“Fedra” di Jean Racine: il mio male è più antico
Nato nel 1639, Jean Racine esordisce a Parigi come autore drammatico.

Gli si conferisce il merito di aver contribuito, in modo determinante, alla nascita di un tipo di teatro della ragione, caratterizzato da una spiccata tendenza al classico sia da un punto di vista formale (il suo stile ottempera ai dettami aristotelici rinnegando i crismi manieristi e barocchi), che contenutistico (desumendo gli argomenti delle sue tragedie dal mondo greco-romano).
I canoni aristotelici disciplinano lo snodo narrativo: la vicenda si svolge in un solo giorno, l’azione è essenziale, l’intrigo mancante.
Predominano invece le passioni dei personaggi che vengono disposte in un perenne climax.
Essendo stato educato a Port Royal dai giansenisti, coltiva una concezione pessimistica sulla natura umana che desublima i suoi personaggi, non più eroi della volontà ma vittime delle passioni. Si deduce come nelle sue tragedie l’eros goda di una valenza distruttiva ed esibisca subito un sentimento tragico.
Questa traslazione del concetto di eros ben si rivela in quello che a ragion veduta può essere considerato il capolavoro di Racine: Fedra.
La matrice classica è confermata dalla scelta dell’argomento principale che è dedotto dall’autore tragico greco Euripide (485-406 a.C.) con il motivo dell’amore incestuoso della matrigna Fedra, per il figliastro Ippolito.
Il conflitto si espleta nella dicotomia tra ragione e passione e nelle violente pulsioni che da tale contrasto scaturiscono.
Il carattere conflittuale confluisce anche nel linguaggio giacché la storia dell’amore proibito per essere verbalizzata deve contrastare una duplice proibizione: quella morale ma anche quella linguistica.
Dopo una attenta e scrupolosa lettura del testo si ha infatti l’impressione che tutto l’apparato retorico e linguistico reprimi le passioni, rendendo castigato e ridotto il linguaggio. Ma proprio questo violento tentativo di reprimere le passioni finisce in realtà per donare loro risalto ed espressione.

“Il mio male è più antico. Quando al figlio d’Egeo/ io mi fui sottoposta per le leggi d’imene,/ la mia felicità, la mia pace era certa./ Atene mi mostrò il superbo nemico./ Lo vidi e arrossii, impallidii a vederlo./ Nell’anima smarrita irruppe lo scompiglio./ Non vedevo più niente, non potevo parlare./ Poi sentii il mio corpo bruciare e raggelarsi./ Io riconobbi Venere, i suoi fuochi che atroci/ senza tregua tormentano un sangue che lei odia./ Sì, cercai di sviarli con preghiere e con voti./ Feci un tempio alla dea, l’ornai con ogni cura./ Io stessa, tra le vittime sacrificate, sempre/ in quei visceri aperti cercavo la ragione./ Impotenti rimedi a un amore incurabile./ Invano sui suoi altari io bruciavo l’incenso:/ anche se con la bocca imploravo la dea,/ io veneravo Ippolito. Tutti i giorni i miei occhi/ lo vedevano, lì, ai piedi degli altari/ che annebbiavo di fumo, dove pregavo muta/ il dio a cui offrivo tutto. Lo evitavo dovunque,/ ma, o misera sorte, lo vedevo nei tratti/ del volto di suo padre. Infine con coraggio/ contro me stessa presi la folle decisione:/ far bandire il nemico che io idolatravo./ Ostentai i rancori di una matrigna ingiusta./ Pretendevo il suo esilio. Con continue querele/ lo strappai dal cuore, dalle braccia del padre./ Io respiravo, Enone. Durante la sua assenza/ i miei giorni, più quieti, scorrevano innocenti./ Sottomessa al mio sposo, nascondendo i tormenti,/ io maturavo i frutti delle nozze fatali./ O vane precauzioni! O destino crudele!”
L’opera è stata da molti considerata un corrispettivo teatrale del concetto di matrice giansenista di predestinazione.
Fedra, spinta dal destino in una passione illegittima di cui lei per prima prova terrore, sembra incarnare la creatura che nella concezione agostiniana resta macchiata dal peccato originale, assoggettando la sua volontà alla bramosia incestuosa.
Written by Manuela Muscetta
Bibliografia
Jena Racine, Fedra, Feltrinelli