“Anna dai capelli rossi” di Lucy Maud Montgomery: un talento raro e inimitabile
Il titolo originale di questo classico dell’infanzia, che tanto intriga anche un diversamente infantile quale io sento d’essere, è Anne of Green Gables, per via del nome della casa che la ospiterà, che ha i tetti verdi. La canzone della sigla dei cartoni animati dedicati a questa mitica fanciulla mi fa preferire, per una volta, il titolo mal tradotto.

Quella casa rappresenta il sogno magico che si avvera per un’orfana derelitta e adottata per errore. “Il padre di Matthew, schivo e silenzioso come il figlio, l’aveva fatta costruire lontana il più possibile dalla gente, senza però seppellirla nel folto del bosco. Green Gables era nata così all’estremo limite della proprietà, appena visibile dalla strada principale lungo la quale si allineavano tutte le altre case di Avonlea…” – non so quanto ridente cittadina nell’isola del Principe Edoardo, Canada.
“La signora Rachel Lynde”, personaggio noto per la sua lingua acuminata, dice che in quella casetta sperduta “non è vivere, è sonnecchiare”, e che quei due fratelli spaiati e solitari “sembrano contenti della vita che conducono; ormai ci si sono abituati, penso. Un uomo può abituarsi a tutto, anche a essere impiccato, come dicono gli irlandesi…” – in Se questo è un uomo lessi che, persino in un lager spietato, si finisce per farsene una ragione della propria pur misera esistenza. Nella casa dai tetti verdi quel che mancava affatto era la gioventù, con tutto quello che essa comporta.
“La cucina di Green Gables sarebbe stata allegra e accogliente se l’eccesso di ordine e pulizia non le avesse dato l’aspetto di una stanza disabitata” – in cui le esistenze restano per lo più silenti.
Matthew, col calesse portato dalla “sua cavalla saura”, si reca a Bright River dove l’aspetta il ragazzo orfano che lui e Marilla, la sorella (anzi: la sorella Marilla e lui, il fratello) avrebbero adottato. Per un inspiegabile gioco del destino il ragazzo è una giovincella, il cui “mento era appuntito e pronunciato”, i cui “grandi occhi luminosi denotavano intelligenza e vivacità”, la cui “bocca aveva un taglio dolce” e la cui “fronte era alta e liscia”.
Per non saper né leggere né scrivere, come si dice quando uno prende la decisione più semplice, Matthew pensa che era bene portare l’infante “a casa e che fosse Marilla a dipanare l’arruffata matassa…”
Durante il tragitto, la vispa ragazzina, che si chiama Anna, fa domande ingegnose ma soprattutto immaginose, a cui il povero Matthew risponde con dei saggissimi “Mah, non saprei!”, con e senza punto esclamativo, o con un incerto “No, direi proprio di no!”, ma anche con un enigmatico “Io… mi sembra di non ricordare niente di simile.” e di un più che rassegnato “Be’, ecco… temo proprio di non saperlo.”
Alcune delle asserzioni e dei quesiti di Anna sono: “Non è meraviglioso pensare a tutte le cose che ci sono da scoprire?”, “Lei, se potesse scegliere che cosa preferirebbe: essere divinamente bello, radiosamente intelligente o angelicamente buono?”, “quel posto che abbiamo appena superato… quel posto tutto bianco… che cosa era?”, “Bello non è la parola giusta, signor Cuthbert. Nemmeno ‘bellissimo’ rende bene l’idea. È… è meraviglioso. È la prima volta che vedo qualcosa di superiore alle mie fantasie. E mi ha dato una sensazione qui, al petto, una sensazione strana, come un dolore piacevole. Lei ha mai provato un dolore, ma un dolore piacevole?”, “… per me d’ora in poi sarà sempre ‘La bianca strada delle delizie’. Davvero manca solo un miglio per arrivare alla fattoria? Sono contenta, ma anche dispiaciuta. Dispiaciuta perché questo bel viaggio sta per finire; lo sono sempre, quando qualcosa finisce…” – e mica finisce qui il suo discorso, che fluisce ancora per un bel po’. Lo stagno in cui gracidano le rane diventa “Il lago delle acque lucenti” – e la certezza Anna la ha perché, anche in questo caso, come immagino in altri punti del romanzo, ha “sentito un brivido. Quando invento un nome giusto per un posto, sento sempre un brivido lungo la schiena, succede anche a lei?” – e qui accade il miracolo, il gatto di Schrodinger è vivo e gode di ottima salute. A questa domanda il signor Culberth riesce a rispondere in modo più esteso: “Ora che ci penso, sì. Sento una specie di brivido alla vista di quei disgustosi vermi bianchi che trovo vagando il campo dei cetrioli. Mi fanno ribrezzo.” – non è proprio la stessa cosa, ma almeno quel brav’uomo ci ha provato.
