“Bel-Ami” di Guy de Maupassant: tutto scorre in fondo a quell’ameno Abisso

A reagire per iscritto, inizio, un po’ frastornato, a pagina 118 (capitolo VII), quando prende la parola “il vecchio poeta” Norberto de Varenne che dice al nostro Bel Ami, tra le tante altre cose, alludendo a un uomo giudicato “molto intelligente e istruito”: “… nel regno dei ciechi, beati gli orbi. Tutti costoro, vedete, sono mediocri, il loro spirito si muove fra due limiti: il denaro e la politica. Sono tutti tangheri, caro mio, coi quali non si può parlare di niente, di niente di quello che amiamo, la loro intelligenza ha un fondo di me…” – e la parola che segue è “melma”, essendo egli un signore, anche se quell’altra che viene in mente al lettore sarebbe ugualmente giustificata.

Bel-Ami di Guy de Maupassant
Bel-Ami di Guy de Maupassant

Nella sua preziosa introduzione, Gérard Delaisement aveva dipinto a tinte foschissime il nostro bell’eroe, come una sorta di re dei furfanti, tanto che mi stavo chiedendo se e quando si sarebbe manifestato come tale.

A me talvolta fa schifo, ma anche tenerezza per tutte le volte che arrossisce, come un beota, per un nonnulla. Ora capisco: la sua miseria è destinata a crescere pagina per pagina, ma solo a un certo punto essa mi è chiara. Si tratta di un vuoto a perdere, di un uomo senza grandi qualità, di una persona da poco che sta tentando di sopravvivere in un mondo caro, da intendersi come costoso, in ogni senso, ma soprattutto finanziario.

Colgo altre frasi di quel Vate (che sia l’autore di Salammbȏ?), scolpite nel Nulla eppure mirabili: “Che importa, del resto, un po’ più di genio, o un po’ meno, se tutto deve finire?”; “La vita è un’altura. Finché si sale, si guarda in alto, e ci si sente felici; ma quando si arriva in alto, si scorge d’un colpo la discesa, e la fine che è la morte”; “… si smette di ridere, come si suol dire, perché dietro a tutto ciò che si guarda, si vede la morte…”; “… alla vostra età non significa nulla. Alla mia è terribile.”; “Vivere, insomma, è morire!”; “A che cosa tendere? Verso chi gettare un grido di disperazione? In chi possiamo credere? Tutte le religioni sono stupide, con la loro morale puerile, le promesse egoistiche, mostruosamente cretine. Soltanto la morte è certa.” – non chiamarlo, se puoi, nichilismo, che è sempre una fede, ma totale nullità di illusioni.

Rileggo il romanzo dall’inizio: “Giorgio Duroy”, ex militare, “teneva leggermente inclinata su un orecchio la tuba piuttosto sciupata, e batteva i tacchi sul marciapiede. Sembrava sempre sfidare qualcuno, i passanti, le case, la città intera, per un capriccio di bel soldato decaduto borghese” – che ormai non aveva più munizioni di alcun tipo da sparare, inerme e solo. Ma non più quando incontra un vecchio amico, “il signor Forestier”, che piglia a cuore la sua sorte e gli procura un’occupazione presso il giornale “la Vie Française”, ove lui stesso lavora.

Giorgio è un bell’uomo, che sa essere piacevole, anche per la scontrosa Laurina, una bimbetta riservata e arcigna con chiunque, che con lui parve alla madre come “addomesticata”, quando “con un movimento leggero si mise a dondolare la bimba sul ginocchio”.

Non è un genio della scrittura, ma in questo mondo perverso, dove quel che conta è l’apparenza, la cosa poco importa. A poco a poco egli acquista “attraverso gli echi di cronaca, un’agilità di penna e un tatto che gli mancavano quando aveva scritto il secondo articolo sull’Algeria, non correva più il rischio di veder rifiutati i suoi scritti d’attualità” avendo acquisito il know how nello scrivere banalità piene d’effetto. 

Due donne, entrambe maritate, l’attirano, soprattutto “la signora de Marelle”, la quale “lo allettava, con quella vestaglia sgargiante e morbida; era meno fine dell’altra, con la vestaglia bianca, meno gatta, meno delicata, ma più eccitata, più pepata.” l’altra era la consorte di Forestier, l’amico che l’aveva soccorso.

