Federico da Montefeltro Signore di Urbino: un sovrano illuminato od un despota?
Immagina di trovarti ad Urbino, la notte del 22 luglio 1444. Un manipolo di uomini armati, sfonda il portone di palazzo ducale e sale le scale interne. Sanno che lì c’è il Duca Oddantonio da Montefeltro, un giovane di bell’aspetto, biondo e con gli occhi azzurri. Uno tipo di quelli che le donne adorano (beato lui).
Potrebbe avere tutte le nobildonne o le popolane della sua signoria, se si premurasse di far loro un po’ di corte, ma lui ama metodi più spicci. Le fa rapire e le stupra, o le fa stuprare dai suoi amici. A volte le fa persino uccidere. È conosciuto proprio per la sua crudeltà, tanto che viene chiamato il signore dell’anima nera. Ha condannato al rogo un paggio solo perché si era dimenticato di accendere il lume all’ora consueta.
Violenza e depravazione perpetrata sul popolo con i suoi compari, Manfredi Pio e Tommaso Agnello. Due loschi figuri che gli ha fatto conoscere, Sigismondo Pandolfo Malatesta, Signore di Rimini, nemico giurato dei Montefeltro. Un modo subdolo per portare Urbino alla rovina, indebolendone le difese e poi occuparne le terre.
Al primo piano gli uomini trovano due porte chiuse ed un lungo corridoio buio. Ma da quella parte non c’è nessuno. Allora decidono di aprire la porta di destra. Manfredi Pio, uno dei due scherani del duca si è vestito in fretta, e li aspetta brandendo una spada, ma sono più svelti di lui, e lo infilzano come un tordo. Tommaso viene scovato rannicchiato sotto a un letto. Lo tirano fuori con delle alabarde ed a colpi di pugnale e di mazza ferrata lo fanno tornare nel sonno, ma quello eterno.
Ora escono al piano, e sono davanti alla porta di sinistra, chiusa. È giunto il momento di aprirla. La sfondano e trovano chi cercavano… Oddantonio da Montefeltro, nascosto dietro una tenda che impugna uno spadino che manco sa usare. Comincia a piangere disperato chiedendo pietà, ma un uomo che non ne ha mai data, come può sperare di riceverne? La risposta sono due pugnalate ed un colpo d’ascia, buono ad aprirgli il cranio.
Non ancora sazi di vendetta, gettano i tre corpi dalle finestre. La gente accorsa in strada si accanisce ancor più brutalmente sui cadaveri. Tanto per avere un’idea di cosa è quella festa macabra, pensa che qualcuno strappa il membro del Duca di Urbino e glielo infila in bocca.
Ma il popolo ce l’ha solo con Oddantonio, chiamato l’anima nera, non con la stirpe dei Montefeltro.
Qualcuno comincia allora ad invocare Federico da Montefeltro, fratellastro di Oddantonio. Fino a quando un coro di voci sostiene gridando il suo nome come nuovo signore di Urbino. Tre staffette vengono armate velocemente non appena sellati i loro cavalli. Devono arrivare a Pesaro, dove si trova Federico. Stimano di raggiungere la cittadina con tre giorni di cavallo al galoppo, senza sosta, ed altri tre per tornare, insieme al condottiero.
Se solo sapessero che Federico è già lì, in sella al suo destriero da guerra, nei boschi fuori delle mura di Urbino con la sua compagnia d’arme, che guarda sorridendo in lontananza la città illuminata a giorno dalle fiaccole della rivolta, pronto ad entrare trionfalmente la mattina dopo. Strano no? Perché è già lì? Era al corrente della congiura? O… è lui stesso ad averla organizzata?
Questo è il racconto di uno dei più grandi e scaltri condottieri medievali, un uomo astuto e coraggioso, magnanimo e spietato. Un uomo che all’occorrenza sa giocare sporco! E allora, se ti piace questa storia, seguimi in questo articolo.
