodata verità, riportata anche da altre fonti, che però non saprei indicare.
Scrivi che “l’uccisione del Presidente Allende” è stato “in legame con uno o più di questi giochi di borsa.” – anche questo lo si sa da sempre, ma è un bene ribadirlo per l’eternità. In Cile, e in tanti altri luoghi del globo, “i massacri del popolo nascono dal profitto capitalista.” – il che è poco ma sicuro. A New York, “non una briciola passa al popolo”, restando “nelle mani dei capitalisti americani che sono gli sfruttatori degli altri popoli e del proprio popolo, e la ricchezza la usano per accumulare altra ricchezza.” – e anche qui c’è poco da obiettare. Il fatto più grave, ti e mi pare, “è che tutte le componenti dei finanzieri di Wall Street e di altre centrali capitaliste operano lo sfruttamento ed il depauperamento nelle nazioni più povere sotto la falsa etichetta di ‘Aiuti ai popoli in via di sviluppo’.”
Un’altra tristezza indubbia: “… l’imperialismo americano va in cerca di fomentare guerre ovunque è possibile per garantirsi la vendita delle armi indi trarre profitto dalle sofferenze dei popoli.” Anche la prossima affermazione è vera e abbastanza tragica: “I fatti lo comprovano, va via un Presidente che ha fatto gli interessi dei capitalisti, ne subentra un altro che li continua a fare come il precedente.”
Pubblichi il saggio nel 1977: l’anno precedente era stato eletto colui che a mio parere è stato (forse insieme al recente Obama) il miglior presidente di quella imperialista confederazione, nonché, per quel che so, il meno stimato dal popolo yankee: Jimmy Carter, che non era solo quello delle noccioline, ma colui che intendeva proteggere gli interessi di tutti, anche le classi meno abbienti.
Nel capitolo IV spieghi Cos’è la CIA: anche qui sei banale, ma veritiero. E citi il tragico caso Mattei: egli quasi certamente rimase vittima di un attentato perché la sua politica sull’energia non garbava alle Sette Sorelle che gestivano e in gran parte gestiscono ancora il mercato della benzina.
Nel capitolo successivo scrivi delle religioni: “Queste dottrine di culto non accettano critiche e tanto meno insubordinazioni e sono strutturate alla militare.” – e questo spiega il motivo di tante scelte assurde e poco cristiane da parte del clero durante il ventennio fascista. “… queste gerarchie della Chiesa, per fare arretrare l’ateismo, aspirano a sviare il progresso sociale, definito ‘l’arma più ignobile dell’ateismo.” – giudizio, il tuo, terribile, ma sensato. “Le alte gerarchie delle religioni considerano il sistema classista insostituibile e da protrarsi nel tempo all’infinito, anche se è un sistema che vive nell’ingiustizia sociale.” – si tratta di una connivenza talmente millenaria che appare indiscutibile. Termini il capitolo scrivendo che “la vera cultura praticata dall’intelletto di massa, si arricchisce sempre più perché è una continua ricerca del concreto e non teme la verità e non ha colpe da nascondere, ma ricerca la verità per farla maestra della vita, perché senza verità non ci può essere cultura.” – il quotidiano del PCUS è la Pravda, Verità in russo.

“Papa Roncalli aveva compreso che movimenti sociali diversi dovevano lavorare insieme per il bene comune, senza rinunciare alla propria dottrina ed alle differenti concezioni filosofiche della vita” Come vorrei che tu conoscessi Padre Aldo Bergamaschi, che è dalle tue parti da qualche anno, e penso che vi potreste incontrare a discorrere sulla società umana in qualche parco (o in qualche bistrot, se preferite); e io vorrei tanto essere lì con voi, per sentire Aldo che ci illustra la sua divisione delle etiche, in un eu-topos dove ognuno si ciba di quello che vuole (suini, topi, eccetera), e quando vuole, ma dove chi comanda non deve opprimere chi obbedisce, e viceversa: stato, uomo, datore di lavoro, cittadino, donna e operaio: uniti dalla medesima virtù fondata sull’amore e sul rispetto reciproco. Nel suo sogno ideale, quell’etica dovrà essere il fondamento della società: non più l’economia di cui parlava Marx, ma l’amore per il prossimo, che predicava Gesù. Tutto il resto è sovrastrutturale, basandosi su quel comandamento pur così poco recepito.