Laurina, figlia della prima signora, era sempre più presa da lui, come del resto lo è la madre, ormai. Ma è la bimba che, “eccitata dalla gioia di vederlo”, grida: “Oh! Bel-Ami”, che sarà d’ora in poi il suo vero e definitivo appellativo. Sua madre ne diviene invece l’amante, lei ricca e fine, lui squattrinato ed elegante; e lei sogna: “Mi prenderanno per una cameriera che gode le grazie di un giovanotto aristocratico.” – ed entrambi gioiscono della reciproca mistificazione. Una coppia scombinata e quasi felice. Con un inconveniente: lui non ha soldi, ma per continuare ad apparire quel che non è, accumula debiti su debiti, facendosi anticipare i compensi, per poi scialacquarli. Alcuni fatali bisticci spezzano quel legame amoroso fondato sul quasi nulla, o sul tutto, che poco cambia. Panta rei, uffa!

Indispettito da una risposta sgarbata del suo salvatore, Bel-Ami medita di renderlo becco, ma quando si approccia alla di lui moglie, questa gli mostra di non gradire il suo corteggiamento, né quello di altri, ché alcuno “si è mai innamorato di me a lungo”, e il motivo è che ogni sforzo “è inutile e io lo faccio capire subito.”donna insolitamente onesta, non c’è che dire.

Nonostante alcune sue mediocrità, poiché a modo loro brillano in questo mondo fatuo, Bel-Ami “fu nominato capo cronista e invitato a pranzo dai Walter, vide subito un rapporto fra le due notizie.” – non era spiaciuto alla moglie del suo capo.

“… la Vie Française ‘navigava su fondi e bassifondi’, manovrata da tutte quelle mani diverse.”

Pensando ai suoi lontani genitori, Giorgio “li vide, l’uomo e la donna, il padre e la madre, i due contadini dai gesti lenti, che mangiavano la minestra a piccole cucchiaiate. Conosceva le più minute pieghe delle loro vecchie facce, i minimi movimenti delle braccia e della testa. Sapeva anche quello che dicevano ogni sera, cenando l’uno di fronte all’altro.”

Mi sono ricongiunto ora al passo in cui si erge la saggezza del vecchio poeta, che dona al mondo tante frasi concettualmente negative, eppure in grado da costruire la base del suo futuro di sciacallo. Dice ancora l’anziano pensatore: “Io sono un essere perduto. Non ho né padre, né madre, né fratello, né sorella, né moglie, né figli, né Dio.” – il consanguineo più evanescente, nella maggior parte dei casi. Poi aggiunge: “Non ho che il verso”, dopo di cui alza “la testa verso il firmamento, dove splendeva la faccia pallida della luna.” – declamando qualcosa d’immortalmente vano. Il verso di un poeta è un tendere verso il cosmo, senza mai riuscire a lambirlo. Quel che conta è il gesto, l’acte gratuit, dirà un giorno Gide. Che sia una cosa bella che durerà per sempre è soltanto una fandonia (in cui credo).

Giorgio “vide uomini di finanza le cui immense ricchezze avevano all’origine un furto.”cose che noi moderni umani di certo non ignoriamonulla di nuovo sotto il sole e tutto è vanità. Questo è il cosiddetto cosmo che abbiamo ricevuto e questo sarà quello che renderemo con gli interessi alle nuove generazioni. In quel mondo di carta e di geniali sciocchezze, quel che conta è l’apparenza dell’onore. E cosa può meglio difenderlo se non accettare o proporre un pur stupido duello? Giorgio deve affrontare un collega di un altro giornale che l’aveva beffeggiato. Fatica a dormire e si sveglia tutto agitato. Io no: sono un tipo tranquillo e mancano quasi duecento pagine alla fine del romanzo.

Infatti, un nulla di fatto diventa la notizia del giorno: “Quella sera, Giorgio si fece vedere nei principali grandi giornali, e nei principali caffè dei boulevard, e vi incontrò due volte il suo avversario che si faceva vedere anche lui. Non si salutarono. Se l’uno dei due fosse stato ferito, si sarebbero stretti la mano. D’altronde, ciascuno giurava di aver sentito fischiare il colpo dell’altro.”

Giorgio, nei suoi fiacchi ed energici articoli, “si era specializzato nelle allocuzioni sulla decadenza dei costumi, l’avvilimento dei caratteri, l’infiacchimento del patriottismo e l’anemia dell’onore francese. (Aveva trovato la parola ‘anemia’ e ne era orgoglioso).”