Ed infatti, entrato con tutti gli onori tra le mura di Urbino, Federico firma subito dopo il perdono per i congiurati che hanno ucciso il fratellastro, quasi fossero suoi complici, e viene acclamato Signore di Urbino.
Ma chi è Federico da Montefeltro?
È il figlio illegittimo di Guidantonio da Montefeltro Signore di Urbino e fratellastro di Oddantonio. La consorte è Battista Sforza, la donna che gli darà sei figlie femmine ed un maschio.
È un tipo che ama combattere. Ed è a capo della Legione “Feltria”, una compagnia di cavalieri e fanti mercenari che ha schiacciato nel sangue molte rivolte cittadine, al soldo delle città che pagano meglio.
Certo, conosce l’arte delle alleanze molto prima che Machiavelli scriva il Principe. Si allea con tutti, e contro tutti, a secondo della convenienza politica. È con Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, contro Francesco Sforza, e le forze di Papa Eugenio IV, Firenze, Napoli e Venezia.
Poi però passa al servizio del re di Napoli, per poi allearsi con Francesco Sforza e la Repubblica fiorentina.
Secoli dopo Tolstoj dirà che un alleato deve essere sorvegliato proprio come un nemico.
Non è come gli altri signori, che trattano il popolo con spregio e sufficienza. Lui si dimostra generoso con i suoi sudditi. Nel suo regno la povertà è quasi del tutto assente. Le cronache del tempo raccontano che abbia delle specie di spie, incaricate d’informarsi sugli affari degli artigiani e dei commercianti della sua signoria… ma non per vessarli con delle tasse inique, tutt’altro. Se le cose per loro non vanno come dovrebbero, si presenta in bottega un cliente sconosciuto con un consistente ordinativo, spedito lì in incognito da Federico stesso, perché il fine non è dispensare carità, ma lavoro… che da prosperità.
È innegabilmente un condottiero tra i più scaltri, ma deve stare sempre in guardia contro uomini che tramano nell’ombra. Come Sigismondo Pandolfo Malatesta il suo più acerrimo nemico, quello che qualche anno prima aveva favorito l’amicizia tra Manfredi Pio e Tommaso Agnello con Oddantonio da Montefeltro, per indurlo alla depravazione e far cadere in disgrazia Urbino.
Nel 1446 organizza contro Federico una congiura che viene sventata dalla delazione di una popolana che racconta che alcuni congiurati hanno deciso di mascherarsi e durante i festeggiamenti di carnevale intendono uccidere il Duca.
I presunti capi sono Antonio di Niccolò da Montefeltro, Francesco di Vico e Giovanni di San Marino, che vengono tutti decapitati. Nel 1447 reprime nel sangue la rivolta scoppiata nel feudo di Fossombrone, organizzata sempre dal Malatesta, mettendo a ferro e fuoco la città e non risparmiando praticamente quasi nessun abitante. Tutti devono sapere qual è la sorte di chi osa ribellarsi al suo potere.
La resa dei conti definitiva avviene però nel 1462 quando l’esercito di Federico si scontra con le truppe di Sigismondo a Cesano sconfiggendolo definitivamente.
Ma è anche un uomo colto ed erudito, ed ama l’arte. Ad Urbino crea la biblioteca più importante d’Europa per quel tempo, con codici miniati di inestimabile valore, e lo studiolo costruito nel suo palazzo, composto da pannelli lignei che raffigurano famosi personaggi storici contemporanei e dell’antichità. Purtroppo 14 di questi dipinti oggi si trovano al Louvre visto che le guarnigioni di Napoleone hanno pensato bene di portarseli via.