Fanfani, dici, fu un uomo di destra, ex fascista. Di sicuro non era un comunista. A quanto lessi in un Espresso (non ricordo però di che data) egli fu l’unico Ministro degli Interni degli anni ‘70 che rifiutò la prebenda di centocinquanta milioni di lire (se ben rammento la cifra) che era prevista. Un altro Ministro (che poi divenne Presidente della Repubblica) non andò a ricevere l’assegno, per cui mandò la figlia, opportunamente delegata immagino. Di quel che dici di lui non posso che prendere atto e non dubitare che sia vero. Egli fu un sincero e fiero anticomunista. Ricordo che, in occasione del referendum sul divorzio, in un comizio in Sicilia disse che se avessero vinto i no le mogli avrebbero abbandonato in massa le loro famiglie per fuggire con la cameriera (antifrasi, spero, ma non credo). Il bello è che l’allora parroco di Via Adua, la domenica del referendum, ripeté il concetto durante un’Omelia che mi parve anch’essa un comizio.
“Il marxismo anche se come dottrina è estraneo alla religione, rispetta il diritto degli uomini di credere alle proprie concezioni filosofiche.” – disse un giorno un mio affine bipolare: la teoria la saccio ma è la pratica che mi riesce difficile. Un altro, non meno alienato, disse: this is the problem!
Un don di cui è meglio dimenticare il cognome (anzi no, per ironia lo indico: Russo), al termine di un comizio (di solito i preti fanno prediche evangeliche), dichiara: “L’amore al combattimento fascista, questo, Romani, è il vostro giuramento.” – e non indichi la fonte da cui trai la citazione, e questo è un grande difetto del tuo libro, che manca di note e di bibliografia.
Citi il caso “del cardinale dell’Ungheria Jozsef Mindszenty, reazionario di mentalità accanito oppositore della democrazia popolare ungherese costituitasi dopo la Seconda guerra mondiale, ed attivista campione contro gli stati socialisti” – spiegando poi che, dopo esser stato liberato “dai reazionari”, che furono quelli che si erano ribellati al “Governo popolare ungherese” che lo aveva condannato, “si pronunciò per la restaurazione del vecchio regime sfruttatore di classe.
Ma dopo quattro giorni dovette riparare sollecitamente nell’Ambasciata americana ove restò prigioniero volontario per 15 anni.” Ti scordi però d’indicare in che modo l’ancién regime fu ripristinato in quel tragico 1956.
Il capitolo IX ha un titolo lunghissimo, parendo il punto clou di un comizio: Il dissenso viene da lontano ma è sempre stato fatto tacere dalla violenza la quale anch’essa viene da lontano e continua la sua nefasta opera. “… lo stesso Cristo, in un primo tempo, servito per opprimere, si è trasformato in un Cristo rivoluzionario per liberare la popolazione oppressa dal colonialismo.” – e qui stai parlando “dei capi in seno a quelle popolazioni sottomesse, i quali sono riusciti a trasformare il movimento religioso in dissenso e i movimenti di lotta politica per la loro liberazione.” – stai qui discorrendo del Congo belga. Alcuni dissero che Cristo fu il primo socialista; per me Marx è l’ennesimo epigono cristiano, anche se era di fatto un materialista ateo. Anzi: un gesuano, direbbe Vito Mancuso.
