Edera Film Festival 2022: fiore all’occhiello dell’estate culturale di Treviso, dal 3 al 6 agosto

Nato nel 2018, giunge alla quarta edizione l’Edera Film Festival di Treviso dedicato ai registi under 35: insostituibile e, per quest’anno, unica sede dell’evento da mercoledì 3 a sabato 6 agosto 2022, il Cinema Edera aprirà le porte a numerosi artisti emergenti che avranno occasione di incontrare un pubblico curioso e ricettivo, quale in decenni di onorato servizio il multisala ha saputo attirare e progressivamente crescere e accrescere.

Edera Film Festival 2022
Edera Film Festival 2022

Aperto nel lontano 1960 a due passi dal centro storico e rilevato nel 1972 da Sandro e Lilli Fantoni, all’epoca sposi novelli e ancor oggi coppia salda e vincente a casa come sul lavoro, da non meno di 50 anni l’Edera promuove esplicitamente la cinematografia di qualità, spesso indipendente e persino di nicchia, potendo vantare d’aver tenuto a battesimo, sul territorio provinciale e non solo, autori di futura fama come Fassbinder, Herzog, Almodóvar, Egoyan, Leconte, Reggio, Kiarostami, Martone, Sorrentino, i fratelli Coen e molti altri.

Il medesimo spirito anima il festival, il quale a partire dalla terza edizione si colloca in un momento storico contraddistinto da una vulnerabilità che si rivela drammatica per molte società: l’avveduta determinazione della famiglia Fantoni, rappresentata in seno alla FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) delle Tre Venezie dalla figlia Giuliana, divenutane Presidente nel 2020, ha stimolato un progressivo ritorno in sala a seguito delle recrudescenze pandemiche più gravi.

L’affluenza si è rivelata tale da meritare nel dicembre 2021 l’assegnazione del Biglietto d’oro, riconoscimento dell’ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) ottenuto, nella categoria di riferimento (contestualmente, l’esercizio in un comune fra i 50.000 e i 100.000 abitanti), dai cinema che hanno registrato a livello statale il più alto numero di presenze nell’annata precedente.

Pur certamente fiduciosi in un avvenire ugualmente e ancor più prospero, nessuno in Piazza Martiri di Belfiore riposa sugli allori: contrastare l’assenteismo nei cinematografi e la tendenza sempre più diffusa a prediligere la pigra e distratta fruizione dei film sulle piattaforme digitali è una sfida ingaggiata a beneficio non solo dei locali adibiti alle proiezioni, ma anche dei cineasti, specie quelli del prossimo futuro, e dell’arte di cui sono chiamati a farsi esponenti.

Conducendo ricerche meticolose in un mercato che, contratto com’è, rispetto al recente passato rischia di offrire un minor numero di prodotti realizzati da giovani registi, Edera Film Festival non vaglia soltanto opere di qualità, suddividendole fra le categorie in concorso (lungometraggi, documentari e cortometraggi) e collaterali (fuori concorso ed eventi speciali), bensì intende avvicinare le maestranze che vi stanno dietro agli spettatori in platea, quasi una cinquantina dei quali saranno investiti del ruolo di giurati del pubblico.

Senza ricorrere a ulteriori intermediari e preferendoli a una vox populi che sui social diviene spesso sentenziosa e sterile, l’incontro con gli ospiti è inteso come occasione di confronto fra autori e destinatari sulle miriadi di aspetti tecnico-espressivi, le poetiche sottese e le intenzioni comunicative dei titoli presentati, di scambio di opinioni sui significati e i possibili rimandi, di condivisione delle emozioni suscitate fra crediti di testa e di coda, non ultima di ri-affezione per il grande schermo e il fascino dell’abbandonarsi al godimento di uno spettacolo comunitario irriproducibile in qualsivoglia salotto casalingo.

Qualità e varietà s’accompagnano nella selezione dei 36 lavori che vanno a costituire il programma odierno, alcuni dei quali verranno insigniti di quattro riconoscimenti speciali, oltre a quelli assegnati dalle giurie tecniche e del succitato pubblico: il Premio Fondazione Benetton Studi Ricerche “Paesaggi che cambiano”, il Premio Rotary Club Treviso Terraglio, il Premio Astoria “Celebrating Life” e il Premio Epson.

Alcarràs - L’ultimo raccolto
Alcarràs – L’ultimo raccolto

È risaputo che i tempi che intercorrono fra un progetto cinematografico e il successivo, specie se si tratta di lungometraggi affidati a professionisti emergenti, possono dilatarsi fino a diversi anni; è già successo tuttavia che la mission del festival portasse frutti concreti e a dir poco soddisfacenti: “Estate 1993”, menzione speciale alla prima edizione, ha funto da trampolino per la talentuosa Carla Simón, insignita quest’anno dell’ambitissimo Orso d’oro per lo splendido “Alcarràs – L’ultimo raccolto” (naturalmente incluso nella programmazione del Cinema Edera per diversi giorni).