Anna ammette di “avere il braccio pieno di lividure dal gomito in su, perché mi sono data una quantità di pizzicotti, oggi, per assicurarmi di essere sveglia. Ogni tanto sentivo qualcosa allo stomaco, come una morsa che lo stringesse: succedeva quando pensavo che sarebbe stato orribile se avessi scoperto che era tutto un sogno. E allora, giù pizzicotti, però se lo fosse stato davvero, sarebbe stato meglio non svegliarsi. Ma ora non pizzico più. È tutto vero, stiamo arrivando a casa!” – era mia intenzione finire il riporto molto prima, ma come si fa!, quando Anna dai capelli rossi comincia…
Ah! Mi ero dimenticato! Durante il viaggio è emerso il suo principale problema esistenziale. È rossa di capelli! E lei dice che: “… non posso immaginare di non avere i capelli rossi. Faccio del mio meglio, mi creda.” e prova anche a dirsi “degli splendidi capelli neri come l’ala del corvo”, ma sa bene che non le sarà mai consentito di “mai sbarazzarmi di questo grande cruccio. Una volta ho letto un racconto, la protagonista era una ragazza che soffriva a causa di un grandissimo cruccio. Ma non si trattava dei capelli rossi, lei li aveva di un bel biondo dorato, soffici e lucenti, che scendevano a incorniciarle una fronte di alabastro…” – chissà cos’era?
Tocca poi a Marilla Cuthbert affrontare ‘sto ciclone verbale, e questo la sconcerta un po’ e pare convincerla che Anna dovrà essere riportata il giorno appresso al collegio.
Il mattino dopo, Anna continua la sua mitopoiesi (che non ho mai capito bene cosa vuol dire, ma il cui suono è particolare): “A me piace dare un nome anche alle cose, perché in questo modo finiscono per sembrare delle persone.” – per cui anche il geranio ambisce a un nome. Del resto anche a Marilla non “piacerebbe essere chiamata ‘donna’ invece che Marilla, sì, penso che Bunny sia proprio il nome giusto. Ne ho dato uno anche al ciliegio stamattina: regina della neve, perché ha tanti fiori, così bianchi e leggeri come fiocchi di neve…” – mi dispiace lasciare per strada pezzi di questi meravigliosi ragionamenti, ma il libro c’è, e per sempre, e chiunque potrà leggerlo per l’eternità.
“Ecco un’altra speranza svanita. La mia vita è tutto un intrecciarsi di speranze svanite. È una frase che ho letto in un libro, una volta…” – ogni libro è una dispensa che dispensa l’indispensabile!
Quel che non vede, Anna se lo immagina… come la casa in cui erano vissuti i suoi ormai defunti genitori, che lei sogna “con le finestre incorniciate di caprifoglio, profumati di cespugli di lillà nel cortile e tanti ciglio selvatici accanto al cancello…” – eccetera eccetera.
Anna chiede a Marilla se le “piacerebbe essere un gabbiano? A me moltissimo… se non fossi una ragazza naturalmente. Non crede che sarebbe bello svegliarsi all’alba e volare nel cielo per tutto il giorno e, la sera, tornare al nido? Riesco a immaginare…” – un mucchio interminabile di altre cose…
Stordita da tanti discorsi, Marilla, come già il fratello, finisce per capitolare.