Il capitolo successivo è La ricchezza ed il Vaticano capitalista. Parli dei questuanti che “per convincere le genti a farsi elargire l’elemosina, non esitavano al richiamo sentimentale e i ideologico del beneficio con cui ti possono ricompensare il Signore e la Madonna in cambio della questua, in aiuto alle tue miserie, a sollievo delle sue sofferenze” – e allora mi ricordo di quella volta che incontrai personalmente per la prima volta, quand’era già molto malato, il mio Aldo, che mi volle donare un libro e che, quando volevo allungargli qualche euro, lui non li voleva proprio. Lui spesso parlava nelle sue omelie dei poveri storici: al che gli dissi, mio caro amico, sono forse finiti i poveri storici?, a loro potresti trasmettere questi pochi spiccioli. Con un sorriso divertito, finì per accettarli. Disse in una sua omelia (che terrò sempre stretta sempre fra il cuore e il polmone sinistro), che non ci sono i poveri di spirito, o se ci sono non andranno in cielo, e che quelli a cui alludeva il Maestro erano i poveri nello spirito: quelli che, pur possedendo risorse superiori al necessario, non badavano a esse e, quando capitava, le donavano. Cerca quel mio Maestro, ovunque tu e lui siate, se puoi, ché allieterà il tuo tempo (se ve n’è stato lasciato ancora) e tu il suo. Tornando a quel Vaticano, che poca simpatia riscuoteva presso lo stesso Aldo, che fu allontanato per anni dalla funzione religiosa pubblica (un paio di settimane prima che il papa polacco giungesse a Reggio), tu scrivi che “durante la sua storia, non è stato solo potere religioso e potere temporale e civile, ma viceversa è sempre stato ed è più di prima potere capitalista, quindi potere di classe che sovrasta ogni contenuto evangelico.” Lo dici in modo più sintetico: “nello scontro di classe la Chiesa è sempre stata in difesa del ricco.” – e con questo sfondi una sagrestia aperta.
“L’unione Sovietica è stato il primo Paese del mondo che ha instaurato una Società Socialista senza classi.” – ma di questo ne parleremo forse a suo tempo
“L’economia dell’imperialismo americano è sempre stata di tendenza parassitaria. Essa non vuole in cambio l’equivalente, al contrario vuole imporre, altrimenti cesserebbe di essere capitalista.” – logico…!
“Il vecchio Franco”, fino alla morte, “si professava devoto cattolico e definì crociata fatta in nome di Cristo la guerra civile.” – e qui rispolvero un nome che forse stai iniziando a conoscere: Padre Aldo. Un giorno entrai in chiesa, come mia costumanza, alle 11:20, poiché, non essendo credente, saltavo i noiosi preamboli liturgici, ma ero più in ritardo del solito perché era già iniziata la sua preziosa Omelia, che era l’unica cosa che amavo della Santissima Messa. Udii un grido che Aldo ripeté varie volte e che non capivo: era greco, latino, aramaico, sanscrito? No, era arşân: Al drôven! Al drôven! Al drôven! Aldo era di Pontremoli e la sua pronuncia era quella che era. Lo adoperano!
Aveva chiesto a un anziano comunista cosa pensasse di Cristo e questi, senza alcuna esitazione, gli rispose: Al drôven! Non dico altro. Aldo invece esternò rabbia per una buona mezz’oretta, non tanto perché lo avessero ferito le parole di quell’uomo ma perché sentiva che era la miseranda verità! La disgraziata e spesso negletta pravda!
“… l’Unione Sovietica non fornisce armi alle nazioni per aggredire altre nazioni…” – in carenza di dati, sorvolo su tale informazione: come dicono da noi mi balla un occhio (e l’altro non sta fermo).
“Se arretriamo nei secoli dell’espansione colonialista degli imperialisti, vediamo che ‘divide ed impera’ è sempre stata l’arma usata e praticata in continuità dalle classi dominanti e di dominatori colonialisti per soggiogare le genti.” – condivido al 101%.