Notizie verosimilmente più note, i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, che risultarono i prediletti dall’audience del 2018 grazie a “La terra dell’abbastanza”, si sono distinti in seguito fra i trionfatori a Berlino e ai Nastri d’argento con “Favolacce” e sono stati ammessi in concorso a Venezia con “America Latina”, film questi accolti non da unanime consenso ma, fatto di certo più rilevante, con fervente curiosità di critica e pubblico (di nuovo, l’Edera non ha mancato in entrambi i casi di sollecitare il dibattito).

Possibile dunque, e auspicabilmente probabile, che pure fra i concorrenti di quest’anno si celino nomi di cui si tornerà a sentir parlare nel prossimo avvenire. Anche per questa ragione di seguito si tenterà di tracciare alcune direttrici tematiche o di altra natura a partire dal nutrito elenco di opere, allo scopo di suggerirne portata e ricchezza e magari offrire qualche utile indicazione ai potenziali spettatori, affezionati o “di primo pelo”, che vogliano assistere agli esordi di tanti autori di talento.

Anzitutto si dirà di tre graditi ritorni, tre registi che hanno concorso ciascuno in una delle edizioni passate: Michele Sammarco (“Il monte interiore”), la cui affascinante documentaristica di stampo antropologico giunge a tingersi di fiabesco; Valerio Vestoso (“Le buone maniere”), che si avvale dell’inconfondibile fisionomia di Giovanni Esposito per mettere alla berlina la camorra; e Alessandro Porzio (“Come a Mìcono”), che si inventa un paesino del meridione in crisi demografica ma disposto a tutto pur di rinvigorire il proprio appeal turistico.

Con l’ingresso di due nuovi Paesi, viceversa, nel 2022 i confini geografici del festival vengono ulteriormente ampliati: ecco a voi la fredda Danimarca, rappresentata dal grottesco, a tratti esilarante ma anche angoscioso lungometraggio “Wild Men”, diretto dall’autodidatta Thomas Daneskov e incentrato sulla vicenda di un uomo che rinuncia alle comodità dell’era tecnologica per tornare a vivere nella natura incontaminata; e il Libano di cui sono originari la regista Dania Bdeir e il danzatore del ventre Khansa, il quale nel corto “Warsha” si esibisce in niente meno che una coreografia a diverse decine di metri dal suolo.

Alla danza e le sue potenzialità espressive sono dedicate altre due brevi opere: il suggestivo “Intertidal.Barene”, girato dal collettivo Confluenze sui sottili lembi di terra emersa nel bel mezzo della laguna veneziana, e “Stephanie”, potente ritratto di una talentuosa ballerina 11enne che si affaccia allo spietato mondo agonistico degli adulti, firmato dal belga Leonardo van Dijl.

La contaminazione fra le arti prosegue in “Pupus” (Miriam Cossu Sparagano Ferraye), “Fort Apache” (Ilaria Galanti e Simone Spampinato) e “Stiglitz” (Nicolò Bressan Degli Antoni), tre finestre che si affacciano ciascuna sui palchi teatrali, restituendone prospettive assai distanti fra loro: nel primo caso protagonista assoluta è l’opera dei pupi, le cui tecniche vengono custodite e trasmesse dalla famiglia Mancuso in un quartiere di Palermo; nel secondo vengono seguite le prove dello spettacolo “Famiglia”, realizzato da Valentina Esposito con la collaborazione pressoché unica e totale di attori incarcerati o da poco restituiti alla libertà; nel terzo si fantastica sul desiderio arduo a inverarsi di un ragazzo veneziano, attratto dal mondo celato dietro al sipario, lusingato da numerosi aiutanti ma osteggiato dalla propria stessa famiglia.

Pneuma di Alberto Diana
Pneuma di Alberto Diana

C’è spazio anche per la musica grazie al corto di Alberto Diana, “Pneuma”, nel quale si assiste al muto e sapiente lavoro artigianale eseguito dai Palmas, famiglia di maestri organari radicati nell’entroterra sardo. A documentare eventi storici recenti e remoti sono preposti invece “L’asino che vola”, dove il regista Marco Piantoni vola a Nouakchott per incontrare il leader mauritano dell’Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista Biram Dah Abeid, e “Ci salvarono gli alberi”, nel quale Elisabetta Dini inanella le testimonianze degli ormai pochi superstiti ai raid antipartigiani perpetrati dai nazisti sulle Alpi Apuane.