Il fatto dei capelli è in Anna quasi patologico: “La gente che non ha i capelli rossi non sa quanto sia spiacevole. La signora Thomas una volta mi disse che era stato proprio Dio a farmi nascere con i capelli rossi, di proposito, e da allora non mi è più importato di Lui. E poi sono sempre troppo stanca la sera per preoccuparmi di biascicare preghiere…” – ehi, signora Thomas!, se Dickens la sentisse la iscriverebbe senza esitazioni nel registro degli indagati!
Al mio paese non sono più furbi che nel tuo, Anna. Ricordo due proverbi: Al pio’ bòun di rós l à butê so médra in tal fos! il più buono dei rossi ha buttato sua madre (ma anche il padre all’occorrenza) nel fosso. Il secondo è più icastico, ma non meno stupido: I rós a pósen ed salvâdegh!: i rossi puzzano di selvatico.
Il pregiudizio che colpisce i rossi di capelli era frequente un po’ dappertutto. Basta leggere la novella “Rosso Malpelo” di Verga. L’unica cosa che va detta in questi e in analoghi casi è che sono tutte balle. Il color rosso dei capelli è naturale come gli altri ma, essendo il più raro, desta sospetti!
Anna è un essere differente, dotata di alcune peculiarità che la rendono unica: “… il suo più grave difetto sembrava una spiccata tendenza a mettersi a sognare a occhi aperti nel bel mezzo di un lavoro e dimenticare tutto finché non veniva richiamata alla realtà da un rimprovero o da una catastrofe.” – quante volte sono stato ripreso dagli adulti (nonché da quella con cui mi sono coniugato) perché avevo visibilmente la mente altrove! Si è col corpo in un luogo ma con l’anima si svolazza chissà dove.
Questa sua tendenza è consona alle altre sue caratteristiche, fra cui quell’empatia che ella riesce a stabilire anche verso chi, per natura ed educazione, è restio ad aprirsi. Per tutto ciò ormai è deciso che Anna rimarrà a tempo indeterminato coi due anziani fratelli, la cui blanda esistenza si è come ravvivata.
Anna è ora tutta infervorata perché fra poco conoscerà Diana, la figlia di una vicina di casa e il suo primo pensiero non può essere che: “Che aspetto ha Diana? Niente capelli rossi, vero? Spero proprio di no. È già fastidioso che li avesse anche la mia intima amica.” – e per Anna lo è già ancor prima di conoscerla.
“A Marilla piaceva infiorare i suoi discorsi con una buona dose di moralismo ed era fermamente convinta che ai ragazzi si dovessero fare di continuo osservazioni moraleggianti. Ma Anna ignorò la morale, interessata solo a ciò che Marilla aveva detto di Diana.” C’è chi riferisce il termine morale alla radice mâ, da cui deriva la parola misura. Il fatto che emerge sempre di più è che Anna è fondamentalmente una giovane positiva e dotata di talenti smisurati.
Rachel, non appena la vede, dice “È magrissima e bruttina. Marilla. Vieni qui, ragazzina, lasciati guardare. Misericordia, non ho mai visto tante lentiggini. E ha i capelli color rosso carota! Su avvinati.” – cosa può rispondere l’incommensurabile adolescente, se non: “La odio!” e poi ancora “la odio, la odio, la odio…” per poi chiamarla: “donna rozza, maleducata e insensibile!”, e gridarle in faccia: “Le piacerebbe se le dicessero che è grassa e flaccida e probabilmente non ha un minimo di immaginazione. Non mi importa se la offendo con le mie parole, anzi, spero che la feriscano profondamente. Nessuno mi ha offeso come ha fatto lei, neanche il marito ubriacone della signora Thomas. E non lo dimenticherò mai, campassi cent’anni!”
La signora Rachel più che indignata è quasi putrefatta da tanta irruenza. Andandosene, non può fare a meno di dire che non sarebbe eccessivo dare ad Anna “qualche colpo di verga di betulla ben assestato” e che “il suo carattere è in pieno accordo con il colore dei capelli.”
Marilla, per quanto imbarazzata, si è quasi divertita. Dalla sua memoria è risalito il ricordo di quella lontana ma mai del tutto sopita volta che una sua zia aveva detto di lei: “È un peccato che abbia un aspetto così insignificante!”
