“Sessanta racconti” di Dino Buzzati: la realtà appare trasfigurata

Dino Buzzati è stato un uomo di cultura poliedrico: scrittore, giornalista (collaborò precocemente con il Corriere della sera), librettista, pittore, scenografo, costumista…

Sessanta racconti di Dino Buzzati
Sessanta racconti di Dino Buzzati

Espresse il suo estro versatile con uno stile narrativo che definirei “acrobatico”: dalle volute degli scritti umoristici alla compostezza mai tediosa di quelli improntati a maggior riflessività.

Definito a più riprese “il Kafka italiano” (appellativo che peraltro lo perseguitò) per le sue composizioni spesso surreali, fu autore di opere memorabili tre le quali Il deserto dei Tartari, Barnabò delle montagne e Il segreto del Bosco vecchio, dalle quali furono tratti due omonimi film ad opera di Mario Brenta ed Ermanno Olmi.

Con i suoi Sessanta racconti vinse il Premio Strega nel 1958: opera fruibilissima anche dal lettore contemporaneo grazie allo stile moderno e mai greve.

Mi soffermerei in particolare su due racconti emblematici della filosofia di Buzzati: Sette piani e L’uomo che volle guarire.

Il primo è quasi un lungo aneddoto, narrante le vicissitudini sanitarie di Giuseppe Corte che, recatosi in un esclusivo sanatorio per curare una malattia incipiente, degrada scalando a ritroso e in picchiata i sette piani della casa di cura, in una progressione kafkiana (eh, sì!) di gravità: per una serie di equivoci si ritroverà alla sezione dei candidati all’obitorio.

Mi ha ricordato la convinzione popolare della generazione dei miei nonni: «All’ospedale ti fanno morire».

Un estratto:

“«Ma son così gravi al quarto piano?» domandò cautamente.
«Oh Dio» fece l’altro scuotendo lentamente la testa non sono ancora così disperati, ma c’è comunque poco da stare allegri».
«Ma allora» chiese ancora il Corte, con una scherzosa disinvoltura come di chi accenna a cose tragiche che non lo riguardano «allora, se al quarto sono già così gravi, al primo chi mettono, allora?»
«Oh, al primo sono proprio i moribondi. Laggiù i medici non hanno più niente da fare. C’è solo il prete che lavora…»”

Il racconto L’uomo che volle guarire mi ha riportato alla scena finale de La leggenda del Pianista sull’Oceano, a dimostrazione del fatto che, pur essendo la creatività pressoché inesauribile, le tematiche tendano a reiterarsi e l’idea portante può essere condivisa.

Il nobile Mseridon finisce in un lebbrosario, un vero e proprio lazzaretto dove la vita si svolge cadenzata in una simil-normalità, vista l’irreversibilità della condizione degli ospiti e la sopraggiunta rassegnazione.

Dino Buzzati - Photo by Avvenire
Dino Buzzati – Photo by Avvenire

Ansioso di tornare ai propri possedimenti e ai divaghi della condizione pregressa, Mseridon assorda Dio con una preghiera prolungata ed incessante, finché ottiene l’agognata guarigione: accade però che al momento della fuoriuscita dall’“albergo” la realtà esterna gli appaia ripugnantemente trasfigurata, data l’azione trasformativa operata dall’interno dalla preghiera, che gli ha fatto redigere intimamente una rinnovata lista assiologica.

“Dinanzi a lui, di colpo, la visione era cambiata. E al posto delle torri e delle cupole, giaceva adesso un sordido groviglio di catapecchie polverose, grondanti di sterco e di miseria, e invece degli stendardi sopra i tetti, nugoli caliginosi di tafani come un infetto polverone.”

“«Sei ricco, ma adesso i soldi non ti importano, sei giovane ma non ti importano le donne. La città ti sembra un letamaio. Eri un gentiluomo, sei un santo, capisci come il conto torna? Sei nostro finalmente Mseridon! L’unica felicità che ti rimane è qui tra noi, lebbrosi, a consolarci… Su, sentinella, chiudi pure la porta, noi rientriamo». La sentinella tirò a sé il battente.”

 

Written by Barbara Orlacchio

 

Bibliografia

Dino Buzzati, Sessanta racconti, Mondadori, 1994

 

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