Pagine ancor più recenti sono affrontate da Elena Della Giustina e Anna Trevisiol in “Voci. Tra ricordi e pandemia”, girato interamente presso la residenza per anziani Casa Amica di Fregona (in provincia di Treviso), e da Stefano D’Antuono e Bruno Ugioli nel loro personalissimo lungometraggio “Manuale di storie dei cinema”, il quale, se muove dall’immediata diffusione nel torinese del cinematografo a seguito degli esperimenti dei Lumière, giunge per l’appunto sino alle crisi più recenti dovute alle chiusure coatte ai tempi del Covid.

Ulteriori declinazioni del macro-tema della sofferenza sono sviluppate dal film turco “Pure White”, diretto dal debuttante Necip Çaghan Özdemir e incardinato sull’analisi spietata della condotta del suo protagonista, macchiatosi di un’orribile colpa ma al tempo stesso considerato uomo retto e pienamente osservante dei dogmi coranici; e da “Big”, breve racconto di Daniele Pini che vede, al momento opportuno, un’emarginata sociale avere la propria esplosiva rivincita su tutti coloro i quali hanno abusato di lei.

Abusi di natura segnatamente sessuale costituiscono l’argomento di due cortometraggi, “Don’t Tell Anyone” e “Uruguay”, affidati alla regia l’uno dell’iraniana Sahar Sotoodeh e l’altro dell’italiana Andrea Simonella: in entrambi, l’accento viene posto sul dolore sopportato silenziosamente dalle vittime, acuito dall’assenza di persone su cui poter contare davvero.

L’isolamento e la solitudine venano anche le vicende di “Maṇḍala”, che Marco Scola Di Mambro, nipote del celebre Ettore, dedica alla figura di Sanjeev, benzinaio di periferia abusivo e straniero con cui nessun cliente pare volersi relazionare, e di “Roy”, nel quale Tom Berkeley e Ross White narrano di un anziano signore che, sfogliando l’elenco telefonico alla ricerca di qualcuno che conversi con lui, si collega inavvertitamente a una hot line.

La potenza del cinema risiede anche nella capacità di trasportare lo spettatore in luoghi lontani, che possano risultare “altri” rispetto alla quotidianità vissuta da ognuno: è il caso di “Rue Garibaldi” (Federico Francioni), focalizzato sul rapporto singolarissimo tra due fratelli, tunisini di origine ma cresciuti in Sicilia, che decidono di trapiantarsi a Parigi con l’intento di rifarsi una vita; di “La saveur des mangues de Mirana” (Lorris Coulon), produzione francese realizzata nell’Isola della Riunione, 700 km a est del Madagascar, dove lo spirito della Natura regna ancora sovrano; di “The Wave” (Francesco Gozzo), esempio di parabola distopica ambientata sulle montagne di un ignoto Paese che ospita un sito segreto per il test di androidi dall’aspetto di casalinghe; infine, di “Talponi” (Vanja Victor Kabir Tognola), commedia nerissima i cui protagonisti sono i membri di una famiglia che, pur di non sfigurare di fronte ai facoltosi vicini, inscenano sui social una vacanza alle Bahamas restandosene barricati in casa.

Felicemente fuori dagli sche(r)mi si collocano due dei lungometraggi più originali entrati in competizione: firmati entrambi da registi veneti, Francesco Sossai, feltrino, e Alberto Girotto, trevigiano (già ammesso fuori concorso nel 2019 con “Per quello che sono”), sin dalle sinossi appaiono progetti che si allontanano con convinzione dai sentieri comunemente tracciati.

A contrapporre con evidenza palmare i due titoli sono l’utilizzo del bianco e nero nel primo e del colore nel secondo, ma soprattutto lo stile recitativo: “Altri cannibali” ha quasi l’aspetto di un falso documentario, comprendendo nel cast numerosi attori non professionisti che sovente si esprimono in dialetto e penetrando fino al midollo di una provincia bellunese percorsa da inquietanti figure incapaci di riconoscersi nel resto del genere umano; la sceneggiatura di “Purché sia fuori dal mondo” è invece desunta in toto dagli scritti poetici e in prosa di Ernesto Ragazzoni, giornalista anarchico attivo a cavallo tra Otto e Novecento, ragione per cui l’autore, curando dizioni eleganti, rompendo la quarta parete, costruendo in maniera ricercata ogni singola sequenza, mai farebbe mistero delle proprie intenzioni circa un’azione di messinscena così esplicita, benché tortuosa.