Ella sapeva che dalla bocca della giovinetta usciva soltanto “la verità” e che quello che Anna aveva il coraggio di dire non era diverso da quello anche lei “pensava allo stesso modo da anni, ma non aveva mai osato ammetterlo. Ora le sembrava che quei pensieri, nascosti per tanto tempo, prendessero forma nelle parole di quella creatura sincera e spontanea.”
Ogni giorno che passa, fatterello che occorre, sempre più le risulta chiaro che “una cosa è certa: in questa casa non ci si annoierà mai, finché c’è lei.”
A scuola Anna scorge il suo antagonista, un ragazzo più vecchio di lei di un paio d’anni, brillante e intelligente, che tanto favore raccoglie presso le compagne di scuola. Anna non lo sopporta e quando lui la provoca gli spezza sulla testa una piccola lavagna, fatto per cui viene punita dal maestro. Ha un punto di riferimento negativo che le servirà per l’immediato futuro: “Odiava tanto Gilbert quanto amava Diana, con tutto l’impeto del suo cuore appassionato.”
Gilbert, forse in virtù del gesto di lei, comincia a guardarla con occhi interessati: è la prima volta che una sua coetanea gli dà buca, nonostante alcuni suoi intrepidi tentativi di riappacificazione.
Amo di Anna l’insensatezza, che le fa dire: “… sono così contenta di vivere in un mondo dove esiste l’ottobre! Sarebbe terribile saltare da settembre a novembre, non credi?” – in effetti mancherebbero trentun giorni.
“Guarda queste foglie di acero: non ti fanno venire i brividi? Le porterò in camera mia che ne sarà tutta rallegrata.” – Marilla non è troppo d’accordo, però non glielo impedisce. Ora un po’ di caos rende l’abitazione più vivibile. Sia la vita vera che quella non meno importante che risiede nei sogni: “E un sogno nasce meglio in un posto dove ci sono delle belle cose. Metterò questi rami nella vecchia brocca azzurra e li terrò sul tavolo.”

Anna riesce a prefigurarsi il futuro, soprattutto quando è immediato: “Mi vedo già seduta a capotavola mentre verso il tè” e nel frattempo chiude gli occhi: “e chiedo a Diana se vuole o no lo zucchero. So che a lei il tè piace amaro, ma glielo chiederò ugualmente…” – i riti sono riti.
Sogna anche: “Tu eri gravemente ammalata di vaiolo, tutti ti evitavano ma non io, che accorrevo al tuo capezzale e ti curavo amorosamente, fino a farti guarire. Poi venivo contagiata, morivo e mi seppellivano sotto i pioppi, al camposanto. Tu piantavi sulla mia tomba un magnifico rosaio e piangevi per la scomparsa della tua indimenticabile amica.” – Anna ha chiaro un concetto: se si vuol sopravvivere in questo caduco mondo occorre sacrificare una parte di se stessi. Mentre sogna questo, si scorda di mettere la farina nel dolce che sta preparando!
A un certo momento “Anna tirò un respirone.” – uno dei tanti, quando dopo alterne vicende dice a Diana: “Pensavo di piacerti, certo, ma non osavo sperare che tu mi volessi tanto bene. Vedi, nessuno mi ha mai amato davvero, che io ricordi. Non è meraviglioso? Un raggio di luce che brillerà per sempre nel buio della mia esistenza solitaria.” – Anna è una poetessa crepuscolare, ma anche solare, oscura ma anche luminosa. Dirò di più: è sia yin che yang.
Riesce ad avere una ciocca dei capelli dell’amica e chiede a Marilla di controllare “che venga seppellito con me, non credo che vivrò ancora a lungo, sai?” – al che l’anziana non può che rispondere: “Hai ancora tanto di quel fiato in corpo che non credo a una tua morte prematura.”
Anna “non dimenticava mai i torti subiti, non conosceva misura né nell’affetto né nell’odio.” – e il prode Gilbert Blythe l’avrebbe scoperto a proprie spese ben presto.
Un esempio di religiosità sui generis: “Che splendida mattinata! Sembra che il buon Dio l’abbia creata apposta per farci felici. Quegli alberi sembrano così fragili da poterli gettare a terra con un soffio. Sono contenta di vivere in un mondo dove l’inverno, il gelo, la neve e la brina la fanno da padroni.” – anch’io amo la varietà delle stagioni, adoro il buio quando è sera e la luce quando apro gli occhi alla mattina.