A pagina 208 parli con disprezzo dello “scrittore sovietico Soldgenitzin e del fisico Sakarov”, dicendo che furono ammiratori, il primo di Van Thieu (leader del Vietnam del Sud) e di Franco, “il secondo dei regimi borghesi che sfruttano i lavoratori e che massacrano i popoli” – ma al solito non indichi le fonti di queste notizie. Poi continui a scrivere banalità che paiono, anche se non lo sono, apodittiche: “tutto ha avuto origine dalla complicità dell’imperialismo di Wall Street”, “è sempre da Wall Street che si espande la morte.” – che è ormai il tuo mantra preferito. Parli ancora di quei due premi Nobel, chiamandoli “questi rinnegati personaggi”, ripetendo gli omaggi che lo scrittore aveva porto a Franco e a Van Thieu e che il fisico (che fu l’inventore della bomba atomica russa) era in pieno accordo “con la società borghese classista, definendola una società più democratica della socialista” – non dimentichiamo che entrambi conobbero le dittature di Stalin e di Brešnev e che furono arrestati e che lo scrittore patì le pene del Gulag. Più avanti, parli ancora dello “scrittore rinnegato Soldgenitzin” che tanto stimava quel leader sudvietnamita.
Accenni a quanto affermano (non meglio specificate) “due agenzie straniere”, che hanno diffuso la notizia che i vietcong sono brave persone che pagano persino le consumazioni al bar e che non costringono nessuna donna a prostituirsi. Erano agenzie yankee, sovietiche o delle Fær Øer?
Quando, a pagina 240, parli delle centinaia di migliaia di morti della sporca guerra in Cambogia, non puoi ancora sapere di quello che successe di lì a poco in quel paese: la guerra civile che sarà combattuta tra i “Khmeri rossi”, come li chiami tu, e gli altri (cambogiani di un’altra fazione).
Quando parli degli “schiavi” egizi che costruirono le piramidi, dimostri d’ignorare che, secondo gli storici attuali, essi erano operai, forse mal pagati, ma uomini liberi.
Sei rivoltato dal disgusto quando parli della frutta che viene distrutta, “per mantenere alti i prezzi al consumo…” – non so se “è un costume importato in Italia dalla scuola dell’imperialismo americano” – ma tutto quanto rappresenta un assurdo che fa soltanto schifo.
Torni ancora sul tuo non prediletto (ennesima mia antifrasi) scrittore russo e dalla “vera ‘gazzarra’” che è nata in Italia: “ciò è servito alle caste dominanti italiane per coprire il loro malcostume, per nascondere i ladroni del petrolio, i protettori delle trame nere fasciste, gli ambasciatori delle derrate alimentari…” – un giorno ti vorrai esprimere sulla censura e sulla libertà di pensiero e di stampa nella tua URSS? Avevo fatto un po’ finta di dimenticare il tuo primo accenno ai due beneamati dissidenti. A pagina 169 scrivi: “Ecco i ‘filibustieri’, così è bene chiamarli, che tanto chiasso calunnioso hanno fatto per il caso Solgenitsin… ” – e qui hai scordato/confuso un paio di lettere – “e Sakarov, due personalità a cui nessuno ha mai torto un capello fisicamente” – e aggiungi: “per salvaguardare i diritti umani per i detenuti torturati ed uccisi, calpestati ad Haiti, non hanno pronunciato una parola.” – e io la dico ‘sta parola, anche più di una: a leggere quel tuo capitolo XIV Ove si espande la potenza economica e politica dell’imperialismo, germogliano massacri di popoli e terribili torture fisiche agli oppositori della violenza – ove tu discetti il lettore (fra cui ora mi sono messo anch’io) sulle torture dell’America latina, il tutto mi ha fatto ricordare due opere che mi sono entrate non ti dico in quale orifizio e che sembra che non vogliano più essere evacuate: Le 120 giornate di Sodoma del marchese più orribile della storia e L’arcipelago Gulag del premio Nobel 1970 per la letteratura di Aleksandr Isaevič Solženicyn. Dalla lettura di entrambi tali massacri dell’uomo non mi sono mai ripreso. Due esecrabili finzioni? Due inconcepibili realtà?
Nei successivi capitoli (XXV e XXVI) continui a descrivere, con mirabolante perizia e dovizia di particolari, il “dilagante malcostume in Italia”: una lettura appassionante quanto deprimente.
