“La favola di Eros e Psiche” di Apuleio: una traslazione della psicologia del femminile
Le Metamorfosi sono considerate l’opera più importante di Apuleio (Madaura, 125 circa – Cartagine, post 170), costituiscono l’unico romanzo della letteratura latina ad essere pervenuto a noi per intero.

La favola di Eros e Psiche di cui intendiamo occuparci si colloca nella parte centrale del corpus e si presenta come una sorta di digressione che di fatto consiste in un racconto a sé.
La bellezza della giovane Psiche è tale da implicare l’invidia della dea Venere la quale incarica il figlio Cupido di far innamorare la giovine dell’uomo più vile che esista. Ma Cupido colpisce se stesso innamorandosene perdutamente.
“La bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori dal comune che il linguaggio umano appariva insufficiente e povero non solo a descriverla ma anche solo a lodarla.”
La formula che introduce la favola: “C’era una volta” è sì quella canonica ma è quella che meglio mette in atto quel processo di sottrazione dal tempo e dallo spazio e qui, nello specifico, il lettore ascende progressivamente ad una dimensione divina in cui l’amore sacro e quello terreno suggellano la loro eterna unione.
“Bevi, Psiche, e sii immortale! Amore non sarà mai sciolto dal vincolo che lo unisce a te. Da oggi voi siete sposi per tutta l’eternità.”
Secondo Sigmund Freud il connubio avviene anche su di un altro piano: quello di due forze dirompenti: l’istintualità, insita nell’eros, e la razionalità.
Questo racconto sembra infatti rispondere all’esigenza di coloro che, vivendo in un’epoca in cui gli dei della tradizione stavano per essere desublimati dal progressivo profilarsi del Cristianesimo, avvertivano il bisogno di una nuova spiritualità.
Quella che viene raccontata è una storia che assurge ad allegoria dell’anima (Psiche) desiderosa di conoscere oltre i limiti imposti dalla divinità, e per questo punita. Può essere considerata a ragion veduta una traslazione della psicologia del femminile per cui Psiche, l’anima, collima con l’archetipo della vita stessa e s’impone quale principio dell’Eros. Psiche incarna la donna semplice e curiosa che seppur sbagliando riesce a riottenere la salvezza giacché animata da un sentimento autentico.
“Morirei cento volte piuttosto che rinunciare a questa dolcissima unione con te. Chiunque tu sia, io ti amo, ti adoro come la mia anima.”

Nella comune esperienza dell’amore tra i due amanti sussiste una sorta di congiunzione mistica, alimentata del mistero di quella unione che, avvenendo durante la notte, rimanda simbolicamente all’assenza del controllo della coscienza.
“Quanto al tuo volto, io non cerco più di scoprirlo, ormai non mi danno più fastidio nemmeno le tenebre della notte. Ho te, e tu sei la mia luce…
… Oh, audace e temeraria lucerna, vile strumento d’amore, tu hai osato bruciare il dio di ogni fuoco, tu che sei stata certamente inventata da un innamorato che voleva godere più a lungo, anche di notte, le dolcezze tanto desiderate.”
Da questa favola, Antonio Canova trasse la sua opera più romantica, Amore e Psiche (1788-1793). Sotto lo scalpello del Canova il mito raggiunse la perfezione, immortalando il momento in cui l’Anima ed Eros si fondono in un bacio eterno di pura bellezza che sancisce un sodalizio: quello tra umano e divino.
Written by Manuela Muscetta
In foto scultura “Amore e Psiche” di Antonio Canova scattata da Manuela Muscetta
Bibliografia
Apuleio, La favola di Eros e Psiche, Demetra (Giunti)