Anna deve andare immediatamente da Diana: “Mi ha fatto un segnale dalla finestra. Ne abbiamo inventati molti, con le candele e un po’ di cartone. Mettiamo la candela sul davanzale della finestra e facciamo i segnali passando il cartone davanti alla fiamma un certo numero di volte. Ogni numero significa una cosa diversa.” – cinque significa “ho qualcosa di importante da rivelarti”. Marilla, anche se è tardi, le dà il permesso di andare. Purché torni presto. Viene un brivido a pensare che un tempo non ci fosse il whatsapp!
Un altro carisma di Anna: come già è emerso, a causa della sua immediatezza e del suo carattere impulsivo, dimentica le cose e si caccia nei guai. Ma grazie a queste due stesse qualità, lei ci salta sempre fuori, scatenando alla fine una risata in chi fino a pochi istanti prima l’aveva accusata di chissà quale colpa. Questo è un dono di natura, che non si può improvvisare.
“La signora Barry non era più in collera, ora, e scoppiò a ridere di gusto. L’eco di quella risata sbalordì Diana, che origliava, trepidante, e la rassicurò in pieno.”
La mitopoiesi di Anna non risparmia nulla ed esalta ogni cosa: “Penso che il biancospino sia l’anima dei fiori morti volati in paradiso.” – poco prima aveva detto: “Mi dispiace per chi vive in luoghi dove non fiorisce il biancospino.” – non ti dispiacere, Anna, basta che non lo sappiano e sono felici lo stesso.
“Io sono di parere contrario, penso che sia una gran privazione, addirittura tragica.” – Anna, ti rispondo nel mio modo arşân tésta quêdra (un giorno ti spiego perché i confinanti pensano che noi raggiani abbiamo la testa quadrata): l ē pêş n fréva e po’ morîr: peggio è essere colti da una febbre e lasciarci le penne.
Una mia giovane consanguinea, che m’ha spinto a leggere il tuo libro, concorda con te, fino al punto di sottolineare le tue parole, quando dici che normalmente non t’importa essere la migliore, “ma quando sono in classe, se qualcuno mi supera, allora mi dispiace, eccome. In certi momenti penso di essere una persona inopportuna. Se fossi una Anna soltanto, sarebbe più comodo, ma anche meno interessante, però.” – e qui la tua omonima aggiunge: come mi ritrovo nella sua descrizione!
Mi coglie ora un pregiudizio, non più saggio di altri: affermare che voi donne siete più ambiziose di noi maschietti. Forse che noi maschietti diamo per scontati i nostri privilegi? A me poco è importato avere successo in società e questo m’ha più rallegrato che depresso.
“Povera me, la vita è fatta solo di arrivi e partenze” – ed è sempre la tua omonima a sottolineare la tua lamentela (così l’ha definita la tua creatrice). Partire è un sopravvivere altrove, vada come vada.
Qualcuno ti scrive per invitarti a un evento mondano, ma quel che conta, per te, è l’indirizzo scritto nel biglietto: “Signorina Anna Shirley di Green Gables.” – e per te è motivo d’orgoglio, tanto che dici: “Conserverò questo invito tra le mie cose più care, per sempre.” – sempre, che parola terribile, la quale nasconde o un’infinita speranza o un’enorme bugia. A thing of beauty is a joy for ever. Forse non sarà vero, ma non c’è prova che sia più vero il contrario: trattasi di una teoria religiosa che m’appassiona come poche altre.
“‘C’è qualcosa in me oggi’ disse a Marilla, mentre lavava i piatti ‘che mi fa amare tutto ciò che vedo. È una sensazione favolosa, vorrei che durasse per sempre.” – ecco, appunto.
Poi, Anna, crei un paradosso: un pastore della chiesa potrebbe sposare una rossa, ché lui non bada a ‘ste fesserie. “Però, la moglie di un pastore dovrebbe essere, molto, molto buona; io non ci riuscirò mai, dunque questo sogno non si realizzerà” – al paradosso non resta che una soluzione: il celibato dei sacerdoti, nonché delle donne dai capelli ramati… i quali però potrebbero avere delle tresche amorose fra di loro. Non so, forse andrebbe rimeditata l’intera questione.