Colgo un’interessante considerazione sul “denaro pulito”: “… un coltello usato per uccidere una persona, si insanguina, poi la stessa lama la si lava per bene e si asciuga…” – e questo mi fa venire in mente quel detto sconcio, tipico di noi arşân, che dice che quella là, che noi chiamiamo la solita, lavêda e sughêda al pêr gnân druvêda, lavata e asciugata non pare neanche adoperata. Dopo quell’atto catartico ogni cosa sembra pulita e come nuova. È una finzione su cui tutti paiono d’accordo: òm, dòni e ragâss, uomini, donne e ragazzi.
Poi parli dei due fratelli-frati Gelmini, di cui uno è Padre Eligio di Mondo X, di cui non desidero parlare perché l’argomento mi deprime. Vorrei darti però una bella (?) notizia: una loro parente è attualmente ministro, e lo fu a lungo nel passato… Se fossimo su un social saprei che emoticon apporre ora.

La tua prosa è davvero esplosiva ed energetica, complimenti! Sei un grande moralista, anche se non ho accettato di buon grado le parole con cui dici: “nell’Unione Sovietica erano state condannate alla fucilazione 5 persone, colpevoli di ave rubato”, mentre in Italia “le porte del carcere purtroppo spesso si aprono il giorno dopo, mediante il sistema di pagamento della libertà con la cauzione, usando i soldi guadagnati con la corruzione” – vi sono infatti delle condizioni per tale libertà, che è soltanto provvisoria, in attesa del processo definitivo, come sancito da una legge dello Stato.
Nel successivo, il XXVII, Perché non dirlo?, racconti una storiella maleodorante ma gustosa: “due responsabili”, si fa per dire, di “una delegazione di ex combattenti della guerra di liberazione”, di cui tu stesso fai parte, preferiscono andare “con un’auto di robusta cilindrata” in uno stato dell’Europa centrale, anziché con l’autobus come voialtri poveretti. E poi sputtanano nel vero senso della parola (spendono malamente) i loro soldi con un paio di ragazze, per poi simulare astutamente che c’era bisogno da parte di voi sottoposti di “un supplemento di 5 mila lire a testa”, dando la colpa alla fluttuazione del dollaro e a un fantomatico “guasto della privilegiata macchina usata a gironzolare per la città”. Ridicoli e ameni, questi vostri epicurei e illuminati dirigenti.
I successivi articoli trattano del fenomeno della prostituzione in Italia, dello sfruttamento del lavoro minorile, che causa invalidità e morte a bimbetti assurdamente sfruttati. Giungi a dire che “nei paesi a regime socialista, ove si è abolito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la delinquenza minorile è alquanto ridotta a confronto con gli stati borghesi, e tende sempre più a ridursi, quasi a scomparire.” – ma anche in questo caso non indichi la fonte da cui trai questi dati, che perciò peccano di valore, diventando quella che si chiama chiacchiera da bar.
