“La Miorița – La pecorella veggente” saggio di Mircea Eliade: trasfigurare la morte e trionfare sulla sorte
“[…] Poi, quando tutto/ sarà preparato,/ metti vicino a me/ un piccolo flauto di faggio,/ che dice molte cose dolcemente,/ un piccolo flauto d’osso,/ che dice molte cose tristemente,/ un piccolo flauto di sambuco,/ che dice molte cose fortemente!/ […]” – “La Miorița”

Nel 1850 il poeta, scrittore e politico romeno Vasile Alecsandri (Bacău, 21 luglio 1821 – Mircești, 22 agosto 1890) pubblicò, nella rivista “Bucovina”, una versione letteraria della ballata popolare “Miorița”.
Vasile Alecsandri, sin da giovane, si interessò di folklore ritenendo questa ballata molto significativa non solo per la tradizione romena ma anche perché dimostrava il genio letterario di un popolo oscurato dalle vicessitudini storiche. Decise di intitolarla, per l’appunto, “Miorița” (pecorella, agnella). E, da questa prima pubblicazione, si aprì un vero e proprio caso europeo, la ballata divenne subito celebre e molti studiosi (e poeti) si cimentarono nello studio della sua genesi oltre allo studio più prettamente letterario.
Fra questi anche lo storico delle religioni, filosofo, saggista ed accademico romeno Mircea Eliade (Bucarest, 13 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile 1986) dedicò un intero saggio alla ballata, denominato “La pecorella veggente” ed inserito nel 1970 in chiusura del libro “Da Zalmoxis a Gengis Khan – Studi comparati sulle religioni e il folklore della Dacia e dell’Europa orientale” (recentemente ripubblicato da Edizioni Mediterranee con traduzione di Alberto Sobrero e curato da Horia Cornelius Cicortaş).
Nell’attento studio, Eliade presenta ai lettori le varie interpretazioni effettuate nel corso di un secolo e mezzo cercando di mostrare le tappe più importanti dell’esegesi della ballata che, fondamentalmente, si suddivide in tre tipologie: lo studio degli storici, dei folkloristi e dei poeti e filosofi.
La “Miorița” racconta di tre pastori, due dei quali si accordano per uccidere il terzo così da rubare le sue pecore, ma la sua pecorella preferita viene a sapere del piano dei due e lo racconta al pastore per provare a salvargli la vita. Il pastore reagisce in un modo inaspettato: accetta la morte e chiede alla pecorella di riferire ai due pastori le sue volontà di sepoltura, e successivamente di raccontare due storie diverse: una per il suo amato gregge e per i suoi fedeli cani ed una per sua madre che sarebbe di certo venuta a cercarlo.
Mircea Eliade si sofferma su molteplici chiarimenti di cui non si tratterà in questo breve articolo ma di cui se ne consiglia l’attenta lettura (come, ad esempio, lo sdegno di una cerchia di poeti e scrittori che hanno considerato la ballata insignificante a livello letterario). Fondamentalmente sono emerse due posizioni: una tratta l’accettazione della morte da parte del pastore come il giungere alla felicità, l’altra invece si rammarica della rassegnazione e del pessimismo verso la vita.
Eliade, inoltre, riporta una comparazione delle varianti raccolte in tutta la Romania constatandone una diffusione su larga scala in tutto il territorio ma anche in Iugoslavia e Macedonia. Lo storico Ion Daconu (1903-1984), riguardo alla regione della Vrancea (attualmente situata parte in Moldavia e parte in Muntenia), ha constatato che soltanto nelle chiese non si era soliti cantare la Miorița estendendone la tradizione in tutti i contesti popolari.
Verso le due posizioni contrapposte, il nostro autore ha scartato la possibilità di pessimismo e ha cercato di convalidare alcune tematiche presenti nella ballata che, invece, descrivono la forza del popolo romeno e la sua antica tradizione spirituale. Infatti, accenna brevemente a Zalmoxis e alla concezione dell’anima come immortale (di cui tratterà in modo molto approfondito nel secondo saggio presente nel medesimo libro) per confermare la volontà del pastore di considerare la morte come un matrimonio di proporzioni cosmiche.
È innegabile la rivelazione dell’unione mistica tra l’uomo e la Natura rappresentata dalle richieste dello stesso protagonista: il luogo della sepoltura, gli oggetti (flauti) che, grazie al vento, continuano la melodia che lo stesso era solito suonare alle sue amate pecorelle, la presenza del Sole, della Luna, delle Stelle, dei monti, dei faggi e degli uccelli.
L’ambientazione è pre-cristiana in quanto la ballata risulta mancante di riferimenti alla religione monoteista ma intrattiene, invece, legami con una simbologia più antica che permette al pastore di attraversare le “nozze mioritiche” trasfigurando la sua morte e trionfando sulla propria sorte.