Marilla ama Anna come nessuno, mentre il fratello l’adora letteralmente. Matthew ha deciso di regalare ad Anna, per le festività natalizie, un abito raffinato con quelle cosine che tanto indispongono la sorella: le maniche a sbuffo. Quando glielo presenta le chiede se forse non le piace (“Anna stava piangendo come una fontana”).
“‘Mi chiedi se mi piace?’ balbettò la ragazzina, deponendo il vestito su una sedia e congiungendo le mani. ‘È splendido, incantevole, favoloso, Matthew! Non potrò mai ringraziarti abbastanza. Guarda queste maniche! Oh, mi sembra proprio di sognare!’” Anche Marilla è contenta, lei che odiava questi eccessi di stoffa nelle maniche, ma non lo ammetterebbe mai. Entrambi i fratelli vivono ormai per lei, ma Matthew è sempre dalla parte dei sogni bizzarri dell’adolescente. Marilla è ogni volta un po’ acidula, ormai solo per abitudine, non per altro.
Un’altra affermazione di Anna merita una pausa di riflessione: “Sai, ho appena scoperto com’è una fronte di alabastro, e questo è uno dei vantaggi di avere tredici anni. Si sanno molte cose più cose che da dodicenni.” – dicono che il tempo abbia una sola direzione, con due versi però.
Anna fonda con l’amica Diana “Il club dei racconti” e rivela il destino forse suo e senz’altro quello dell’autrice: scrivere, scrivere e poi ancora scrivere. Al momento Anna, se non fa morire almeno un protagonista, non è contenta. È un momento così, che passerà: “Io trovo che una storia è più romantica se finisce con un funerale invece che con uno sposalizio.” – i maligni però dicono che il matrimonio sia la tomba dell’amore.
Altra sottolineatura della mia Anna: “Le cose che da piccoli si desiderano tanto perdono metà del loro fascino quando è finalmente possibile ottenerle.” – suo commento: è veramente così brutto diventare adulti. Dissento. Non lo è affatto. Non si diventa mai adulti. Se tutto è illusione, non vorrai mica che quest’assurda fregatura sia reale!
La mitopoiesi è l’unica forma di certezza che possiamo creare, cerchiamo allora di scegliere bene cosa immaginare!

Marilla “non aveva mai imparato a esternare i suoi sentimenti con le parole, però amava profondamente quella ragazzina sottile dai grandi occhi verdegrigio, di un amore tanto più grande quanto più restava nascosto.” – la stessa Anna “pensava con una punta di rincrescimento che non era facile accontentare Marilla, entrare nelle sue simpatie e capirla; ma poi cercava subito di cacciare via quelle idee ricordando quanto le doveva.” – l’amore è ancora più magico, quando cela la sua ultima verità, che dà sempre un margine di manovra a quel muscoletto incavato nel torace, che noi chiamiamo cuore, la cui radice indoeuropea (s)kar significa sobbalzare, vibrare. Se fosse tutto evidente di per sé, esso se ne starebbe accucciato come un cagnolino che intende solo sonnecchiare, non patendo più per nulla. È buon segno se d’un tratto si alza e inizia ad abbaiare.
Anna ha “quasi quattordici anni” ed è d’accordo con chi le dice che è a quell’età “che si formano i caratteri, che si radicano quei principi che ci accompagneranno per tutta la vita.” – come sei saggia, Anna, quasi come una quindicenne.
La signora Rachel è sempre stata una criticona. Ora però ammette: “È diventata molto graziosa. Quando la vidi per la prima volta la mia impressione fu tutt’altro che favorevole: occhi verdi, capelli rossi, lentiggini, magrezza quasi spettrale…” – un cesso di guaglioncella. Ora tanta bruttezza si è evoluta al punto che “fa apparire le altre troppo massicce e insignificanti… qualcosa come vedere dei narcisi bianchi accanto a una splendida peonia scarlatta, ecco!” – di lì a poco un pittore americano definirà i suoi capelli “color tiziano”. Tutto scorre, fin troppo velocemente.