Finalmente arriva il capitolo che aspettavo, il XXXI, Il caso Sakharov, un uomo, un nome, una speculazione, per nascondere ingiustizie di un sistema di sfruttamento di classe. Di questo grande scienziato e combattente morale (a cui hai ora donato una h!) ne parli quasi più nel titolo che nell’articolo, che va avanti per 13 pagine e mezzo, tese a sviscerare vari argomenti, quali “lo sfruttamento capitalista”, “Robespierre”, il “voi” fascista, “Girardengo, il boxeur Carnera”, l’Italia “democristiana”, gli “stati Uniti”, “l’astrologia” (su cui strolghi, astrologhi con numerose e sapide considerazioni), i “Babilonesi”, i “Caldei”, gli “Egiziani”, l’”America imperialista statunitense”, “Wall street”, “qualche vecchio bracciante dei comuni della Val Padana”, “il fanfarone Mussolini”, i “più di 20 milioni” di “cittadini sovietici caduti, trucidati, bruciati, schiacciati dai cingoli dei carri armati guidati dai nazifascisti”, gli arsi villaggi “di Baranavka” e di “Obukhovka”, le “guerre contro i popoli dell’oriente, contro il Vietnam, la Cambogia, il Laos”, i “colpi di stato qua e là come nell’Iran, nell’Indonesia, nel Cile e così via.” – e poi aggiungi, a mo’ di concia su tanta carne messa al fuoco: “Ma si vede che la famiglia di Sakharov non conosce questi eventi.”; e ancora: “Sarebbe meglio che Sakharov si dedicasse di più allo studio dell’evoluzione dei popoli che non sottomettersi quale strumento nelle mani dei pennaioli al servizio dell’imperialismo, per calunniare i paesi che nella loro lunga lotta hanno avuto milioni di vittime tra i loro migliori figlie che sono riusciti prima ad abbattere lo sfruttamento di classe e poi a combattere una gigantesca battaglia per difendere la loro patria dall’invasione dei nazifascisti.” E continui la tua Omelia: “Altroché fare delle sciocche ed inopportune affermazioni, dicendo che è meglio la democrazia borghese ove esiste lo sfruttamento di classe…” – qui ignobilmente tronco il riporto che va un po’ per le lunghe e dice poco di nuovo. Termini così il capitolo: “Quindi è bene amare la propria patria ed il proprio popolo e non tradire i valori storici del proprio popolo per diventare clienti e strumenti del dominio di classe dei capitalisti.”
Italo Calvino diceva che, tornando da quei paesi socialisti, si sentiva come frastornato, ma che poi si diceva che, qui da noi, non c’era altra scelta. Il suo dramma umano, che poi lo condusse altrove, potrebbe servirti da lezione (qui sono io a non saper indicare il riferimento, per cui ti chiedo scusa).
Pochi anni prima del tuo libro fu pubblicato Il mio paese e il mondo di Sacharov, che lessi a suo tempo e che molto m’emozionò, parendomi il frutto di una disamina serena, seppur spietata, della situazione russa. Opinioni…
Ti invito, per la prossima volta che non so quando e se ci sarà (e soprattutto dove), di fornire le fonti delle tue accuse. Secondo te, questo illustre scienziato e pacifista (mia doxa) espresse giudizi gravi sulla guerra in Vietnam e in Cambogia, giustificava la guerra di Israele contro il mondo arabo, esaltava il governo di Pinochet in Cile, intese anche difendere il “nazista Hess condannato all’ergastolo dal tribunale di Norimberga per i crimini commessi al servizio del nazismo.”: le tue critiche scarseggiano ogni volta di valore storico, non essendo attestate da alcuna documentazione.
Due capitoli dopo, riporti le parole di un quindicenne: “Io penso, dopo aver visto questa mostra, che un individuo non possa essere uomo e fascista nello stesso tempo.” – e traduci: “se è fascista non può essere un uomo e se è un uomo non deve essere fascista.” – la tua frase contiene una contraddizione: nel primo caso non vi è scelta: un fascista non può essere un uomo: è Altro, non è chiaro che cosa. Un uomo, invece, deve scegliere, Enten Eller, Aut Aut. È un discorso sofista che incespica su se stesso.
In XXXIV tocchi un argomento pesante: I superuomini, chi sono: “… tutti i dittatori degli stati classisti borghesi e feudali si sono eretti a superuomini e hanno lasciato nella storia feroci crudeltà: Ceauşescu era borghese? Era chiamato conducator, inteso come guida, un po’ come duce. Il fatto che alla fine conta è dove egli conduce il suo popolo.”
Lessi con l’attenzione che meritava Lettere dal carcere di Antonio Gramsci e penso che pochi patirono come lui le angherie della prigione voluta dai fascisti; dopo qualche tempo gli fu però concesso di leggere e di scrivere lettere, per cui divenne quel martire (nel senso anche ma non solo di testimone) che tutti conoscono. Mi domando se tanta (mia antifrasi) generosità fu concessa ai detenuti dei vari Gulag, nel cui arcipelago fu costretto per anni il premio Nobel che spesso citi chiamandolo rinnegato.
