“Vivere contro l’evidenza. Intervista con Christian Bussy” di Emil M. Cioran: il sentimento dell’irreparabile
“In fondo, ho sempre vissuto ai margini della società. Ai margini di tutto, cioè, una sorta di emarginato con tutto ciò che ne consegue e che corrisponde bene alla mia visione delle cose, ai miei gusti personali”[1]: così inizia a descriversi il filosofo rumeno naturalizzato francese Emil M. Cioran in questa intervista del 1973, concessa dopo aver vinto la sua innata ritrosia.

Egli, rispondendo alle domande poste dall’intervistatore, brano a brano svela la sua complessa personalità, a volte contraddittoria, certamente in antitesi alla cultura ufficiale e al modo di pensare comune.
Egli non si definisce propriamente nichilista: egli dice di sé di non essere niente. E neppure si sente un ribelle, poiché chi si ribella “vuole rimediare a qualche cosa. Il ribelle è un militante, io non sono un militante. È pur vero che ho denunciato parecchie cose, ma con un sentimento dell’irreparabile”[2].
L’irreparabile: il sentimento che sembra muovere il pensare controcorrente di Cioran, come vedremo anche da altre sue opere.
Ma questo sentimento dell’irreparabile lo rende, dunque, un disperato?
Non proprio: “È evidente che, teoricamente, sono riuscito ad esprimere una posizione disperata, poiché essa non conduce a niente, da nessuna parte, è inutilizzabile. Attenzione però, io ho sempre voluto essere inutilizzabile”,[3] cosa che, a suo dire, non gli impedisce certo di vivere.
Altro argomento cardine della conversazione è la scrittura: che senso ha (se ce l’ha) lo scrivere per Cioran?
Questi non scrive per comunicare un contenuto, non scrive perché mosso da un proposito: egli scrive “per tracollo più che per debolezza”[4].
Di più: per Cioran, la scrittura comporta una sorta di degradazione, di corruzione, infatti “scrivere è una profanazione, perché si uccide l’argomento. Il che è terapeutico”[5]. Lo scrivere ha come conseguenza il mettere a nudo i propri demoni interiori, tuttavia, così facendo, questi ultimi si affievoliscono, perdono potenza.
Spiazzante diviene, successivamente, l’argomento del suicidio.
Come dice Cioran, “ciò che mi ha salvato è stata l’idea del suicidio, senza la quale mi sarei sicuramente ucciso. Ciò che mi ha permesso di vivere, è l’aver avuto sempre a disposizione quella risorsa, per cui, veramente, senza quell’idea non avrei potuto sopportare la vita”[6].
Da qui giungiamo alla fine del dialogo, dove ci viene spiegato il significato del titolo di questo libro, infatti “il fatto di vivere è una cosa talmente straordinaria, soprattutto quando si vedono le cose come sono, che questa vita, totalmente disprezzata, diciamo a livello teorico, appare straordinaria sul piano pratico. Vivere contro l’evidenza, ogni momento, diventa una sorta d’ eroismo”[7].
Che ci volesse una certa dose di eroismo per vivere, ne sono sempre stato convinto.
Ora lo sono ancora di più.

Immaginiamoci di osservare nietzscheanamente l’abisso, senza farci catturare e soprattutto senza che l’abisso entri in noi.
Se l’abisso guardasse in noi, se entrasse in noi, saremmo perduti: questa è la disperazione?
Forse sì, bisogna vedere con che grado di consapevolezza, poiché non penso che tutte le forme di disperazione presuppongano la consapevolezza della propria situazione.
Ad una prima superficiale lettura di Cioran, si può ipotizzare che egli sia un disperato. No, lo dice chiaramente in questa intervista: non è disperato.
Purtuttavia, non è digiuno di disperazione, se consideriamo la sua visione estremamente problematica dell”esistenza, per non dire tragica o drammatica.
Come se fosse costantemente in contatto visivo con la disperazione nella sua forma più pura, più distruttiva ma non attraversasse quel confine: se lo attraversasse, si annullerebbe, perdendo la consapevolezza e la tremenda lucidità che caratterizza questo pensatore fuori dagli schemi.
Written by Alberto Rossignoli
Bibliografia
Emil M. Cioran, “Vivere contro l’evidenza. Intervista con Christian Bussy”, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2014
Note
[1] E. M. Cioran, “Vivere contro l’evidenza. Intervista con Christian Bussy”, La scuola di Pitagora Editrice, Napoli 2014, p. 17.
[2] Ibidem, p. 20.
[3] Ibidem, p. 21.
[4] Ibidem, p. 18.
[5] Ibidem, p. 27.
[6] Ibidem, p. 29.
[7] Ibidem, p. 35.