Marilla è triste e la capisco: l’Anna che fu accolta caritatevolmente non c’è più: “La ragazzina che aveva imparato ad amare era scomparsa chissà dove e al suo posto c’era una quindicenne alta, dallo sguardo pensoso, la testa ben eretta. Lei amava quella signorinetta così come aveva amato la bambina ma sentiva nel cuore come un vuoto, un senso di mutilazione.”
Anna scopre di non aver “più voglia neanche di usare paroloni. È un peccato, ora che sono cresciuta abbastanza da poterli sfoggiare, se lo volessi. In un certo senso è divertente diventare grandi, ma non quanto mi aspettavo. Ci sono tantissime cose da imparare, da fare e da pensare al punto che non c’è più spazio per i paroloni.” – c’è sempre la possibilità di rimanere zuzzurulloni, e di agire precipitevolissimevolmente e, quando qualcuno ti richiama a una maggiore serietà, puoi sempre dirgli in faccia: supercalifragilistichespiraridoso!
Anna vince la borsa di studio che le permetterà di frequentare una scuola rinomata e ora può finalmente abbandonarsi “sul cuscino immacolato” e “i suoi sogni furono i più belli ne luminosi che una ragazza possa desiderare.”
Ennesima sottolineatura della mia Anna: “Be’, io voglio essere me stessa, anche se dovrò rinunciare ai diamanti per tutta la vita. Sono assolutamente soddisfatta di essere Anna di Green Gables, con la mia semplice collanina di perle. So che Matthew me l’ha regalata con tanto di quell’amore che la signora in rosa neanche si sogna.”
La vita, quando va bene (di quando va male ne parleremo un’altra volta, ché è un argomento che stavolta non c’entra proprio), è seguire le proprie ambizioni, che figliano le une dalle altre: “Appena se ne realizza una, eccone altre che si fanno avanti, ancora più grandi. E tutto questo rende la vita straordinariamente interessante” – quando questo accade significa che qualcosa che è morto, e sta rinascendo. Sempre il solito casino scatenato da quei due monellacci che non ci pensano proprio di crescere: Ṥiva e Visnù.
Muore Matthew. Infarto secco. Viva Matthew. Dolore infinito.
“Due giorni dopo Matthew Cuthbert venne portato al cimitero, lontano da casa sua, dai campi che aveva coltivato, dal frutteto che aveva amato, dagli albero che aveva piantato”: l era andê a véder l’erba dala pêrta dal raîsi, che da quella parte le radici ti mostrano come saremo per sempre collegati al mondo che ci sarà dopo di noi. Saremo sempre entangled, really, Anne! Let’s hope that!
“Il sole continuava a sorgere trionfante ogni mattina dietro le colline, pallidi germogli rosa spuntavano in giardino e lei poteva goderne come un tempo” – com’è giusto che sia, little Anne!
“Sono stata al cimitero a piantare rose sulla tomba di Matthew” dici a Marilla, come parlando a te stessa, assicura l’autrice. E continui: “Ho scelto una piantina di quelle rose bianche che sua madre portò dalla Scozia tanto tempo fa. A Matthew piacevano molto… erano così piccole e profumate…” e lui, da là sotto, l’ha vista: non dubitare mai di questo. Anna ha deciso: rinuncerà alla borsa di studio e rimarrà a Green Gables con Marilla!
L’ultimo capitolo è intitolato Una svolta cruciale. Sarebbe troppo comodo che vi dicessi cosa succede. Andate a cercare il romanzo di Lucy Maud Montgomery. È là che aspetta che l’adottiate!
Anna, ti faccio una piccola confessione, ma non dirlo ad anima viva, al massimo solo a Matthew, sono sicuro che se provi a dirglielo lui ti sentirà. Per quattro volte, leggendo la tua storia, ho avuto qualche difficoltà di respirazione. Non specifico in quali occasioni. Anzi, una sì, te la dico: quando Matthew ti ha regalato l’abito con le maniche frou frou che tanto inquietarono Marilla. E tu ti sciogliesti in lacrime. Io no, seppi resistere, essendo un tipo un po’ duretto.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Lucy Maud Montgomery, Anna dai capelli rossi, Fabbri Editori, 2005