Il resto, intanto, veniva da sé: “la signora de Marelle” si rifà viva, le si concede di nuovo, mentre l’amico Forestier è a Cannes, ove sta quietamente morendo, e la di lui moglie lo chiama affinché gli porga l’estremo saluto. Nulla va per il peggio, anzi, serve soltanto a chi sopravvive. A chi se ne sta andando Altrove non manca la lucidità di gemere con parole disperate. Dice il morituro, nel salutare la compagnia: “Tutto quello che vedo mi ricorda che, fra qualche giorno, non lo vedrò più… È orribile… non vedrò più niente… niente di quello che esiste… le più piccole cose che si prendono in mano… i bicchieri… piatti… i letti dove si dorme tanto bene… le carrozze. È così bello passeggiare in vettura, la sera… come mi piaceva, tutto…” – i libri, direi io, anche i peggiori, come no! E penso a quella nipponica saggia e miserabile che scrisse in un suo libro (che pure salverei dall’entropia) che quando leggi uno di quei mostriciattoli di cellulosa, alla fine devi solo ringraziarlo e infine gettarlo. Io scaraventerei lei nella Geenna… ma prima amerei visitare il suo ameno nido, dove lei coccola la sua anima, scovare l’oggetto a lei più caro e buttarlo dalla finestra, come si fa l’ultimo dell’anno in alcuni quartieri di Napoli. E mirare sorridendo la sua reazione. Tót i cajòun a gh ân la só pasiòun, dicevano i nostri avi. E quella altrui pare ‘na vera cajòuneda!

E poi dicono del Samsara, che è una ruota che gira, ma quel che cambia ogni volta è il ciclista: “Mai un essere si ripete!” – si lamentava il vecchio poeta. Forestier, nell’andarsene, non si dà pace, ripensando al suo personal samsara: “Durante alcuni anni aveva vissuto, mangiato, riso, amato, sperato, come tutti. E adesso, era finito per sempre. Una vita! Qualche giorno e poi più niente…” – e il suo mesto pensiero corre “alle mosche che vivono qualche ora”, alle altre bestie “che vivono qualche ora, agli uomini che vivono qualche anno, alle terre che vivono qualche secolo. Quale differenza v’era fra gli uni e gli altri? Qualche aurora di più, ecco tutto.” – magari una di quelle stringenti magie che si scorgono da una terrazza di Ravello che dà sul mare. Il samsara ammazza anche te e non ci pensa proprio a smetterla. L’unica saggezza consiste nel porgergli un sorriso beffardo. Anch’esso finirà nell’immondizia, insieme alla santa mente di chi l’ha ideato.

Interessante attestazione: Forestier ormai puzza, eppure “in poche ore, la barba era nata sul cadavere che si decomponeva, come sarebbe spuntata in qualche giorno sulla faccia di un vivo” – tutto si evolve n’coppa a ‘sta terra, ancora: panta rei, ma poi è subito sera.

Notiziuola con cui termina la Parte Prima del romanzo: Giorgio si propone alla vedova o come amico sincero e leale, o come coniuge amorevole. Lei non dice né sì né no, ma soltanto che:

  1. a) “il matrimonio per me non è una catena, ma una società”;
  2. b) “Io intendo esser libera, completamente libera delle mie azioni, delle mie risoluzioni, delle mie uscite, sempre”;
  3. c) l’eventuale marito si deve impegnare “a vedere in me una sua eguale, un’alleata, non un’inferiore né una sposa obbediente e sottomessa”;
  4. d) “le mie idee non sono quelle di tutti, lo so, ma non le cambierei.”

Giorgio parte per Parigi: “… e all’improvviso, mentre stava per perderla di vista, si avvicinò tutte e due le mani alla bocca, e le gettò un bacio. Ella glielo ricambiò con un gesto più discreto, esitante, appena accettato.” – so, per certe mie personali esperienze, che chi per sé invoca un’assoluta libertà, non scorge nemmeno l’ombra della tua. Vedremo, Bel-Ami!

Nella Parte Seconda tutto cambia e nulla muta: “Duroy lavorava di lena, spendeva poco, cercava di economizzare un po’ di denaro per non trovarsi senza un soldo al momento del matrimonio, e divenne tanto avaro, quanto era stato prodigo.” – prima il denaro lo gestiva come si fa con un servo, ora tocca a lui fare il padrone. “Egli era arrossito” – quante volte gli è capitato finora, per quante ancora succederà? È un sogno della sua origine umile. Un aristocratico s’arrossa soltanto sotto il sole, un figlio di contadini s’imbarazzerà per tutta la vita.