Curiosamente, scorrendo il programma dell’evento si nota la presenza di due coppie di opere accomunate dalla presenza di due fra i nomi più noti e amati del cinema italiano: l’uno è Giovanni Storti, che privato della compagnia di Aldo e Giacomo compare ne “L’impianto umano” (Andrea Sbarbaro), vestendo i panni di un amministratore di condominio alle prese nel 2030 con la mancanza di energia elettrica, e come testimonial ne “Il volto nascosto del cyberbullismo” (Christian Olcese e Filippo Castagnola), rapida indagine che si avvale del parere scientifico di esperti nel campo.

L’altro è Renato Carpentieri, protagonista di un lungometraggio, “Santa Lucia” di Marco Chiappetta, e di un corto, “Leggero leggerissimo” di Antimo Campanile, spalleggiato in un caso da Andrea Renzi e nell’altro da Corrado Taranto; i ruoli ricoperti sono quelli di un affermato romanziere che dopo 40 anni di latitanza torna nella natia Napoli per osservarla con altri occhi, quelli di un cieco, e di un distinto signore che, con effetto brillante, mette in guardia un amico di vecchia data da uno stato di perenne, sterile insoddisfazione.

Restano da segnalare il sedicesimo cortometraggio, “Wonders of Berlin”, girato in Germania dal toscano Antonio Padovani e così sintetico ed efficace da renderne pressoché impossibile una descrizione che vada al di là di una etichettatura di comodo (si tratta pur sempre di una “love story”) senza svelarne più dell’opportuno, e un altro brevissimo lavoro presentato come evento speciale assieme a quelli del collettivo Confluenze e del duo Olcese-Castagnola, vale a dire “Un altro Luca”, frutto di un progetto scolastico che ha coinvolto a livello amatoriale gli studenti di alcune scuole superiori di Treviso.

Non tralasceremo a questo segno di menzionare la pregiata sezione Fuori concorso intitolata “Focus Nord-Est”, dove i punti cardinali alludono alle regioni settentrionali del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia e, rispetto all’Italia, al Paese balcanico della Bosnia. In quest’ultima nazione conducono la propria faticosa esistenza tre fratelli che da un giorno all’altro si trovano costretti a sopperire all’assenza del padre, incarcerato con l’accusa di terrorismo: con delicatezza e spiccato senso della narrazione, il trevigiano Francesco Montagner ne ha immortalato il brusco processo di crescita firmando “Brotherhood”, vincitore della sezione Cineasti del presente al 74esimo Festival di Locarno.

Oltre le rive - film
Oltre le rive – film

L’asolano Riccardo De Cal, nel suo “Oltre le rive” (premiato per la miglior regia al 20esimo Ischia Film Festival), girovaga lungo il bacino del fiume Piave, il quale a ben vedere mostra ancora i segni degli scontri avvenuti nel corso della Seconda guerra mondiale, ma si popola anche di abbondanti greggi condotte al pascolo “alla vecchia maniera” e, seppur decisamente in quantità inferiori, di specie appartenenti alla fauna ittica.

Esaurisce la proposta festivaliera “Piccolo corpo” della triestina Laura Samani, premiata col David di Donatello per il miglior esordio alla regia: un dramma di ambientazione storica che offre al pubblico l’opportunità di abbandonarsi totalmente al racconto struggente e a tratti disperato di Agata, giovanissima madre che partorisce una figlia morta, senza risolversi ad abbandonarla nel limbo all’alba del secolo breve (ma di fatto, nei territori rurali in cui si svolge la vicenda, ancora sospeso in un medioevo mai terminato e anzi piagato da miserie e superstizioni).

In chiusura, si dà sinteticamente conto della delegazione di graditi ospiti che renderanno ancor più partecipata la ricchissima estate culturale trevigiana, densa, dentro e fuori le mura cittadine, di eventi musicali, teatrali, museali, enogastronomici e via dicendo. I registi, la categoria più nutrita, saranno Andrea Bozzo, Miriam Cossu Sparagano Ferraye, Riccardo De Cal, Elena Della Giustina e Anna Trevisiol, Alberto Diana, Alberto Girotto, Francesco Gozzo, Christian Olcese e Filippo Castagnola, Michele Sammarco, Marco Scola Di Mambro, Andrea Simonella e Francesco Sossai; gli attori Corrado Taranto, Francesca Bellini e Leonardo Vernier; i produttori Alvise Bressan Degli Antoni e Angelo Curti; i direttori della fotografia Petref Begaj, Edoardo Nervi e Marco Pirondini; i membri del collettivo Confluenze Anja Dimitrijević ed Emanuele Zampieri.

 

Written by Raffaele Lazzaroni 

 

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