Le métier de la critique: il poeta può fare poesia ed al contempo fare guerra

“Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;/ Giove s’allegra di mirar sua figlia;/ l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;/ ogni animal d’amar si riconsiglia.” Francesco Petrarca

Primavera - Spring
Primavera – Spring

Il 21 marzo è stata celebrata la Giornata Mondiale della Poesia, nonché primo giorno di Primavera, stagione simboleggiata dall’imminente Pasqua: è questo il periodo della rinascita e del rinnovamento per antonomasia.

Scrive Leopardi:Primavera d’intorno brilla nell’aria, e per li campi esulta”, con una delle più belle personificazioni della storia poetica mondiale.

Ma conviene andare ancora indietro, ed esattamente a Lucrezio per poter leggere il manifestarsi della Primavera. Il poeta latino del De rerum natura sta parlando, nell’incipit del suo poema, di Afrodite e degli effetti benefici che ha sulla natura: tra questi non può mancare la rinascita della vita, immortalata nell’immagine degli animali che riprendono il loro ritmo vitale e dei fiori che, come un tappeto, ricoprono di nuovo la terra. Su questa falsariga ho già un articolo sulla letteratura greca e sulla poesia, esattamente nell’articolo Le Métier de la critique: la Primavera e l’attitudine all’osservazione dei lirici greci.

Oggi vorrei provare a dire se la poesia possa esprimere, attraverso le parole, una rinascita rispetto alla barbarie che stiamo vivendo in questi giorni, la guerra.

Pare assurdo che l’uomo possa essere in grado di “fare” poesia e al contempo di “fare” la guerra.

Poesia (dal greco poiesis) è creazione, guerra è distruzione. Già Omero, che di guerra ha scritto, lo sapeva. Analogamente sapeva che le prime vittime sarebbero state le donne. E così Andromaca predice il suo destino a Ettore per cercare di trattenerlo.

Eppure la poesia è più forte della guerra, perché permette alla guerra stessa di essere raccontata, per quanto brutale. La poesia è orazianamente “monumentum aere perennius”, qualcosa che rimane più di qualche anno, negli anni, nei secoli magari. Non per sempre, ma per molto. Solo Dio dura in eterno in quanto è ab aeterno. Gli antichi ne erano perfettamente consapevoli.

E oggi? Che senso ha festeggiare la poesia se produciamo ancora la guerra? Non basta rispondere affermando che l’uomo è pieno di contraddizioni. La contraddizione è nello stesso fare: si può fare per distruggere e fare per costruire, si possono costruire muri e si possono costruire ponti. Lo stesso prodotto della poesia può essere un falso, come sostiene Platone e come ci dimostra magistralmente lo Pseudolo di Plauto.

Un autore emblematico e testimone di siffatta complessità è Giuseppe Ungaretti, protagonista assoluto della poesia del Novecento.

Senza entrare troppo nello specifico della sua evoluzione poetica, ampiamente dibattuta da critici molto più preparati di me, vorrei soffermarmi sul primo Ungaretti, quello del Porto Sepolto (1916) e dell’Allegria di Naufragi (1919), quello delle poesie scritte al fronte.

Si tratta, probabilmente, della fase più innovativa del poeta, più dirompente anche all’interno del panorama culturale nazionale, nonostante le rivisitazioni e gli aggiustamenti che le liriche delle predette raccolte subiranno parzialmente quando confluiranno, nel 1931, nella silloge L’Allegria. Ungaretti, facendo tesoro delle esperienze simboliste e avanguardiste, perfeziona la tecnica dell’analogia, della comparazione tra elementi diversi, evidenziata dalla scarnificazione del verso e della punteggiatura.

Il poeta può far poesia - In foto Giuseppe Ungaretti
Il poeta può far poesia – In foto Giuseppe Ungaretti

In queste liriche la grandezza di Ungaretti e ciò che mi fa venire la pelle d’oca come lettrice sta nella capacità di trovare l’amore per la vita accanto alla morte, come si legge nella famosissima lirica Veglia:Un’intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d’amore// Non sono mai stato/ tanto/ attaccato alla vita” (scritta il 23 dicembre 1915 nella località di Cima Quarto).

Analogamente è incredibile la sua capacità di trovare la luce accanto al buio, magari in una giornata di fine inverno come si legge in questa lirica scritta a fine febbraio: “Mi sento la febbre/ di questa/ piena di luce// Accolgo questa/ giornata come/ il frutto che si addolcisce// Avrò/ stanotte/ un rimorso come un/ latrato/ perso nel/ deserto” (Godimento scritta il 18 febbraio 1917 a Versa).

Di fronte alla guerra, che pure Ungaretti ha voluto, esistono solo la brutalità della morte e la bellezza dell’essere fratelli: “Di che reggimento siete/ fratelli?// Parola tremante/ nella notte// Foglia appena nata// Nell’aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell’uomo presente alla sua/ fragilità// Fratelli” (Fratelli scritta il 15 luglio 1916 a Mariano).

Questo nella consapevolezza che, forse, esiste una resistenza ultima di umanità rispetto alla barbarie e che forse il poeta è colui che può dare ad essa luce: “Vi arriva il poeta/ e poi torna alla luce con i suoi canti/ e li disperde// Di questa poesia/ mi resta/ quel nulla/ d’inesauribile segreto” (Il porto sepolto scritta il 29 giugno 1916 a Mariano).

Ho visto recentemente un film ambientato nella mia Ascoli Piceno, in epoca fascista: si tratta de L’ombra del giorno, con e di Riccardo Scamarcio. In un passaggio un personaggio mostra dei libri, in particolare una raccolta di poesie di Ungaretti e dice qualcosa di simile: “lui è fascista, ma in questi versi non c’è niente di fascista”.

Un ulteriore modo per ribadire che la cultura non ha etichette, la cultura semmai sa costruire legami e unire i popoli nello spirito di pace e di solidarietà.

Del resto già Terenzio aveva così sentenziato:Homo sum: nihil humani alienum a me puto”.

Buone letture di pace e ad maiora, semper!

 

Written by Filomena Gagliardi

 

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Rubrica Le métier de la critique

 

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