Federico ha un amore smisurato per l’arte. Finanzia le opere di Paolo Uccello e di Piero della Francesca che è suo intimo amico. Si dice che ci sia il Duca come committente della Flagellazione. Uno dei quadri più famosi di Piero della Francesca. Un dipinto incredibilmente misterioso, e per certi versi esoterico ed in cui forse, il giovane biondo che sta al centro del dipinto, a destra, sia proprio quell’Oddantonio che lui ha fatto uccidere. Forse in una sorta di pentimento postumo per la morte del fratellastro.
A dispetto dell’amore per la sua amata Battista Sforza, alcune voci maligne, raccontano che nello studiolo Federico conservi gelosamente, riservato solo per la sua visione, un ritratto della bellissima Simonetta Vespucci. L’amante di Giuliano de Medici, forse raffigurata nella Nascita di Venere del Botticelli, ma sicuramente nella Primavera, dello stesso autore. Ovviamente la consorte …. se sa, si guarda bene dal protestare, per il quieto vivere della famiglia e perché in quei tempi tutto sommato tra i nobiluomini avere l’amante è quasi un dovere. Non per nulla Federico ha anche quattro figli naturali.
È sempre rappresentato di profilo, dal lato sinistro della faccia, perché la parte destra, è gravemente deturpata a causa della perdita dell’occhio, durante un torneo indetto da Francesco Sforza a Milano. In un quadro è di fronte all’amata moglie Battista Sforza, mentre i due seppur in dipinti diversi sembrano guardarsi placidamente. Mentre in un altro dipinto invece, ricco di allegorie e di propaganda si vede la luccicante armatura che indossa, simbolo della sua vita da capitano di ventura. Una sorta di cartellone pubblicitario, come a voler suggerire ai signori italiani… io sono qui con la mia famiglia, ma pronto in qualsiasi momento a scendere sul campo di battaglia, a favore di chiunque e contro chiunque. Basta che l’ingaggio sia soddisfacente. E poi il libro che legge al figlio, Guidobaldo, che regge nella mano lo scettro del potere, a sottolineare l’erudizione del condottiero ma anche la futura eredità dinastica del bambino. E poi la mitra papale, in alto a sinistra, segno inequivocabile della sua fede religiosa e della fedeltà al pontefice.
Nel 1472 alla testa di seimila armati, conquista Volterra per conto di Firenze per il controllo delle preziose miniere di allume. I suoi mercenari schiacciano la città abbandonandosi ad eccidi, saccheggi e distruzioni. E lui lascia fare. Eppure, nel 1474 ottiene da papa Sisto IV, il titolo di Duca di Urbino, che gli concede anche l’Ordine equestre di San Pietro. Ufficialmente tra lui e Lorenzo il Magnifico corrono buoni rapporti, essendo ambedue mecenati. Ma è ossessionato dall’espansionismo di Firenze, che minaccia i suoi territori, e molto probabilmente c’è lui, insieme a Ferrante d’Aragona re di Napoli, e a Papa Sisto IV, tra i mandanti occulti della congiura dei Pazzi, dove nel 1478 troverà la morte Giuliano de Medici mentre Lorenzo si salverà per miracolo. Ma a pagare saranno solo gli autori materiali del tradimento, che verranno impiccati a Firenze, mentre i veri responsabili rimarranno nell’ombra.
Muore colpito da una malattia infettiva, probabilmente malaria, durante la guerra di Ferrara il 10 settembre 1482, mentre è al comando dell’esercito del duca di Ferrara, contro Venezia. Verrà ricordato come “la luce dell’Italia”.
Fu un sovrano illuminato, o un despota? Forse l’uno e l’altro, rimanendo prigioniero delle sue contraddizioni. In un mondo medievale in cui i condottieri badavano solo al denaro e al proprio torna conto, dimostrò di essere un uomo incline alla grandiosità delle arti, della bellezza e della cultura. E non di rado si distinse per opere meritorie e di bene. D’altronde qualcuno dice che “Negli uomini, non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni.”
Written by Ugo Nasi
Un pensiero su “Federico da Montefeltro Signore di Urbino: un sovrano illuminato od un despota?”