Aspettavo con ansia (essendo un po’ sfinito, in effetti) il tuo XXV e ultimo capitolo: Meditiamo e riflettiamo. Scrivi: “Ne hanno compiuto delle tremende stragi gli antichi romani, gli egiziani, gli spagnoli contro i popoli indiani dell’America del Sud, i baronetti del Medioevo, numerose religioni, i fascisti italiani, i nazisti, i colonialisti inglesi, francesi, portoghesi, belgi, olandesi, indonesiani ed ora in grande stile gli imperialisti americani” – e poi ne aggiungi altri nel capoverso successivo, non sapendo che pochi anni dopo l’URSS avrebbe attaccato la Cecenia e l’Afghanistan; ma già eri a conoscenza delle sue invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, di cui non dici alcunché.
Da come descrivi la società sovietica essa pare una specie di Eu-topos (termine che Aldo amava) meraviglioso. Mi pare che quel Premio Nobel per la Pace (che tu hai definito rinnegato) insisté nel sottolineare che l’etilismo era ormai una piaga nell’URSS.
Finita la lettura, mi rendo conto che la mia colpa è stata di aver saltato il commento di interi capitoli e di numerose questioni che sollevi. Si tratta di una grave pecca, lo so. Ma ho preferito scegliere le amarene da staccare dall’albero, da succhiare, gettando infine la buccia.
Reclus, ti conosco per via della tua fama e per la lettura che feci del primo tuo volume, che raccomando a chiunque. Ti so uomo onesto e retto come non mai, ma lasciatelo dire, e non offenderti: A t’ân druvê; o meglio: ti sei fatto adoperare tu, credo coscientemente. Sei stato un vero idealista e hai preferito non vedere quello che è successo nel luogo del mondo dove quell’idea per cui hai provato fino all’ultimo un’immensa passione ha avuto la sua più vasta espressione: l’URSS. Non hai mai nemmeno accennato alla figura di Stalin, né al XX congresso del PCUS del 1956, né all’intervento di Chruščëv, con cui egli denunciò i crimini stalinisti. Il tuo amico Giorgio Amendola, che era detto l’uomo del 51%, in quanto non voleva scendere a compromesso coi partiti di destra e di centro, disse in un’intervista che quella notte non riuscì a prendere sonno, essendo sconvolto. Tu, invece? Padre Aldo amava ripetere, durante le sue Omelie (e perciò le autorità ecclesiastiche lo zittirono per anni) che da secoli il Cristianesimo aveva cessato di essere un’idea da mettere in pratica, hic et nunc, ma era scaduto al rango di religione (sottinteso: come tutte le altre). Come il tuo comunismo, Reclus?
Tu mi ricordi l’amico Osvaldo (che, anche lui, da anni si trova dalle tue parti), così orgoglioso di chiamarsi Rossi e di abitare in via Rivoluzione d’Ottobre, al numero 1!, e quel numero lo gridava con orgoglio. Egli era una persona che, se avesse incontrato Gesù e Lenin, avrebbe salutato con cortesia il primo e abbracciato con ardore il secondo. Quando morì Brešnev, Osvaldo ne fu molto addolorato. Mi disse poi che il suo successore era ugualmente una brava persona: e di questo era certo, avendone una fede assoluta.
Tu, Osvaldo e Aldo siete sicuramente delle persone virtuose. Gli altri due le ho incontrati di persona, tu soltanto grazie ai tuoi libri. Non per questo il ricordo che avrò di te sarà meno caro.
E io comincio ora a sognare d’imbattermi un bel giorno in quei due (Gesù e Lenin) e in voi due (Osvaldo e te) e nel mio carissimo e amatissimo Aldo, ed essere insieme a voi, sesto tra cotanto senno. Questo non è una Fede, ma una Speranza che non mollerà mai. Ma forse, per farla vivere, occorrerà morire.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Reclus Malaguti, È da Wall Street che si espande la morte, Tecnostampa Edizioni