“Cada_veri” performance di Angelo Orazio Pregoni: espressioni caleidoscopiche di una realtà personale

Genovese, Angelo Orazio Pregoni nasce in un improbabile 1970: in quell’anno, infatti, i suoi occhi vedono la luce, ma, verosimilmente, come ne “Il volo del nibbio”, un volatile fascio luminoso colpiva quella culla, battezzando, indi, croci e delizie di una personalità eclettica e geniale…

Angelo Orazio Pregoni
Angelo Orazio Pregoni

Il tempo frange il proprio rituale comportamento, “addentro le carni” dell’autore, per danzare i versi di una liturgia “agrodolce” e diacronica; in essa, gli “attimi” del suo temperamento volitivo costituiscono le lancette di un orologio, che segna precisi istanti, qui e in ogni dove.

L’essere borderline, ivi, è privilegio, che sottolinea l’estro e la predisposizione al concretamento di molteplici manifestazioni artistiche: sono, queste, espressioni caleidoscopiche di una realtà personale intima, dissidente, a tratti, aliena, invero, straordinaria, che coinvolge una sinestesia, ove la bellezza assume sfaccettature totalmente inusuali, radicate a vizi e virtù umane.

Il suo “ciglio” traduce, allora, queste visioni, in sillogi, romanzi, fragranze, opere d’arte…

È, sempre, un improbabile 26 Aprile 2022, che vede Angelo Orazio Pregoni “affermare”, in una strada milanese, l’assurdo…

“Sappiamo che esiste una filosofia che nega l’infinito. C’è anche una filosofia, classificata patologicamente, che nega il sole. Questa filosofia si chiama cecità.” Victor Hugo

Quel giorno, l’artista, infatti, “teatra” una verità illogica: presente, come non mai, a se stesso “flette” 3 anime a terra, che digradano in un sonno eterno, per lumeggiare la fondatezza della strage della guerra.

La follia di questa performance contempla, indi, la presenza dei passanti: chiunque, in qualunque momento della storia, abbia negato una strage è, quindi, coinvolto.

L’autore sottolinea, allora, la cecità, citata da Hugo, come la sordità…

Ruba, infatti, il drappo nero, che copre gli occhi di chi volge lo sguardo altrove, per tacitare la coscienza, per interesse, per paura, per inedia… e lo stende su un suolo che, lì, è terra universale.

D’emblèe, inizia la faticosa danza tribale sulla yuta: mentre orditi e trame stridono, mutamente, quando il pennello li provoca, le frugali trame accolgono, invero, la forza di quei segni, annichilendo la fuggevolezza del pigmento oleoso. Inostra, dapprima, le profondità di quel sudario, profumandolo di vinose acque, ingredienti di una “transustanziazione”, in cui il pane, invece, sono i corpi sacrificati, in nome della sete di potere. Lo impreziosisce, anche, con la sacralità dell’obrizo.

Quel giorno, anche il cielo piange: la pioggia dona il proprio contributo, perché quella fatica acquisisca ancora più valore. Olio e lacrime, così, si mescidano, alimentando il peso di quel compito.

Cada_veri performance di Angelo Orazio Pregoni
Cada_veri performance di Angelo Orazio Pregoni

Alfine, l’artista sintetizza quella laica trinità, come un lavacro, in cui la triade di volti e le loro forme, grotteschi, digradano, fino a perdere ogni riferimento fisico, nel baptismus di una salace rivelazione. Nella composizione, si ravvisa, un punto di domanda, verosimilmente un “perché”, la cui risposta non trova posto nelle coscienze.

Nel contempo, il gioco delle mani dell’artista sembra assolvere quelle anime dal dolore: dirime le figure come se potessero varcare la soglia della tela e fuggire.

Angelo Orazio Pregoni porta, poi, con sé en Cada_veri, quella subitanea riflessione, che, invero, asciuga molto tempo dopo…  A suggellare quel rito artistico è, in ultimo, un’importante cornice in lamiera, realizzata dall’artista Marco Ventura.

Le opere dell’artista, attualmente, hanno maturato cifre di vendita a 5 zeri, grazie allo scelto riserbo e all’irraggiungibilità di quest’ultimo; a fine anno, probabilmente, “Cada_veri” verrà battuta all’asta da una nota casa d’aste italiana.

(colori a olio e bitume su yuta, passe-partout legno e foglia oro, cornice è ferro arrugginito e vernice opaca, 132 x232, anno 2022)

 

Written by Maria Marchese

 

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