Duroy, diventò, nel nuovo ambito in cui si è trasferito col matrimonio, Du Roy. Ma rimarrà sempre un Bel-Ami, anche se per un certo periodo venne chiamato, per derisione, Forestier, poiché i suoi articoli tanto ricordavano quelli del defunto collega! Affinché quei tangheri la smettano, il nostro eroe minaccia: “… schiaffeggerò il primo che si permetterà di nuovo questo scherzo! Sta a loro riflettere se questa sciocchezza merita un colpo di spada.” – e nessuno più si azzarderà.

“Du Roy diventava celebre nei gruppi politici. Sentiva aumentare la propria autorità dalla pressione delle strette di mano, e dalle scappellate che gli facevano. La moglie, d’altronde, lo colmava di stupore e di ammirazione per l’ingegnosità del suo spirito, l’abilità delle informazioni e il numero delle conoscenze.” – e nell’ombra continuava la sua rispettabile attività di confezionatrice di articoli, che tanto credito aveva donato al suo defunto marito. Se Du Roy può essere definito un parvenu, lei rimarrà per sempre (ho letto l’intero romanzo) la stella fissa che ogn’ora brillerà, agendo di nascosto.

Lo stesso direttore, “il vecchio Walter”, parlando dei suoi articoli aveva notato: “Sì, c’è qualcosa di Forestier, ma un Forestier più robusto, più vibrante, più virile.” – più bel-ami, quella magica prosa sembrava ricevere un’energia esterna, che ben s’armonizzava in quell’uomo così speciale.

“Quella parola, Forestier, gli lacerava le orecchie, gli faceva paura udirla; e, se la udiva, si sentiva arrossire. Quel nome era per lui una beffa mordace, più che una beffa quasi un insulto; gli gridava: ‘È tua moglie che fa il tuo lavoro, come faceva. Non saresti nulla senza di lei.’”

Parlando della foresta del suo paese, Du Roy ricorda la “casa di qualche guardia forestale, di qualche forestier– e quel termine che gli è sfuggito ora lo adombra, per cui, una volta saputo dalla moglie che il boschetto cittadino dove sta camminando con la moglie era stato da lei frequentato anche col defunto coniuge, succede che quel vanesio abbia “voglia di ritornare a casa, un desiderio nervoso che gli stringeva il cuore.” l’immagine del fantasma dell’amico “gli era penetrata di nuovo nello spirito, lo possedeva, lo assediava. Non riusciva più che a pensare a lui, a parlare di lui.” E lo rendeva acido, facendogli chiedere alla sua fresca sposa, da così poco tempo vedova, se l’avesse mai fatto becco, e pure sbottare: “Diavolo! Se qualcuno aveva la faccia di becco, era lui. Oh! sì, oh! sì, come mi divertirebbe sapere che Forestier era becco! Eh! che bella faccia da grullo.” – così pensava di colui a cui doveva tutto, anche quella serata! E nonostante tutto, “Maddalena sorrideva, a qualche ricordo, forse…”. Ma “il mondo è dei forti, bisogna essere forti, essere superiori a tutto” – ascoltando “il respiro di Parigi, simile, in quella notte d’estate a un colosso sfinito di fatica…” – e, poche righe sotto, Guy sviluppa un’altra delle sue miracolose immagini, così impietosamente immani: “L’Arco di Trionfo dell’Étoile si ergeva all’ingresso della città sulle due gambe mostruose, specie di gigante informe che sembrava pronto a mettersi in cammino per scendere il largo viale aperto davanti a sé.” – ma basterebbe una bomba o due per polverizzare in un sol colpo quei titani.

Du Roy bacia la sua inclita moglie e “a Maddalena sembrò che le labbra del marito fossero gelide.” – l’energia era fuggita già altrove. “Però egli sorrideva con l’abituale sorriso nel darle la mano per scendere di vettura davanti agli scalini del caffè.”

