“Recupero dell’essenziale” di Michela Zanarella: un incontro tra cultura e φύσις
“È tramontata dunque la luna e anche le Pleiadi; la notte ormai è a metà, le ore scorrono via, io però dormo sola” – Saffo

C’era una volta la poesia il cui titolo era dato dal verso iniziale. C’era una volta il tempo in cui la lettura poetica aveva un valore narrativo, distensivo, epico. C’era una volta un tempo in cui la Poesia era l’Εssenziale.
Questo C’era una volta trova reale attuazione ed attualità (in senso aristotelico, di realizzazione) nella raccolta poetica Recupero dell’Essenziale di Michela Zanarella, edita da Interno Libri.
Innanzitutto il titolo è felix, in quanto presenta l’incontro del contingente con l’universale: questo libro, come si legge nei ringraziamenti da parte dell’autrice “nasce dopo un recupero di poesie perdute a causa di un guasto irreversibile dell’hard-disk del computer”. L’essenziale potrebbe in tal senso coincidere con la “buona parte della produzione inedita” recuperata dalla Zanarella; l’essenziale è anche, però, l’insieme dei ricordi profondi che emergono attraverso le poesie.
La silloge riunisce poco più di settanta liriche, dalle tematiche diverse, anche se quelle più ricorrenti sono il mutare delle stagioni, i paesaggi, la notte, i personaggi della cultura.
Tra tutti questi temi quello della Memoria che recupera l’essenza del nostro essere è trasversale e pervasivo.
Tra le stagioni, quella più cara alla Zanarella pare l’autunno, visto come un compagno di viaggio: “Camminiamo al fianco dell’autunno/ tra gli umori di ruggine degli alberi/ e in un’onda di foglie accartocciate/ cerchiamo di capire se la terra può resistere/ al dolore che prolunga la sua scia nel vento” (Camminiamo al fianco dell’autunno).
L’autunno viene personificato e, stando accanto a lui, riusciamo a comprendere meglio qualcosa del tutto e, di conseguenza, anche di noi. L’autunno è un organismo che fa rumore, che vive, cosa che viene resa attraverso un’oculata selezione di figure retoriche di suono (allitterazione della nasale che insiste sull’autunno, della “r” che insiste sui rumori e onomatopea nel participio/aggettivo “accartocciate”).
La notte è un’altra compagna privilegiata a cui chiedere aiuto: “Chiedere riparo alla notte/ per tutto il dolore vissuto” (Chiedere riparo alla notte), dove l’infinito ha una valenza cosmica e universale; nel Tutto però gli opposti dialogano nel trapassare dall’uno all’altro: “L’alba ha ancora i lineamenti della notte/ il dialogo di luce di una stella/ non si è mai interrotto” (L’alba ha ancora i lineamenti della notte): l’assenza di punteggiatura tra i primi due versi riproduce tale unità.
I personaggi della cultura non muoiono e diventano interlocutori dell’io-lirico: “Sono ancora là/ dietro la polvere dei magazzini/ i tuoi versi di vita e di morte/ ma non è vero che nessuno li ha letti/ hanno messo le ali con la fragilità/ e seguono la morbida legge che ti governa/ spingono l’ombra di qualcuno – la tua?”. Questi versi appartengono alla lirica Sono ancora là (a Marina Cvetaeva).
Altro τόπος letterario per eccellenza, da Saffo ai giorni nostri, passando per Leopardi, è la luna: e Zanarella, poetessa accorta e accurata, non poteva sfuggire a questa tradizione. La luna è elemento molto ricorrente in queste preziosissime liriche: “La luna ha pronunciato luce/ più del solito stanotte/ l’ho vista rassicurare le stelle/ fare ciò che fa una madre paziente/ il cielo intero ha sentito l’onda del bene/ passare tra le vertebre della notte. Domani avremo un sole che supera le nuvole/ […] Troveremo nell’alba ciò che è stato scelto/ da un silenzio remoto: rugiada o porzione/ di firmamento”.
La luna, personificata come organismo parlante, come madre, è al tempo stesso paragonata con sottile accostamento al messaggio di un oracolo, il cui buon presagio spetta a noi.
Dalla “silenziosa”, “vergine luna” leopardiana non abbiamo risposte, se non il suo stesso silenzio, da cui l’uomo deve trarre il presagio negativo della sua indifferenza alla sofferenza: “Ma tu mortal non sei,/ e forse del mio dir poco ti cale” (i versi citati appartengono al Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia). Eppure Selene è sempre misteriosa, nel bene e nel male, o nell’indefinito.

Nel Panismo pensato dalla Zanarella anche l’estate resta la stagione dei ricordi per eccellenza: “Erano le estati del fieno e dei lamponi/ ai lati delle strade/ […] Pensavamo ai sogni stesi tra i sassi e le lucertole” (Erano le estati del fieno e dei lamponi). L’allitterazione della “s” produce un misterioso sussurro a cui fa da contraltare la tortuosa verticalità che la vita adulta impone rispetto al piacere dell’orizzontalità beata dell’infanzia: “ma si cresce e la vita è come la salita tra le rocce/ impari a reggerti nella terra e nella luce”.
Nel complesso queste liriche costituiscono un costante dialogo tra l’uomo e la natura, un incontro tra cultura e φύσις, nel senso greco del termine.
Si apprezzano, inoltre, la prefazione di Dante Maffia e la postfazione di Anna Santoliquido.
Personalmente ho avuto modo di conoscere Michela Zanarella a Senigallia nel mese di maggio durante un evento dell’Associazione Culturale Euterpe e ho colto subito l’occasione per farmi autografare il libro: grazie Michela, per la dedica.
Ad maiora, semper!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Michela Zanarella, Recupero dell’essenziale, Interno Libri Edizioni, Brindisi 2022, novantadue pagine, 13 euro