La sua compagna – una pecorella veggente – rivela ciò che è stato stabilito, un’eco ad Ananke, sovrana del destino degli uomini a cui il giovane pastore non si oppone ma accoglie avendo, però, la possibilità di scegliere il luogo nel quale far riposare le sue spoglie. Anche in questo caso ci troviamo di fronte all’antica concezione della funzione di guida e di oracolo da parte degli animali (Eliade parlerà diffusamente di questa funzione in un altro saggio intitolato “Il principe Dragoș e la caccia rituale”, presente nello stesso libro) e la pecorella veggente ne incarna la duratura usanza.

Questa precisa volontà di nascondimento della propria morte terrena porta il lettore alla riflessione sulla voluta immortalità in quanto sia il gregge (ed i cani) sia la madre potranno solo essere lieti per il pastore pensandolo, per l’appunto, legato in matrimonio con “la prima delle regine/ la padrona del mondo”. L’unico dettaglio non esplorato dall’autore è il perché della differenza che intercorre tra la storia da narrare alle pecore e quella alla madre che, seppur simile, differisce per il rituale cosmico. Forse perché l’essere umano non è più in grado di celebrare la Natura e le antiche tradizioni? O forse perché la madre avrebbe per, l’appunto, compreso che dietro al matrimonio cosmico si nascondeva un rituale funebre?
Non si andrà oltre nel presentare i diversi approdi di questa splendida ballata (come ad esempio la parte relativa alla consuetudine dei matrimoni postumi), si consiglia di leggerne i versi e successivamente di acquistare il libro per una lettura approfondita. Si chiude con la toccante interpretazione del musicista, attore e poeta Tudor Gheorghe.
“Attraverso colline in fiore,
soglie di paradiso,
scendono nella valle,
tre greggi di agnelli,
con tre pastorelli:
l’uno di Moldavia,
e due di Valacchia.
Questi due stranieri,
cominciano a parlare;
Dio! Si proposero
di uccidere d’un colpo,
al cader della sera,
questo pastore moldavo,
perché era il più ricco,
e sue erano le pecore
più belle e cornute,
e i cavalli superbi,
e i cani più forti.
La sua pecorella preferita
da tre lunghi giorni
non tace mai.
È triste,
non le piace più l’erba.
«Oh Miorița grigia,
grigia e riccioluta,
da qualche giorno
tu non fai che belare,
l’erba non ti piace più.
Sei forse malata?
Dimmi, mia cara Miorița»
«Pastore, mio caro pastore,
conduci il gregge
nella foresta nera,
dove si trova
l’erba per noi,
e l’ombra per te.
Pastore, mio caro pastore,
porta con te un cane,
il più forte, il più fedele,
ché altrimenti gli altri
ti uccideranno d’un colpo,
al cader della sera.»
«Oh pecorella dolce,
tu che vedi il futuro,
se stasera io morrò,
in questa valle in fiore,
di’ loro, pecorella cara,
che mi seppelliscano
vicino a tutti i miei beni,
per udire i miei cani,
nel mio recinto,
presso di voi, mie care.
Poi, quando tutto
sarà preparato,
metti vicino a me
un piccolo flauto di faggio,
che dice molte cose dolcemente,
un piccolo flauto d’osso,
che dice molte cose tristemente,
un piccolo flauto di sambuco,
che dice molte cose fortemente!
Quando il vento soffierà,
i fluati suonerà;
allora si raccoglieranno le pecore,
e piangeranno per me
lacrime di sangue.
Ma tu, amica, dell’assassinio
non dir loro!
Ma di’ chiaramente,
che io mi sono sposato
la prima fra le regine,
la padrona del mondo;
che alle mie nozze
è caduta una stella,
che la luna e il sole
hanno tenuto la mia corona.
Di’ loro, mia cara pecorella,
che i grandi monti
erano i miei officianti,
i faggi i miei testimoni,
gli uccelli di bosco
i miei suonatori,
e le stelle le mie fiaccole.
Ma se tu vedi
una vecchia madre,
che corre con occhi lacrimosi
per i campi in fiore,
e a chiunque incontri
a tutti dice:
Chi ha visto,
chi ha conosciuto
un fiero pastorello,
dalla vita snella
come un principe?
Il suo visino
È spuma di latte,
i suoi baffi
sono spighe di grano,
i suoi capelli
sono piume di corvo,
i suoi occhi
sono more di campo!
Tu, pecorella mia,
dille chiaramente,
che mi sono sposato
la prima fra le regine,
la padrona del mondo,
in un bel paese,
in un angolo di paradiso.
Ma a mia madre
non dire, ti prego,
che alle mie nozze
è caduta una stella,
che la luna e il sole,
hanno tenuto la mia corona,
che i grandi monti
erano i miei officianti,
i faggi i miei testimoni,
gli uccelli del bosco
i miei suonatori,
e le stelle le mie fiaccole.»”
Written by Alessia Mocci
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