Guy de Maupassant
Guy de Maupassant

Ora Du Roy e Guy de Maupassant pensano a certe donne pie, che non auspicano che di peccare, magari per caso, inconsapevolmente, “che se ne fregano del buon Dio e lo considerano una calamità, ma non tollerano che se ne parli male; e, se capita, lo usano come mezzano.” – come capita alla signora Walter che, obtorto collo e con frenesia animale, finisce per concedersi al Bel-Ami. Non pensando ad altro, poi, che a ripetere l’evento. Dopo di cui, la vita di Du Roy diventa sempre più intrisa di banalità e rutilante, colma di falsità e baluginante, zeppa di soldi ereditati e miserrima, e splendente come mai.

“Tacque. Tutti i pesci a cui non avevano gettato più pane, stavano immobili, quasi in fila, simili a soldati inglesi…” – ma erano anch’essi latini, per cui “si gettarono avidamente sulla mollica che non essendo impastata fra le dita, galleggiava, e la fecero a pezzi con le bocche voraci. La trascinarono all’altro capo della vasca, e vi si agitavano sotto, formando intorno come un mobile grappolo, una specie di fiore animato e ondeggiante, un fiore vivo caduto capovolto nell’acqua.”anch’egli facente parte di questa selvatica tribù di natanti. 

L’ultima notiziuola, prima che finisca la storia: Du Roy fa di tutto per sorprendere la moglie a letto col “ministro degli Esteri” Laroche-Mathieu e da questo acquisisce due vantaggi: 1) un ottimo motivo per divorziare; 2) tre luminosi articoli in cui descrive l’accaduto.

Egli è ormai libero di compiere l’ultimo (last but not least si direbbe a Londra) miracolo: sposare Susanna Walter, giovanissima, ingenua, nonché milionaria, dopo averla opportunamente rapita.

Il commento del di lui padre (su quelli della sconvolta madre è meglio sorvolare) non mi sorprende: “Ah! quel farabutto come ci ha giocati… È abile, però. Come posizione si sarebbe potuto trovare di meglio, ma come intelligenza e come avvenire, no. È un uomo che ha un avvenire. Sarà deputato e ministro.” – e forse anche capo di un sedicente partito democratico.

Ammonisce sempre il saggio e anziano poeta: “… l’avvenire è dei furbi!”

La migliore definizione di noi è di chi ci ha amato:Da quando ti conosco, hai sempre agito con me come un miserabile, e pretendi che non te lo dica. Inganni tutti, sfrutti tutti, prendi piacere e denaro da per tutto, e vuoi che ti tratti come un uomo onesto?”

Davanti a tanta schiettezza prendere a botte chi te la dona serve solo a scaricare i nervi. Occorre poi uscire in strada, scappando via da tutto, specialmente dalla propria anima. Però lei “era bella, elegante, con l’aria da monello e gli occhi vividi. Giorgio pensava: ‘Però, che piacevole amante!” – e forse ricordava quando, nel capitolo V, a pagina 90: “Ella filava via a testa bassa, rapidamente, a piccoli passi, un passo di attrice che lascia la scena, fra i bevitori che, coi gomiti sulla tavola, la guardavano passare sospettosi e torvi; e varcata la porta, mandava un grande respiro, come se fosse sfuggita a un terribile pericolo.” – ed era un gioco fantastico, quel nasconderello.

E cosa succede all’altra meravigliosa donna? Ce lo dice l’anziano poeta: “vive molto appartata, si dice, nel quartiere di Montmartre. Ma… vi è un ma… da qualche tempo, leggo nella Piume certi articoli politici che assomigliano terribilmente a quelli di Forestier e di Du Roy. Sono di un certo Giovanni le Dol, un giovanotto, intelligente, della stessa razza di Giorgio, il quale ha fatto conoscenza con la sua ex moglie. Da cui ho concluso che a lei piacciono gli esord…” – e qui lo interrompo, per esprimere un mio giudizio: lei è appassionata non di un qualche giornalista, bensì della politica intesa come natura da esplorare, prendendo confidenza con gli umani selvaggi che la popolano. Quella è la sua vera natura: scopritrice di eventi riservati, che da esperta antropologa e da buona scrittrice lei sa tradurre e divulgare. Ella sa trattare tutti con la medesima tranquillità, anzi, più si agitano e più cose lei sa in loro rinvenire, trasferendoli poi in alcuni scritti, pubblicati da altri.

E poi tutto scorre, attraverso quell’infimo tombino, che recano quell’umano liquido laggiù, negli umidi sotterranei dell’ormai vecchia e un po’ stolta Parigi.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Guy de Maupassant, Bel-Ami, Garzanti, 1979

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *